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Derivati per tutti. Così la Cina mette a rischio la finanza occidentale

Le banche di investimento del Dragone stanno vendendo prodotti derivati ad alto tasso di speculazione a molte istituzioni finanziarie europee, ma non solo. Una mina che rischia di esplodere presto o tardi, creando disastri simili a Mps e Deutsche Bank. Intanto la ripresa cinese frena ancora

Monte dei Paschi e Deutsche Bank ne sanno qualcosa, sulla pericolosità dei derivati. La prima (Alexandria e Santorini, i nomi dei contratti letali da annotare) ha evitato l’iceberg per un soffio e solo grazie a 5,4 miliardi di soldi pubblici iniettati a Siena nel 2017. La seconda ci ha rimesso fior di bilanci, con perdite che solo nel 2020 hanno accarezzato i 3 miliardi. In mezzo, sempre loro, il contratti ad alto tasso di speculazione, perché legati a doppio filo al valore di un asset secondario o all’andamento di un indice.

In Cina tutto questo non sembra essere un grande problema. Forse le attenzioni e gli sforzi sono concentrati altrove, magari nella ricerca di una soluzione al disastro di Evergrande o nel cercare di recuperare credibilità presso gli investitori stranieri, in fuga dal debito di Pechino.  Fatto sta che le banche cinesi si stanno affannando a piazzare derivati presso i sistemi finanziari di mezzo mondo, a cominciare dall’Europa. Vere e proprie bombe a orologeria messe nella pancia di istituti, assicurazioni, finanziarie d’Occidente.

Come racconta Bloomberg, le banche di investimento della Repubblica Popolare stanno cercando di vendere prodotti speculativi che sono costati, per esempio, alla francese Natixis quasi 300 milioni di dollari nel 2018. Il cavallo di Troia di turno è un derivato che promette una cedola il cui valore è legato a un indice azionario con rendimenti a due cifre, ma solo finché i mercati non crollano. Nessun paracadute di sicurezza insomma, nessun minimo rendimento garantito. In Cina lo chiamano palla di neve e nel giro di pochi anni è diventato il prodotto di punta di quasi tutti i broker e banche di investimento cinesi, tra cui Citic Securities e China International Capital.

Problema: il prodotto sembra piacere. Secondo i calcoli di Bloomberg, banche e investitori ci hanno già investito 440 miliardi di yuan (68 miliardi di dollari), dimenticando la lezione di Natixis, i cui derivati e relativo impatto sui conti contribuirono a porre fine al mandato, nell’estate del 2020, dell’ex amministratore delegato, François Riahi. Meno male che la China Securities Regulatory Commission, ad agosto ha chiesto agli intermediari cinesi che vendono derivati di garantire che i prodotti vengano venduti solo a investitori qualificati e che i rischi rilevanti siano completamente divulgati.

Ma forse a Pechino hanno altro a cui pensare. Per esempio al fatto che nel terzo trimestre dell’anno il prodotto interno lordo in Cina è cresciuto del 4,9% rispetto al 2020, in calo rispetto al 7,9% riportato nei tre mesi precedenti. E che la produzione industriale è aumentata del 3,1% su base annua a settembre, al di sotto delle previsioni di mercato di un incremento del 4,5% e dopo un aumento del 5,3% nel mese precedente.

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