Il brusco stop di sabato alle trattative è figlio di differenze di vedute sì importanti, ma non insormontabili, a partire dalle Dta. Ora la banca guidata da Andrea Orcel potrebbe rilanciare e ripresentarsi al Mef. E non da sola. Aspettando al varco Banco Bpm…
Chissà se ad alzarsi dal tavolo e abbandonare la trattativa tra Unicredit e il Tesoro azionista di Mps sono stati Andrea Orcel e il suo staff o i rappresentanti del governo italiano, Alessandro Rivera direttore generale del Mef in testa. Non è chiaro, nemmeno a leggere in controluce le indiscrezioni di stampa odierne. Se davvero la verità è quasi sempre in medias res allora lo stop al confronto sul salvataggio della banca più antica deve essere stata una decisione bilaterale. Troppa la distanza sulle Dta, gli incentivi fiscali alle fusioni bancarie, che il governo ha appena rinnovato fino a giugno del prossimo anno. Ma non è solo questo ad aver fatto franare il tutto, almeno per il momento.
TUTTO DA RIFARE A SIENA
L’operazione per la cessione di Mps a Unicredit andava fatta, è vero, ma non a tutti i costi e, soprattutto, a condizioni di mercato. E fino a quando il contributo sotto forma di Dta era attorno ai 5 miliardi la soluzione sembrava possibile. Quando però l’asticella è salita fino a 8,5 miliardi, a Via XX Settembre hanno preso atto di non poter andare avanti. E così, almeno per il momento il progetto di creare un secondo polo bancario alternativo a Intesa (dopo l’acquisizione di Ubi) e con baricentro Unicredit, sfuma.
La verità è che le pretese, da parte di Unicredit, erano piuttosto alte come confermano alcune fonti consultate da Formiche.net. Se non altro fuori dai radar del Tesoro, socio controllante di Mps al 64%. La banca guidata da Andrea Orcel, successore di quel Jean Pierre Mustier che proprio alla fusione con Siena si era opposto, chiedeva che lo Stato sottoscrivesse un aumento di capitale da 6,3 miliardi di euro per l’intera Mps; se a questa cifra si aggiungono i 2,2 miliardi di Dta si arrivava a un impegno complessivo di 8,5 miliardi di euro pubblici. Non è tutto.
Tra le pretese di Unicredit, anche la pulizia dei conti di Rocca Salimbeni, non solo dai crediti deteriorati ma anche dai rischi legali, alias contenziosi in essere: valore 6 miliardi, circa. Ma a fare saltare il banco, raccontano le medesime fonti, avrebbe contribuito soprattutto un fattore. E cioè il perimetro troppo esteso offerto dal Tesoro che, al netto delle sofferenze scaricate direttamente sulla società pubblica Amco e delle filiali Mps al Sud messe in pancia al Mediocredito centrale, sarebbe stato ancora eccessivamente largo. Tradotto, la rete di filiali al Centro e al Nord sarebbe stato un boccone troppo pesante per Unicredit. Va bene, ma come se ne esce?
PORTA SOCCHIUSA
Sono state le stesse fonti a rivelarlo. In realtà, lo stop di ieri non è il de profundis del Monte dei Paschi, anzi forse il preludio a una nuova mossa da parte della stessa Unicredit. Per rendere più digeribile il boccone, Unicredit potrebbe chiamare a raccolta alcune banche per mettere su una specie di cordata a trazione nordica per rilevare la parte sana di Mps. In questo modo, spalmerebbe lo sforzo su più giocatori. La proroga delle Dta per altri sette mesi, viene sottolineato, va proprio in questo senso: dare incentivi a chi vuole essere della partita. Dunque non è assolutamente escluso che nei prossimi giorni, prima che il ministro dell’Economia, Daniele Franco, riferisca in Parlamento e voli a Bruxelles a chiedere (non è scontato) una proroga di sei mesi per il disimpegno dello Stato da Siena pattuito due anni fa, Unicredit si materializzi a Via XX Settembre, magari in compagnia.
C’è di più. L’operazione con Siena, collegio in cui è stato eletto deputato l’attuale presidente di Unicredit, Pier Carlo Padoan, è fortemente voluta proprio dall’ex ministro dell’Economia. E allora, ecco l’humus dietro la trattativa Unicredit-Mps, la fusione potrebbe andare in porto sotto il segno di Padoan, lasciando ad Orcel tempo ed energie per agguantare il suo vero obiettivo industriale: Banco-Bpm. E chissà se è un caso che gli stessi analisti di Websim vedano la proroga delle Dta come una sponda a Unicredit, affinché muova su Banco.
LA BORSA NON GRADISCE
E poi sono gli stessi mercati a volere il salvataggio di Siena. Questa mattina, a poche ore dallo stop alle trattative, il titolo di Unicredit ha aperto a -1,75%, per poi riprendere quota, ma solo in tarda mattinata. Molto male Mps, -4% in apertura per poi rimanere in profondo rosso, intorno al -2,7%. I mercati hanno parlato.