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Cosa c’è dietro l’incontro tra Putin e Biden

I leader di Stati Uniti e Russia si incontreranno in videoconferenza: una nuova occasione di contatto diretto mossa ancora dalla crisi in Ucraina. Putin intende portare la questione sul piano bilaterale per allargare il dialogo a uno spettro più ampio?

Alla fine, il presidente statunitense, Joe Biden, e il suo omologo russo, Vladimir Putin, si incontreranno a breve – in forma virtuale, perché l’agenda dei due leader e (forse soprattutto) la variante Omicron non permettono un faccia a faccia fisico così a stretto giro. Si vedranno il 7 dicembre – secondo il quotidiano economico russo Kommersat, ma ancora non ci sono conferme. Il tema centrale sarà cercare una chiave di dialogo, che passa anche dalla de-escalation al confine ucraino. È un copione noto, a giugno successe qualcosa di simile: Putin aveva dato ordine di mettere pressione su Kiev inviando anche in quel caso un migliaio di truppe attorno al Donbas, c’erano state posizioni severe da Washington e Bruxelles (soprattutto sponda Nato) e poi c’era stato il vertice russo-americano di Ginevra.

La videocall è stata preparata dall’incontro tra i capi delle due diplomazie, Antony Blinken e Sergei Lavrov, che si sono visti a latere della riunione dell’Osce di ieri, giovedì 2 dicembre, a Stoccolma. Non ci sono stati passi avanti, la posizione statunitense è per quanto possibile aperta, e pure quella russa in fin dei conti è orientata a certi risultati. Washington chiede di avviare una riduzione della pressione in Ucraina e di evitare mosse avventate (un’invasione) che probabilmente non pensa nemmeno Mosca – intenzionata però a mantenere buona parte di quella presenza militare, il cui incremento è stato tenuto tutt’altro che nascosto perché parte di una campagna psicologica contro Kiev.

È possibile che la recente mobilitazione delle truppe russe sia stata progettata, almeno come obiettivo laterale, per forzare i negoziati diretti tra Mosca e Washington. In parte Putin c’è riuscito – per la seconda volta in sei mesi – e questo perché sostanzialmente l’amministrazione Biden è interessata a una linea severa con Mosca ma non guerresca. Lo stesso Blinken ha minacciato, in caso di invasione del Donbas, non una risposta militare ma sanzioni economiche molto dure – che per Mosca, in una situazione economica instabile – significherebbero comunque molto.

Il tentativo di portare la questione sul piano bilaterale da parte di Putin potrebbe essere legato al cercare di cogliere l’opportunità del dossier-Ucraina per ampliare la gamma delle discussioni con gli Stati Uniti. Dall’altra parte questo potrebbe minare il Formato Normandia, i colloqui tra Ucraina, Russia, Francia e Germania con i quali da sette anni si sta cercando di trovare una via negoziale per risolvere il conflitto nel Donbas. Nei fatti questi negoziati non sono mai andati bene; affermazione pleonastica visto che ancora siamo qui a discutere di un possibile riacutizzarsi del conflitto e degli usi che Mosca fa di questo.

Putin ha recentemente rifiutato una proposta della cancelliera tedesca uscente, Angela Merkel, che voleva organizzare una riunione dei leader del formato Normandia – il russo ha sempre avuto molto rispetto per la tedesca, ma questo tentativo in extremis per arrangiare una qualche soluzione prima di lasciare l’incarico non ha ricevuto l’effetto desiderato, e forse anche perché ormai Merkel è fuori dai giochi. Intanto la Russia formalmente lancia appelli all’Ucraina per rispettare i termini dell’Accordo di Minsk su cui si regge il Formato, si dichiara parte esterna al conflitto, e nel frattempo continua a mantenere collegamenti con i ribelli filo russi del Donbas e a esercitare pressioni.

Attorno a queste attività – molte intrise di narrazione e propaganda – c’è anche un problema interno per Putin. I sondaggi dicono che la popolarità sta calando, sebbene lentamente e sebbene resti altissima per un capo di Stato: è al 63 per cento a novembre, contratta di quattro punti rispetto ottobre. La principale delle ragioni dietro a questi dati (diffusi dal Levada Center, che è senz’altro affidabile) è il Covid: il Cremlino, nonostante le operazioni roboanti sul vaccino Sputnik, non ferma contagi e morti e non riesce a vaccinare i propri cittadini.

La re-introduzione di alcune restrizioni nella prima settimana di novembre ha probabilmente prodotto il calo di consensi (come già successo nella primavera scorsa, quando in mezzo al lockdown toccò i minimi dal 2000 con solo il 59 per cento di popolarità). Un elemento da analizzare: le operazioni sul confine ucraino hanno contribuito al calo del consenso? Finora queste attività si sono portate dietro un consolidamento della base putiniana secondo un flusso nazionalista spinto dalla propaganda, ma se questo non basta più e iniziano a non essere gradite allora il contatto diretto con Washington può servire da soluzione win-win.



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