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Migliaia di soldati russi ancora al confine con l’Ucraina. Per quanto?

Gas, ecco come il ricatto russo indebolisce l’Ue

Putin non sembra interessato all’invasione del Donbas (almeno per ora), ma potrebbe pensare a una destabilizzazione dell’Ucraina che ritiene vantaggiosa

Sebbene fossero giuste le previsioni di chi non credeva a un’escalation rapida, sono altrettanto vere le letture di chi – come il governo di Kiev – riteneva lo spostamento di truppe russe verso il confine ucraino una decisione destinata a durare. Ci sono oltre centomila militari e mezzi di vario genere che ancora si trovano lì, disposti a tenaglia lungo il bordo orientale dell’Ucraina – quello che dal 2014 è ancora afflitto dalla guerra del Donbas. Quella presenza è una forma di pressione psicologica nei confronti degli ucraini (e ha dunque valore più strategico), ma è anche un dispiegamento tattico. Dovessero servire sono pronti.

Le tensioni non scendono, e mentre il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, dichiara la propria preoccupazione sottolineando che però “non vi è una minaccia diretta per un alleato della Nato”, Mosca fa sapere che entro il 31 gennaio tutto il personale dell’ambasciata statunitense attivo da oltre tre anni dovrà lasciare la sede diplomatica. Ossia, se Stoltenberg evita speculazioni su quanto sta accadendo al confine più caldo dell’est europeo, il Cremlino alza la posta su una vicenda non collegata che però si inserisce in un quadro non troppo sereno. È in atto un confronto di nervi: la Russia sa che non è nel suo profondo interesse aprire un fronte di guerra, ma prova a stressare il dossier.

“Non vi è certezza del motivo per cui la Russia sta portando forze militari al confine con l’Ucraina”, ha detto Stoltenberg in un’intervista alla Zdf, “quello che sappiamo è che, per la seconda volta quest’anno, c’è un significativo numero di truppe nell’area”; “sappiamo inoltre che la Russia ha già impiegato tali forze contro l’Ucraina” e questo “rende necessario essere vigili, osservare esattamente ciò che sta facendo la Russia e inviarle un messaggio chiaro, ridurre la tensione, essere trasparenti e diminuire l’escalation per evitare casi o incidenti o qualsiasi altro sviluppo pericoloso”.

Mosca sposta la questione su due piani. Sostiene che si tratta di manovre interne e chiede zero interferenze nei propri affari. Contemporaneamente dichiara zero responsabilità nel deterioramento dei rapporti con l’Alleanza Atlantica: dalla Nato “dovrebbe venire l’iniziativa per ripristinare le relazioni e trovare delle vie d’uscita all’attuale situazione di tensione”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, lasciando comunque aperto uno spiraglio. Ha parlato anche il presidente Vladimir Putin: schieramenti Nato in Ucraina sarebbero una linea rossa che porterebbero Mosca a posizionare missili ipersonici verso l’Europa (in realtà già ci sono batterie di altro tipo in Bielorussia).

Al di là del lancio, anche il capo del Cremlino si dice preoccupato alla vista di spostamenti di mezzi Nato verso il confine russo: è un rimbalzo retorico facile, è legittimata comunque la preoccupazione russa. La Nato ha tenuto una riunione programmata a Riga che è finita per essere focalizzata sulla situazione in Ucraina. Stoltenberg è uscito con quella posizione equilibrata, ma secondo Putin gli alleati potrebbero usare il territorio ucraino per “schierare missili che possono raggiungere Mosca in 5 minuti”. Non ci sono informazioni definitive a riguardo, ma per il Cremlino è un buon espediente narrativo: “Spero che prevarranno buonsenso e responsabilità per i loro Paesi per la comunità globale”, ha detto il russo per consolidare la sua posizione.

Mosca accusa Kiev di aver dispiegato 125 mila uomini nel Donbas e di schiacciare le istanze dei filo russi della regione – qualcosa di simile lo sosteneva ai tempi della crisi in Crimea, che finì con referendum (molto discusso per legittimità) con cui la Russia annesse la penisola ucraina. Kiev ha chiesto durante la riunione della Nato, attraverso il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, di aumentare la cooperazione militare e di preparare un pacchetto di misure, sanzioni incluse, per scoraggiare la Mosca da operazioni militari o ibride sul Donbas.

Nei giorni scorsi il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, aveva denunciato un tentativo di colpo di stato orchestrato dalla Russia per destabilizzare il Paese (sarebbe stato un modo per legittimare eventuali azioni aggressive a tutela dei filo-russi ucraini?). Ora è lo stesso Zelensky a chiedere un incontro con Mosca per procedere in colloqui distensivi. Giovedì intanto, sarà il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ad avere un faccia a faccia con Lavrov a margine dei lavori del consiglio ministeriale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che si terrà a Stoccolma. Lavrov vedrà anche l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrell.

L’amministrazione Biden in questa fase sta tenendo una linea aperta indirizzata alla de-escalation, ma sta anche considerando di assumere un ruolo più assertivo nel Processo di Minsk – lo sforzo diplomatico tra Ucraina, Russia ed Europa per trovare una soluzione alla crisi ucraina. Soluzione che è distante e molto complessa da trovare; non sarebbe sorprendente se lo stallo generale continuasse e tra qualche mese si fosse di nuovo davanti al rischio “offensiva di primavera” da parte della Russia – con nuovi spostamenti di mezzi al confine.

Se da un lato Putin potrebbe avere interesse a una destabilizzazione in sé per sé, più difficile che abbia in testa un’invasione con la quale incamerare il Donbas (una regione difficile e costosa per Mosca). Queste forme di pressione sembrano più legate a questioni micro – ossia connesse all’Ucraina – che al quadro macro, dato che attraverso questa postura difficilmente Putin otterrà obiettivi come l’alleggerimento delle sanzioni o il reintegro completo della Russia nel sistema di dialogo con l’Occidente.

La Russia, a torto o ragione, è in buona parte guidata da un senso di difesa – piuttosto che di puro attacco – in relazione a questioni che vanno dalla recente schermaglia dei droni turchi usati da Kiev o alle discussioni sull’adesione dell’Ucraina alla Nato (discussioni per altro piuttosto rallentate). La correlazione stretta delle manovre militari al confine con il dossier ucraino potrebbe portare più facilmente a forme di dialogo (magari quando nella prima metà del 2022 la Francia, più aperta a Mosca, presidierà di turno l’Ue?). Queste non è detto che però comportino il ritiro di quegli assetti militari dalle aree prossimali al Donbas.

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