Bisogna sbilanciarsi in avanti verso un percorso di integrazione. I presupposti sono gli stessi che spinsero Spinelli, Rossi, Colorni, Hirschmann a prendere ispirazione da Einaudi e proporre di realizzare gli Stati Uniti d’Europa prima e gli Stati Uniti del Mondo poi. L’intervento di Michele Gerace, autore di “Qualcosa che sfiora l’utopia” (Jouvence)
La povera Ucraina prima di essere invasa e bombardata alle porte della capitale dalla prepotenza russa è stata fatta a pezzi da gran parte dei media del mondo sui quali il Dombass è stato definito pacificamente terra di nessuno senza che nessuno abbia ritenuto opportuno dissentire, e Donetsk e Luhansk sono state riconosciute, dalla Russia e sugli stessi media prima che dal diritto internazionale, repubbliche russofone con tendenze russofile più che separatiste.
Negli articoli di Formiche il fatto, l’antefatto e gli sviluppi sono contestualizzati e analizzati con precisione e in profondità, motivo per il quale scelgo di mettere da parte le analisi e i commenti. Nelle righe che seguono preferisco mettere da parte anche i buoni propositi, sganciarmi dal drammatico corso degli eventi per considerare una prospettiva oltre le terribili contingenze e invitare a ragionare in modo egoistico. Apertamente e per suggestioni. A partire dall’idea che qualsiasi tipo di integrazione, dall’integrazione europea ad altre forme di integrazione regionali, a quella mondiale come la immaginano apparenti ingenui, utopisti e illusi, sia un processo lento, inesorabile e irrevocabile.
Il fatto è che non è vero che i processi di integrazione sono irrevocabili, che una volta avviati non hanno altra alternativa a quella di una successiva e ulteriore integrazione. Non esiste un’integrazione per inerzia e, se ricordate, ce ne siamo accorti con sorpresa all’indomani del voto per la Brexit. L’alternativa c’è eccome e si chiama disintegrazione. Se questo fatto è chiaro, potremmo introdurne un altro di conseguenza trascurato: in condizioni statiche o inerziali, l’assenza di movimento nella direzione dell’integrazione rinforza attriti di forze disgreganti. In poche parole, nei processi di integrazione, o ti integri o ti disintegri. L’equilibrio tra forze, attriti e movimenti, sta tutto nello sbilanciarsi in avanti. Indietro si cade. Fermi non si può stare. Un passo davanti all’altro.
Un passo indietro. Ma cosa succede quando ci disintegriamo forzati da spinte centrifughe come in Europa continentale o da richiami all’indipendenza e predati da appetiti di invasione, conquista e annessione per appropriazione o riappropriazione territoriale e culturale come ai confini dell’Europa? La risposta è davanti agli occhi di tutti. In poche settimane di manovre e poco meno di due ore di verosimili farneticazioni, la storia può essere revisionata, la sovranità estesa o schiacciata a seconda dei punti di vista, e la libertà può essere seriamente condizionata, compromessa. Per un verso la sovranità viene esaltata, per l’altro soppressa.
Poco importa se per oscure fantasie, annebbiate paranoie o semplice paura. Intanto, per settimane siamo stati tutti a guardare con il risultato che il freddo calcolo, la piccola tattica e l’attendismo, non sono stati sufficienti a frenare la progressiva degenerazione di una situazione che non è mai stata solitamente politicamente regionale e che noi tutti, la comunità internazionale, gli Stati Uniti e l’Europa, non siamo riusciti a contenere entro perimetri politici regionali.
La pretesa assoluta di conquista della Russia in questo modo ha prodotto uno spettacolo al quale in prima fila hanno assistito capi di stato e di governo che hanno previsto sanzioni anche severe che, però, i sanzionati hanno già messo in preventivo. E non ha aiutato l’attivismo di qualcuno a nome di questo o di quel paese, segnatamente Francia, Germania o Italia, se la voce che ha portato è stara solo di questo o di quel paese. Se ciò che ha rappresentato e rappresenta è solo una piccola parte della famiglia – chiamiamo famiglia, per ora e con significativo sforzo di fantasia, l’insieme dei paesi – e se quanto continua ad ascoltare, proporre e trattare è solo per se stesso o poco più.
Né ha aiutato, a proposito, lo spirito davvero poco costruttivo di taluni presunti e spassionati europeisti secondo i quali non essendosi ancora realizzate una unione della difesa ed una unione energetica tanto sarebbe valso, intanto, rompere le righe e trattare ciascuno per conto proprio con (ma sarebbe più corretto dire, andare con il cappello in mano davanti a) la Russia.
Il pensare in piccolo, il parlare in piccolo e il rappresentare in piccolo non aiutano. In questo caso piccolo non è sinonimo di bello ma di poco, di insufficienza, di mancanza di presa d’atto che ci sono tentativi in corso di riscrivere, più precisamente sovrascrivere, la storia e l’integrazione europea, di delegittimare la Nato, e con essa indebolire l’occidente, mettersi in asse con regimi illiberali a est e scombinare il mondo.
In generale, è grave la mancanza di visione e la distorsione della realtà che sembra arrendersi senza opporre particolari resistenze a falsi messaggi di apologia e propaganda filorussi che vengono scambiati per dati oggettivi nel dibattito pubblico. Se in coloro che, pur avendo chiaro il quadro, si attivano negli incontri istituzionali non c’è rappresentatività, per rimanere in metafora, se chi negozia non è il capo famiglia o un membro della famiglia che comunque va a parlare a nome degli altri, vuol dire che chi negozia lo fa soprattutto per se stesso e anche volendo farlo in nome e per conto di altri, non potrebbe perché non avrebbe né la legittimazione né la forza. E come tale sarebbe riconosciuto: non legittimato e debole.
Per essere legittimati e trovare la forza di bilanciare il tavolo dobbiamo darci una visione e per farlo dobbiamo riprendere a pensare in grande superando nell’intenzione anche i più ingenui. Del resto il realismo dei supposti avveduti, che in realtà realismo non è ma non è questa la sede per cavillare, dove ci ha portato e dove potrebbe portarci ancora? La risposta è da nessuna parte per non dire indietro con tanto di frustrazione, rassegnazione al corso degli eventi e la previsione di doverci preparare con prontezza allo sdegno e alla compassione per i Paesi che come l’Ucraina dopo l’Ucraina saranno aggrediti.
La questione ucraina ci ricorda l’importanza di riprendere un percorso di integrazione di tipo politico con l’idea ben chiara di realizzare una unità politica europea quale punto di partenza per una unione ben più ampia. Circa l’opportunità della proposta capisco la perplessità di chi ritiene che non sia questo il momento per pensare in prospettiva ma il fatto è che è proprio questo il momento per proiettare in avanti, entro una visione, quello le decisioni che prendiamo in queste ore.
Perché sullo sfondo e in prospettiva, l’esigenza e i presupposti sono sostanzialmente gli stessi che animavano il giovane Junius, al secolo Luigi Einaudi, quando scriveva sulle pagine del Corriere della Sera nei primi del novecento e auspicava con tutta la concretezza di cui era capace che potessero formarsi Stati più ampi e organi di governo diversi da quelli allora considerati normali. L’esigenza e i presupposti sono sostanzialmente gli stessi che spinsero Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann, e con loro all’inizio pochi altri, a prendere spunto da Einaudi nella redazione del Manifesto di Ventotene quando, in tempo di guerra, proposero di realizzare gli Stati Uniti d’Europa prima e gli Stati Uniti del Mondo poi.
Qualcuno potrebbe pensare che alla base degli articoli di Einaudi, del Manifesto di Ventotene e delle ragioni che animano tanti così detti federalisti ci siano ingenuità e utopia. Certo saremmo spiazzati se sapessimo che quelle stesse ragioni possono essere altrettanto egoistiche. Proprio così. Affermare l’opportunità della creazione di una federazione in prospettiva mondiale è da egoisti se per egoismo vogliamo intendere il pensare a noi, alla prosperità e al benessere. Certo, ad un noi ben più ampio di un piccolo e riduttivo io. Un noi inclusivo dove dentro ci siamo tu, gli altri e anche io.
Ma per poterlo fare dobbiamo considerare il valore strategico dello strutturare legami di interdipendenza tra Stati e continenti. Scriveva Einaudi che soltanto le nazioni libere possono vincolarsi mutualmente. Soltanto da liberi possiamo scegliere di impegnarci nella realizzazione di qualcosa che è più grande di noi. In questa prospettiva, l’integrazione può riprendere vigore, può farsi forza di contrasto di tendenze disgreganti, può relativizzare gli attriti e impedire nuovi conflitti di quale che sia la natura e il luogo fisico o cibernetico.
A questo punto, il passo in avanti. Se come pare, per ragioni superficialmente insondabili, è possibile realizzare in grande ciò che in piccolo ci sembra impossibile e diventa irrealizzabile, allora abbiamo l’obbligo di pensare in grande, soprattutto se questo poi significa ricomprendervi tutto il resto, compresa la sovranità, la dignità, la storia, il presente e il futuro di un popolo grande quanto il mondo. Per il momento e da questa parte di mondo, oltre a stringerci in un abbraccio al popolo ucraino chiamato a resistere come può e ai ragazzini russi schierati senza scrupoli per ragioni che ignorano, poco altro da dire e molto da fare a partire dalle premesse: dare nuovo slancio al progetto di integrazione e unione della difesa, energetica, di bilancio, in generale politica, europea e, date le circostanze, legittimare la Nato, in entrambi i casi, quali forze di equilibrio, di pace e di progresso.
Ammirevole la posizione italiana espressa al riguardo negli interventi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Non per sentimentalismo o ingenuità ma per puro e semplice egoismo di un noi più grande del noi che, sempre e solo per il momento, riusciamo a pensare. Se poi, riusciamo a farne un buon proposito tanto meglio.