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Quanto pesano (davvero) le crypto nello scontro ucraino

In Ucraina sono arrivate donazioni da 100 milioni di dollari. Il dubbio riguarda l’efficacia reale delle monete digitali. Nell’attuale confusione bellica, è ancora meglio il cash

Considerare quella in Ucraina una crypto war non è stato affatto un azzardo. Lo testimoniano i 100 milioni di dollari in valute digitali arrivati nelle ultime settimane sotto forma di aiuti al Paese assediato. Il viceministro della Trasformazione Digitale, Alex Bornyakov, ha specificato come 60 milioni sono stati già accolti dall’exchange Kuna, mentre il resto è stato destinato a fondi più piccoli.

Durante lo stesso briefing – “Digital resistence: how Ukraine is leveraging technology to fight for freedom” – ha anche affermato come il presidente Volodymyr Zelensky “condivide la nostra visione” sulla svolta economica che le criptomonete potrebbero portare. Ma non è tutt’oro quel che luccica, specie in questo caso. Se infatti da una parte è innegabile l’efficacia di questo tipo di transazioni, dall’altra ci si interroga sulla loro reale utilità per un Paese che ne ha davvero bisogno come l’Ucraina.

Con ordine. L’anonimato garantito da queste transazioni ha spinto anche i più scettici e impauriti a donare. Ingenti quantità di criptovalute sono arrivate anche grazie alla sensibilità dei più giovani, molti dei quali posseggono grandi portafogli. Al governo di Kyiv sono state donate anche 180 opere d’arte digitali attraverso Non Fungible Token (NFT). Parte degli aiuti sono stati già riutilizzati per comprare carburante, cibo, altri beni di prima necessità e, ovviamente, materiale bellico non letale come giubbotti antiproiettili e occhiali per vedere anche di notte. Il fondo Patreon è diventato lo strumento principale del crowfounding e ha destinato le donazioni ricevute a diversi enti, incluso il quotidiano The Kyiv Independent.

Tuttavia, come ricordano ucraini e russi (seppur con motivazioni differenti), in Ucraina la guerra va avanti dal 2014, anno dell’invasione della Crimea. Per questo, aiuti assistenziali sotto forma di criptomonete a favore dell’Ucraina non sono una novità, ma arrivano da ben otto anni. Da quel momento, ad esempio, l’ong Come Back Alive ha raccolto oltre 7 milioni di dollari, conquistandosi l’appellativo di “principale fondo caritatevole” assegnatole dal governo ucraino.

Il conflitto in corso ha però accelerato questo processo. Pochi giorni prima che Putin desse il via all’invasione, il governo ucraino si era aperto alle donazioni in criptomonete offrendo le relative garanzie legali per trasformarle in soldi veri. Una decisione nata dal grande flusso interno di criptomonete, di cui i cittadini si servono sempre di più. Non a caso, l’Ucraina è il quarto Paese al mondo per utilizzo.

A settembre scorso il Paese si era mosso già in questo senso legalizzando le criptomonete. Di conseguenza è stato possibile iniziare la conversione in monete tradizionali, un’operazione adesso essenziale per far sì che gli aiuti all’Ucraina possano davvero servire a qualcosa. E il punto nevralgico della questione sta proprio qui. Come si chiede il Washington Post, cosa potrà mai farci l’Ucraina con un NFT? O meglio, fino a quando la conversione in valute fiat sarà una condizione necessaria per dare un senso alle monete digitali, è davvero una buona mossa continuare a inviarle al posto di denaro “vecchio stile”?

La risposta è facilmente deducibile. In primis perché, nonostante l’annuncio del governo, né il Ministero della Difesa né tantomeno la Banca nazionale ucraina sembrerebbero predisposte a ricevere questo tipo di donazioni. Subito dopo, per via della loro volatilità che potrebbe improvvisamente far calare il valore delle criptomonete (non che quelle classiche siano al riparo). Non da ultimo, il pericoloso connubio tra l’opacità di queste ultime e la corruzione che dilaga in Ucraina che, nell’ultimo report dell’ong Transparency International, si è classificata 122esima su 180 Paesi. Sono molti infatti gli analisti che guardano con sospetto a questo mondo, frequentato anche da riciclatori, terroristi e criminali di altri tipo che sfruttano la crittografia per i loro affari.

C’è poi un’altra questione a tenere banco e si riferisce alla moralità. Non è blasfemia affermare che la solidarietà alcune volte (poche, per fortuna) viene utilizzata per tornaconti personali. La risposta al perché delle molte donazioni per l’Ucraina potrebbe essere riassunta dunque in una parola: visibilità. Mettere il proprio timbro, o meglio i propri soldi, sulla questione significherebbe infatti dare sì una mano, ma facendosi identificare come il benefattore.

Certo, meglio di chi ha sfruttato per fini più loschi l’idea del governo ucraino di distribuire token gratuiti di una nuova criptomoneta a tutti coloro che avrebbero donato per supportare il Paese contro l’esercito russo. Così, i token “Paceful World” sono diventati oggetto di una truffa e dopo dodici ore il governo ha virato sugli NFT.

Dietro la grande ondata di solidarietà digitale in aiuto dell’Ucraina si nasconde perciò dell’altro, che porta a riflettere sul loro reale impatto nella guerra e su quanto, forse, non sia preferibile utilizzare i canali tradizionali – vietati, per la Russia.  Ma le criptovalute ormai sono attrici protagoniste del conflitto.

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