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Gas e stabilità. Blinken in Algeria e Marocco

Gli Stati Uniti cercano in Nord Africa (tra Algeria e Marocco) la via per un complicato equilibrio tra disimpegno e necessità di costruire un’architettura di sicurezza regionale che protegga l’energia e controlli le questioni geopolitiche più scabrose

L’amministrazione Biden ha un rinnovato interesse per il Nord Africa, e lo dimostra con una doppia visita in Algeria e Marocco del segretario di Stato, Antony Blinken, preceduta da una analoga della sua vice, Wendy Sherman. È una quantità insolita di attenzione espressa tramite figure di alto livello, anche se non è chiaro esattamente cosa sia in ballo, fa notare una fonte diplomatica regionale.

Il canale potrebbe essere di doppio valore. Con l’Algeria probabilmente si tratta per chiedere un aumento delle forniture di gas che vende in Europa. Una via che, come dimostrato anche dalla trama che l’Italia sta tessendo tra i propri fornitori (l’Algeria provvede al 27 per cento del fabbisogno annuo di Roma), serve per portare avanti la complicata diversificazione dalle fonti russe. Progetto che si è reso praticamente un’emergenza adesso che Vladimir Putin ha iniziato la sua guerra in Ucraina (dimostrandosi per quel che è: un interlocutore poco potabile).

Qualcosa di simile d’altronde è successo con il Qatar subito dopo l’inizio dell’invasione russa. È una tattica d’emergenza più che una strategia ampia, che nasce appunto dalla condizione in cui l’attacco di Putin ha messo il mondo — o meglio, ciò che l’attacco di Putin ha dimostrato, calcando e allargando crepe e problematiche pre-esistenti.

La costruzione di un’architettura di sicurezza energetica è complessa (forse l’aggressione Ucraina potrebbe produrre scatti), così com’è complicata la scelta per gli Stati Uniti sul cosa fare della Russia — a maggior ragione adesso che è guidata da un leader con cui si fatica a comunicare. Le richieste a Paesi come l’Algeria di aumentare le forniture all’Europa per mettere contemporaneamente in maggiore difficoltà/isolamento la Russia è una “risposta facile”, spiega un altro ex diplomatico, ma “non definitiva”.

“Anche perché nel caso specifico dell’Algeria tutto è anche connesso alle pesanti dinamiche regionali come quelle in Libia e Tunisia (dove il presidente Kais Saied ha sciolto il parlamento aggravando la crisi internazionale), su cui invece l’amministrazione statunitense non sembra particolarmente interessata a giocare il suo ruolo politico e diplomatico”, aggiunge.

Di questo probabilmente si è parlato con il Marocco, che ha sempre mantenuto una certa distanza da quanto accade poco lontano ai propri confini, e che invece adesso — anche per effetto dell’inclusione negli Accordi di Abramo e nel sistema di dialogo diplomatico che Israele ha inaugurato nel Negev — potrebbe essere chiamato a fare qualcosa in più. Peraltro con Rabat e Algeri che sono ai ferri corti proprio perché effetto di quegli accordi, attraverso i quali l’allora amministrazioni Trump ha scelto di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale, dove gli algerini sostenevano da anni le attività indipendentiste del Fronte Polisario.

Questa policy americana per l’area, che aveva fatto infuriare Algeri, è stata mantenuta da Joe Biden, che adesso potrebbe avere interesse a evitare che dissapori degradino in forme di destabilizzazione tra Marocco e Algeria, perché queste si andrebbero ad aggiungere a quelle di Tunisia e Libia, e potrebbero avere effetti a cascata nel Sahel.

Qui va anche sottolineato che le forniture di gas algerino all’Europa sono recentemente diminuite quando l’Algeria ha smesso di usare un gasdotto — che attraversa il Marocco e arriva in Spagna — a causa della disputa sul Sahara Occidentale. Migliorare la relazione Marocco-Algeria è la partita complicata e non emergenziale, parte del dossier regionale.

L’Algeria potrebbe chiedere agli Stati Uniti di revocare o di rimodulare in qualche modo la policy sul Sahara Occidentale in cambio di una partecipazione più attiva alle questioni regionali e allargate? Questa eventuale deviazione potrebbe insospettire il Marocco, che invece gli Stati Uniti vogliono coinvolgere sulla Libia, dove la produzione di petrolio è in calo scontando immediatamente gli effetti destabilizzanti di uno “stallo istituzionale” — per usare le parole con cui il ministro Luigi Di Maio descrive l’assenza di un esecutivo unitario e attivo.

Dal punto di vista tecnico, è probabile che l’Algeria abbia poca capacità di aumentare la produzione (e d’altronde se la avessero avuta, visto i vantaggi del mercato, starebbero già spingendo su questa strada). È il principale dei problemi del settore energetico africano, potenzialmente molto proficuo ma con infrastrutture che richiederebbero investimenti, i quali però faticano ad arrivare a causa di quelle condizioni di insicurezza regionale. Ecco perché tutto si lega.

Va anche considerato che Gazprom, il gigante russo il cui leader Igor Sechin è sanzionato perché intimo del cerchio del potere putiniano, è pesantemente coinvolta nel settore del gas in Algeria — ed è possibile che questo coinvolgimento si colleghi proprio a una previsione strategica con scenari di questo tipo. Di fondo: tagliare le connessioni con la Russia è complicato per Algeri, che con Mosca ha base storica.

L’amministrazione statunitense sembra intenzionata “a cercare soluzioni a breve termine e questo suggerisce che al momento, almeno su certi quadranti, non intenda affrontare le implicazioni a lungo termine della guerra in Ucraina”, aggiunge la fonte di Formiche.net, “ma d’altronde è parte di un disimpegno in corso e non è detto che tutto sia negativo, anzi”.

Ottenere una politica energetica strutturata, che coinvolga tutte le capacità del settore privato statunitense ed europeo, è una delle sfide politiche geostrategiche chiave e più critiche dei nostri tempi. Per Washington è comunque una priorità, perché è difficile pensare che gli americani possano ottenere vantaggi sul grande rivale cinese se non hanno una qualche forma di controllo (partecipazione) sulle politiche energetiche internazionali, che sono inevitabilmente connesse alle questioni geopolitiche più scabrose.


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