Il governo italiano sigla un accordo che punta a portare a quasi 30 miliardi all’anno i metri cubi di gas importati dal Paese africano. Ma per salutare Mosca serve di più. Il commento di Diego Gavagnin e le parole di Draghi ad Algeri
L’obiettivo è chiaro e non poteva essere altrimenti: liberarsi, il più rapidamente possibile, dal gas russo (qui l’intervista all’economista Jean Paul Fitoussi) e magari smetterla con il finanziare indirettamente l’invasione dell’Ucraina decisa da Vladimir Putin. Con ogni probabilità, quando l’aereo con a bordo Mario Draghi e Luigi Di Maio, poco dopo le 12 italiane è atterrato ad Algeri, erano questi gli auspici del premier e del ministro degli Esteri italiani.
ADDIO ALLA RUSSIA (VIA ALGERIA)
In palio, non c’era solo un taglio secco con le forniture di Mosca, ma anche la progressiva messa in sicurezza degli approvvigionamenti di gas per l’Italia. Draghi e Di Maio sanno d’altronde fin troppo bene che lo Stivale senza il gas russo andrebbe incontro a un ripiegamento del Pil. Lo dice Bankitalia, lo dice Confindustria e lo dice lo stesso governo, che nel Def fresco di approvazione da parte del Consiglio dei ministri ha drasticamente tagliato le previsioni di crescita del Pil, al 3,1%.
E allora, serve il piano B, alias raddoppiare l’import di gas dall’Algeria, aggiungendo circa 9 miliardi di metri cubi all’anno ai 21 già forniti all’Italia in quota Eni attraverso il gasdotto Transmed nel 2021. Una quantità addizionale che vale circa un terzo di quei 30 miliardi di metri cubi che arrivano dalla Russia. L’Algeria è attualmente il maggiore fornitore dell’Italia dopo la Russia. Ma ora la classifica potrebbe essere ribaltata, visto che dopo Pasqua Draghi sarà anche in Congo, per la firma del contratto che garantirà altri 5 miliardi di metri cubi di gas. Ancora non sono state programmate, invece, le tappe in Mozambico e Angola.
ROMA CHIAMA ALGERI
La prima pietra è stata posata, grazie all’accordo stretto tra lo stesso Draghi, accompagnato per l’occasione oltre che da Di Maio anche dal ministro per la Transizione, Roberto Cingolani e dal ceo dell’Eni, Claudio Descalzi, che ha sottoscritto con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune un protocollo di intesa intergovernativa accompagnato da un accordo tecnico tra la stessa Eni e Sonatrach, il gruppo energetico algerino.
L’intesa stretta con il governo algerino prevede l’aumento sostanziale delle forniture. Realisticamente, tuttavia, Algeri potrebbe aumentare il gas inviato in Italia di 2-3 miliardi di metri cubi entro l’anno e aggiungerne altri 4-5 miliardi più avanti. In caso di riscontro positivo dalla Libia, se ne aggiungerebbero altri 2 a stretto giro. In ogni caso non una soluzione miracolosa né sufficiente per colmare un’ipotetica interruzione dei flussi russi.
“I rapporti tra Italia e Algeria hanno radici profonde”, ha sottolineato Draghi. “L’Algeria è il primo partner commerciale dell’Italia nel continente africano – e l’interscambio tra i nostri Paesi è in forte crescita. A novembre, c’è stata la visita del Presidente della Repubblica con l’intitolazione del giardino Enrico Mattei (fondatore dell’Eni, ndr). Mattei è stato un grande protagonista della collaborazione tra i nostri Paesi, una collaborazione che oggi rafforziamo ulteriormente. Oggi i governi di Italia e Algeria hanno firmato una dichiarazione d’intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia. A questa si aggiunge l’accordo tra Eni e Sonatrach per aumentare le esportazioni di gas verso l’Italia”.
Come spiega a Formiche.net Diego Gavagnin, esperto di energia e coordinatore di ConferenzaGnl, “l’accordo siglato in Algeria mi pare certamente un primo passo verso una progressiva emancipazione dalla Russia. Se non altro perché se sommiamo i volumi che garantisce Eni con quelli frutto dell’intesa, si arriva a circa un terzo dei flussi che oggi arrivano dalla Russia”, spiega Gavagnin. “Molto tuttavia dipenderà dall’andamento della domanda in Italia. Se la domanda di gas in Italia dovesse diminuire, sarà certamente un cattivo segnale per l’economia perché vuol dire che molte industrie chiudono. Tuttavia, un calo della domanda potrebbe ridurre il fabbisogno e dunque farci bastare il gas algerino e salutare Mosca”.
LA PARTITA AMERICANA
A rendere più plausibile uno sganciamento dalla Russia, c’è anche la possibilità di importare gas liquido dagli Stati Uniti. Il problema è semmai l’infrastruttura, che in Italia non è sufficiente. Ovvero i rigassificatori. Il gas, infatti, viene liquefatto al punto di partenza: il processo chimico-fisico prevede che la materia prima venga compressa fino a 138 volte per stivarne il più possibile nelle navi che poi viaggiano verso la destinazione finale. Qui, il metano viene lavorato nei rigassificatori per tornare al volume originale e immesso nella rete locale. Sono dunque la chiave di volta dell’indipendenza energetica e possono essere realizzati onshore oppure offshore, al largo delle coste marittime. Oggi in Italia sono in funzione tre rigassificatori, che coprono il 20% del fabbisogno annuale di gas. Uno è onshore e si trova a Panigaglia, nella provincia di La Spezia. Gli altri due sono offshore e sono installati a Rovigo e a Livorno. Troppi pochi.