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Effetto Putin. Germania e Ue si scoprono troppo dipendenti dalla Cina

Cina Ue

Oggi è più che mai evidente il rischio di dipendere economicamente da un’autocrazia. Con la guerra russa in mente, anche Berlino sta riflettendo sulla propria esposizione alle decisioni del partito-Stato. Mentre la relazione Bruxelles-Pechino continua a deteriorarsi

Questa settimana Vladimir Putin ha ufficialmente aperto la guerra del gas, dando seguito alla sua promessa di ricatto all’Europa: pagatemi in rubli, o niente forniture. Con buona pace dei contratti e, per estensione, dell’ordine mondiale basato sulle regole. Trasformando il gas in una leva geopolitica, lo zar sta ricordando ai Paesi europei (nel peggiore dei modi) cosa può significare la dipendenza economica da un’autocrazia.

In Germania, il Paese più esposto alla Russia per via del gas, Putin sta facendo cambiare idea anche ai più ferventi sostenitori dell’ostpolitik verso il Cremlino. E coloro che ora vedono la vicinanza alla Russia come un errore storico iniziano a temere che Berlino stia commettendo lo stesso errore con Pechino. La Cina è il maggior partner commerciale della Germania da sei anni di fila. Nel 2021 le importazioni cinesi in Germania ammontavano a 142 miliardi di euro, un incremento del 20% rispetto al 2020, secondo i dati tedeschi rilanciati (non senza giubilo) dall’emittente cinese CGTN.

Non è un problema solo tedesco: la Cina è diventata la maggior esportatrice verso l’Unione europea nel 2021, e l’anno scorso le importazioni europee valevano 823 miliardi, secondo Bloomberg. Il legame è destinato a rinsaldarsi, dato che la transizione ecologica e digitale dell’Ue è impossibile senza le materie prime e i prodotti cinesi – come il polisilicio per i pannelli solari, o i metalli per le batterie. Ma le relazioni diplomatiche tra Ue e Cina stanno viaggiando in senso opposto.

A Bruxelles non è sfuggita la posizione cinese sull’invasione russa dell’Ucraina. La neutralità di facciata equivale al rifiuto da parte cinese di utilizzare la propria influenza per fermare le ostilità, e il fatto che poco prima dell’invasione Xi Jinping e Putin si siano promessi “amicizia illimitata”non fa ben sperare. Il carico ucraino appesantisce un dialogo in difficoltà crescente, come è emerso all’ultimo summit Cina-Ue, come dimostrano l’accordo sugli investimenti (il Cai) ancora congelato, le sanzioni cinesi sugli europarlamentari, la diatriba Cina-Lituania.

I paralleli con la Russia (dipendenza energetica inclusa) sono difficili da ignorare, l’immensità dell’interscambio commerciale li rende molto più minacciosi. Se domani Xi decidesse di comportarsi come Putin, in che posizione si troverebbero gli europei? “La lezione principale che dovremmo imparare dalla guerra della Russia in Ucraina è che il commercio da solo non cambia il modo di agire dei paesi autoritari”, ha detto il ministro degli esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, in un’intervista recente; “quando parliamo della Cina, vediamo chiaramente che si stanno sviluppando nuove dipendenze”.

Anche a Berlino sono preoccupati. Settimana scorsa il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner ha detto a un summit che la Germania ha bisogno di rinnovare il proprio modello di business per ridurre la dipendenza economica dalla Cina. Gli ha fatto eco Lars Klingbeil, uno dei due capi dell’Spd di Olaf Scholz, parlando della necessità di imparare dagli errori tedeschi in politica estera sul fronte russo e “porre fine alla dipendenza dalla Cina”.

Quando le aziende europee considerano gli aspetti geopolitici (oltre alle catene di approvvigionamento macellate dalle varie crisi) il Celeste Impero diventa sempre meno attraente. Un sondaggio della Camera di commercio tedesca in Cina ha rivelato l’impatto della guerra in Ucraina sulle aziende tedesche sul posto. Quasi metà degli intervistati trova il mercato cinese meno attraente, un terzo vuole sospendere gli investimenti e i piani, il 10% vuole spostare le operazioni fuori dalla Cina e il 27% spera nella diversificazione in Asia. E quel sondaggio precedeva i nuovi lockdown imposti da Xi.

Non tutti nell’economia più grande d’Europa sono convinti: c’è l’esempio di Volkswagen – che assembla milioni di auto in Cina e necessita di materiali e batterie cinesi per elettrificare la sua flotta – per per cui una delle priorità è espandere le proprie operazioni locali, come ha dichiarato il Ceo Herbert Diess. Gli esempi si moltiplicano allargando il campo anche al resto d’Europa.

L’evolversi della situazione geopolitica potrebbe aprire la strada ad altri ripensamenti, così come sta avvenendo per il gas russo. Ma le dipendenze europee dalla Cina sono molto superiori e molto più varie, e l’Ue al momento non potrebbe nemmeno considerare di reagire a Pechino come sta reagendo all’aggressione del Cremlino. Il mercato europeo si sta accorgendo che ridurre questa dipendenza è una priorità strategica e contemporaneamente una delle sfide più intricate del secolo.



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