La battuta di Draghi sui condizionatori e il voto del Parlamento europeo fanno sorgere la domanda: come si rimedia alla mancanza di gas dal Cremlino? Si può fare, ma sarà faticoso e ci vorrà la volontà politica. Tra razionamento, RePowerEu e azioni comuni, ecco come l’Ue e l’Italia possono tappare i tubi di Putin
“Preferite la pace o il condizionatore acceso tutta l’estate?”. La domanda retorica del presidente del Consiglio Mario Draghi incapsula una realtà con cui diversi Stati europei stanno già facendo i conti: se decidiamo – come ha fatto il Parlamento europeo – che l’embargo sull’energia del Cremlino sia l’unica strada per frenare la sua volontà di continuare la guerra in Ucraina, dovremo adottare misure scomode, anche dolorose.
Stando all’ultimo sondaggio Ispi l’86,6% degli italiani sarebbe disposta a ridurre i consumi energetici, sia personali che familiari. Il computo è certamente influenzato dalle bollette alle stelle e dalla bella stagione in arrivo, oltre alla volontà di dare un (seppur minimo) contributo alla risoluzione della crisi ucraina. Ma il dato, per quanto meritorio, va affiancato alla cruda realtà.
Oltre il 40% dell’energia utilizzata in Italia arriva dal gas, di cui il 33% (stime Bruegel) proviene dalla Russia. Anche tralasciando le importazioni russe di petrolio e carbone, meno incisive sul mix energetico nazionale e facilmente sostituibili, sarà difficile fare a meno del gas russo. E la buona volontà dei cittadini va bilanciata con la necessità delle industrie energivore – ceramica, vetro, gomma plastica, metalli –, già stremate da mesi di bollette del gas dalle cinque alle otto volte superiori a quelle dell’anno scorso.
Questo non ha impedito a Germania e Austria, Paesi europei con situazioni comparabili, di iniziare a parlare di razionamenti già da quando Vladimir Putin ha minacciato di costringere i Paesi “ostili” a pagare il gas in rubli (salvo poi fare diversi passi indietro). Sabato scorso la piccola Lituania – che importava il 70% del proprio gas dalla Russia ma ha costruito un rigassificatore, chiamato “Indipendenza”, per sottrarsi al giogo del monopolista russo – ha annunciato il primo blocco totale in Ue. Altri Stati meditano di seguirla.
Nell’ottica di riuscire a fare a meno del gas russo, il piano che sta prendendo piede in Ue prevede la diversificazione e l’accelerazione della transizione energetica. Mercoledì la Commissione ha annunciato che fornirà assistenza tecnica a 17 Paesi (tra cui l’Italia) nell’attuazione del piano RePowerEu. Ma si tratta comunque di un piano che mira a disfarsi dell’energia russa nel giro di tre anni, al minimo. Nel frattempo occorrerà considerare come cavarsela senza gas russo. Il think tank Bruegel, uno dei più ascoltati a Bruxelles, aveva stimato che l’Ue può resistere fino alla primavera 2023 – ma questo scenario richiederà sacrifici.
L’analisi di Bruegel risale a fine febbraio e non tiene conto del gas che ha continuato a fluire ininterrotto finora. Tuttavia, “anche importazioni record non russe non sarebbero sufficienti a riempire sufficientemente lo stoccaggio in vista del prossimo inverno. L’Europa dovrebbe ridurre la propria domanda di almeno 400 TWh (il 10%-15% della domanda annuale)”. Questo è possibile, scrivevano, aggiungendo che “un portafoglio di opzioni eccezionali potrebbe tagliare almeno 800 TWh”.
Oggi (giovedì 7 aprile, ndr) il Parlamento europeo ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione che chiede di adottare “un embargo completo e immediato sulle importazioni russe di petrolio, carbone, combustibile nucleare e gas”. Da Strasburgo hanno anche specificato che in parallelo ci vorrebbe anche un piano per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Ue, più una strategia per revocare le sanzioni in caso di ritirata russa dall’Ucraina.
Non sta agli europarlamentari imporre le sanzioni, che sono appannaggio degli Stati, e quelli d’accordo sull’embargo devono ancora vedersela con il veto ungherese e le preoccupazioni tedesche. Qualora si procedesse con un embargo parziale, ci sono i nodi economici: il prezzo del gas è sempre altissimo e scoraggia gli operatori privati che devono acquistarlo e pomparlo nelle riserve.
Una soluzione al vaglio dei Ventisette sono gli acquisti e lo stoccaggio comuni. Poco progresso finora, ma le parole di Draghi dopo l’incontro romano con il premier olandese Mark Rutte offrono un filo di speranza. “Siamo pronti a ulteriori passi anche sull’energia insieme ai nostri partner europei”, ha detto, ventilando l’ipotesi di misure comunitarie eccezionali sulla falsariga del debito comune emesso durante la pandemia. “Dobbiamo ritrovare lo stesso spirito sul fronte della politica energetica e della politica economica. C’è bisogno di soluzioni strutturali”.
Un’altra arriva da oltreoceano, nella forma di gas naturale liquefatto promesso dagli Usa (a tal proposito ieri un gruppo di funzionari europei ha incontrato una dozzina di rappresentanti dell’industria americana), che dovrebbe metterci parzialmente al riparo dalla fame asiatica per la risorsa. Ma la scommessa “gas o pace” si gioca anche sulla possibilità che la Russia fallisca prima; le stime variano, ma si parla di poche settimane in assenza di introiti energetici europei.