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L’industria automobilistica vuole andare nello Spazio. L’opinione di Spagnulo

Due miliardi di euro, a tanto potrebbe ammontare l’investimento del gruppo automobilistico tedesco Porsche Automobil Holding SE in un progetto satellitare per connettere i futuri veicoli elettrici a guida autonoma. E così la guerra commerciale con la Tesla Motors di Elon Musk va in orbita. L’opinione dell’ingegnere esperto aerospaziale

Amazon e SpaceX stanno realizzando due costellazioni satellitari, Kuiper e Starlink, perché sono dei pionieri industriali di un mercato planetario in cui gli assetti spaziali non costituiscono il core-business ma bensì degli strumenti funzionali a sviluppare il loro nuovo modello economico. Per questo i satelliti, e i razzi per lanciarli, devono essere di loro proprietà e talmente numerosi da essere pervasivi su tutto il pianeta.

Uno dei mercati globali di questo nuovo modello economico è quello automobilistico, e infatti non è un caso che il progetto Starlink faccia parte di una holding di aziende, tutte facenti capo a Elon Musk, tra cui la Tesla Motors.

È molto probabile che proprio le grandi imprese transnazionali come le case automobilistiche possano essere la seconda ondata di pionieri industriali ad adottare un modello di business che integri nella loro sfera industriale anche la proprietà, o la comproprietà, dei satelliti e dei razzi per lanciarli.

Un chiaro segnale in questa direzione viene dalla Repubblica Popolare Cinese dove l’anno scorso la più grande casa automobilistica di proprietà privata, la Zhejiang Geely Holding – che nel 2010 ha acquistato la Volvo Cars – ha avviato la progettazione e produzione di satelliti presso l’impianto industriale di Taizhou, nella provincia di Zhejiang, per lanciare una costellazione satellitare a supporto dei suoi futuri veicoli autonomi.
L’obiettivo dichiarato di Geely è di utilizzare una propria rete di satelliti Leo per connettere i veicoli con sistemi proprietari di diagnostica, navigazione e comunicazione con il massimo livello di sicurezza, di precisione centimetrica e di continuità di connessione.

Nel febbraio 2021, la National development and reform commission (Ndrc) di Pechino ha approvato il piano industriale della Geely che verrà implementato da una sussidiaria della Geely Technology Group, la neonata Geespace, per la produzione dei satelliti.

Stati Uniti e Cina non sono gli unici Paesi dove le case automobilistiche guardano allo Spazio come un moltiplicatore economico terrestre.

Come avevamo già scritto l’anno scorso anche il gruppo Porsche-Volkswagen progetta una costellazione satellitare che comincia oggi a prendere forma concreta.

Secondo la rivista francese L’Express, il gruppo automobilistico tedesco starebbe pianificando un investimento di due miliardi di euro in un innovativo sistema satellitare per connettere la prossima generazione di vetture ibride, elettriche e a guida autonoma.

Il progetto, sinora tenuto sotto estremo riserbo, dovrebbe essere gestito da Porsche Digital GmbH, una sussidiaria della holding che si occupa di tecnologia digitale e che impiega oltre 200 esperti in nove Paesi. Va sottolineato che il gruppo Porsche Automobil Holding SE possiede il 31% del capitale della Volkswagen e include i marchi Volkswagen, Audi, Seat, Skoda, Bentley, Bugatti, Lamborghini, oltre agli autocarri Scania e Man. Il progetto satellitare, quindi, andrebbe a coinvolgere molti modelli per applicazioni diversificate di mobilità.

Nel 2021 la Porsche SE aveva acquisito una piccola partecipazione – meno del 10% – nella società Isar Aerospace Technologies GmbH basata a Monaco di Baviera, una delle tre start-up tedesche che progetta nuovi veicoli di lancio per mettere in orbita satelliti di taglia ridotta.

Se ci fossero ancora dei dubbi su come lo spazio sia ormai un terreno di confronto militare ed economico, le prospettive di guerra commerciale globale che si stanno per concretizzare nel mondo automobilistico – che peraltro sta andando incontro a una transizione produttiva verso l’elettrificazione – sono solo l’annuncio di quello che potrà avvenire in altri settori industriali.

La posta in gioco nell’orbita terrestre è enorme e va ben oltre il quadro dell’industria automobilistica che pure ne è pioniere.

Il mondo dei veicoli autonomi è funzionale a sviluppi strategici applicabili in settori diversi e in grado di assicurare un predominio globale a chi ne padroneggiasse per primo le funzionalità.

La preoccupazione principale della guida autonoma è la connettività, non tanto per l’Internet e l’intrattenimento quanto per la diagnostica, la navigazione e la guida. Si possono prevedere elaborazioni di bordo integrate a sensori, quali telecamere e lidar, per la guida, ma occorre assicurare anche connessione continua e resiliente in ogni condizione. Una volta usciti da aree urbane, non si può fare davvero affidamento sui ripetitori, tanto che ancora oggi spesso la qualità della connessione scende a 2G. E qualunque cosa accada nel prossimo decennio (5G e oltre) bisognerebbe installare ovunque ripetitori cellulari per avere stabilità continua, ecco perché le case automobilistiche guardano alle costellazioni satellitari.

Oggi gli Usa dominano l’intera catena del valore di questo mercato: dalla costruzione dei satelliti al loro lancio e possono integrarne i dati grazie al predominio del Gps e al mondo digitale sviluppato dai Gigacapitalisti – titolo di un ottimo libro di Riccardo Staglianò – denominati Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft). A cui bisognerebbe aggiungere la S di SpaceX per completezza.

Quanto alla Cina, è ormai a un livello avanzatissimo grazie alle sue aziende all’avanguardia come Baidu, Tencent e Xiaomi, ai suoi satelliti di navigazione globale Beidou, e a un’industria automobilistica in forte espansione con marchi come Nio, Geely e Saic Motors.

In Europa circola un terzo del parco auto mondiale – circa 400 milioni contro 350 milioni negli Stati Uniti e 530 milioni in Asia – pertanto gli assetti spaziali per il settore industriale automobilistico non rappresentano soltanto una questione di sovranità ma anche un elemento strategico di sopravvivenza commerciale. A meno di non voler diventare meri acquirenti di beni prodotti altrove, cosa che potrebbe comportare ovvie conseguenze di desertificazione industriale.

Forse il segnale che arriva da Porsche sta a significare che anche in Europa potrebbe essere il settore industriale privato, e non le agenzie governative, a tracciare una nuova rotta strategica per le attività spaziali dei prossimi anni. In ogni caso si tratta di un campanello per le istituzioni nazionali e per le agenzie, in primis l’Esa, a ripensare il proprio ruolo e le future progettualità a fronte del mutato contesto globale.

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