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Nucleare iraniano, ripartono i colloqui. Con una novità israeliana

L’Alto rappresentante Ue annuncia il riavvio dei talks sull’accordo per il nucleare iraniano. Le prossime riunioni, probabilmente in Qatar, potrebbero avere dalle retrovie una forma di sostegno tattico da Israele

Diversi generali israeliani, tra cui il capo dell’intelligence militare, hanno iniziato a sostenere in modo più pressante e aperto il ritorno all’accordo Jcpoa del 2015. La posizione sull’intesa – che congelava il programma nucleare iraniano, prima dell’uscita statunitense del 2018 – va contro la politica ufficiale di Israele.

La notizia è stata pubblicata dal sito dello Yedioth Ahronot, Ynet, domenica 27 giugno mentre le potenze mondiali si preparano a riconvocare i colloqui tenuti finora a Vienna per rilanciare i tentativi di ricomporre il Jcpoa dopo mesi di stallo.

Ufficialmente, Israele si oppone: come sette anni fa, quando condusse una campagna al momento della firma, continua a considerare l’Iran inaffidabile e incapace di mantenere i propri impegni. Per lo Stato ebraico la linea è costante, indipendentemente dal governo: l’Iran sta cercando di dotarsi di un deterrente nucleare, lo sta facendo in segreto, non è un interlocutore affidabile. Da aggiungere che Israele – come i Paesi del Golfo – subisce le minacce (e le aggressività) della politica espansionistica iraniana giocata attraverso attori proxy come le milizie sciite.

Tuttavia, alti funzionari dell’intelligence sono arrivati a pensare che in fin dei conti un cattivo accordo sia preferibile a nessun accordo. Questo racconta anche come il Jcpoa, sebbene non costruito con questo fine diretto, sia percepito da diversi attori come una parte dell’architettura di sicurezza regionale.

Architettura che per altro è in costruzione anche attraverso un dialogo tra Israele, Stati Uniti e Paesi arabi. Secondo informazioni raccolte dal Wall Street Journal, che sull’argomento è molto avanti, il Centcom statunitense ha ospitato a marzo, a Sharm el Sheikh, un incontro segreto a cui hanno partecipato rappresentanti da Israele, Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Giordania.

Questo sarebbe il primo meeting del genere a cui hanno preso parte direttamente sauditi e israeliani, due Paesi precedentemente divisi da posizioni ideologiche che Washington sta cercando di avvicinare. Parte della normalizzazione dei rapporti riguarda l’assestamento di dinamiche geostrategiche e geoeconomiche, ma il peso dell’Iran come nemico comune non è secondario – questo attualmente tocca anche la Turchia.

Contemporaneamente, in questi giorni i principali funzionari dei ministeri degli Esteri di Israele, Egitto, Bahrain, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Marocco parteciperanno alla prima riunione del Comitato direttivo del Forum del Negev. L’incontro che si terrà a Manama è una formalizzazione e un’attuazione degli impegni presi a marzo durante il Negev Summit. L’obiettivo è trasformare l’incontro in un forum permanente. Si creeranno dei gruppi di lavoro, che si occuperanno di sicurezza regionale, sicurezza alimentare e idrica, energia, salute, istruzione e tolleranza e turismo. Ciascuno dei sei paesi sarà a capo di un gruppo di lavoro, che si riunirà due o tre volte l’anno.

Nell’ultimo anno le Forze di Difesa Israeliane hanno intensificato gli sforzi per preparare una minaccia militare credibile contro l’Iran, con decine di jet da combattimento dell’aviazione israeliana che hanno per esempio condotto manovre aeree sul Mar Mediterraneo simulando di colpire le strutture nucleari iraniane all’inizio di questo mese.

Di questa deterrenza fanno parte anche gli Stati Uniti, che la ritengono un piano B dovesse saltare completamente il dialogo sul Jcpoa. Altrettanto i grandi player regionali, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi o l’Egitto e Qatar, non possono essere tenuti fuori da certi tipi di discussioni. Soprattutto alla luce di quelle distensioni e quegli allineamenti in atto.

La posizione maturata tra la Difesa israeliana potrebbe avere ragioni tattiche: stante l’assenza di fiducia nei confronti dell’Iran, si preferirebbe un accordo adesso che potrebbe permettere di prendere tempo e creare un’opzione di deterrenza armata più strutturata e integrata.

C’è anche una lista di nomi di ufficiali a sostegno di un ritorno all’accordo elencati da Ynet. Tra questi il capo della Direzione dell’Intelligence militare dell’IDF, il generale Aharon Haliva; e poi il generale di brigata Amit Saar, che dirige la Divisione di ricerca dell’Intelligence militare; l’0mologo, Oren Setter, il capo della Divisione strategica dell’IDF; e il Tal Kelman, l’ufficiale militare responsabile degli affari con l’Iran.

Per quanto noto, anche il ministro della Difesa del governo uscente, Benny Gantz, sarebbe favorevole a un ritorno all’accordo. Gantz ha già detto di essere favorevole a un accordo “più ampio, più forte e più lungo”.

Un’altra parte dell’apparato israeliano, guidata dal capo del Mossad, David Barnea, e da quello dell’IDF, Aviv Kohavi, ritiene pericoloso un ritorno al Jcpoa. Secondo Ynet, il Mossad sostiene che un accordo è negativo per Israele e che al massimo gli permetterebbe di avere due anni e mezzo di tempo in cui l’Iran non avanzerà nelle sue capacità nucleari. Separatamente, l’articolo scrive che il Mossad ritiene la divulgazione delle posizioni degli ufficiali dell’intelligence come finalizzata a influenzare il primo ministro entrante Yair Lapid, affinché sostenga un ritorno all’accordo.

Non è usuale che certe dinamiche politiche interne arrivino a toccare temi così delicati per la strategia israeliana. “L’establishment della difesa sta affrontando la minaccia iraniana giorno e notte come la questione strategica più importante e urgente per la sicurezza di Israele”, ha dichiarato Gantz su Twitter. “Questo viene fatto in coordinamento tra tutte le forze di sicurezza e, pur lasciando libertà di opinione, le decisioni vengono prese dai vertici politici”. “Continueremo a tenere questo discorso aperto e profondo solo nelle stanze chiuse. Qualsiasi altro modo danneggia la sicurezza dello Stato di Israele”, ha aggiunto Gantz.

L’accordo originale del 2015 concedeva all’Iran un alleggerimento delle sanzioni in cambio di una limitazione del suo programma nucleare, ma gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente da esso nel 2018 sotto l’allora presidente Donald Trump, che ha reimposto pesanti sanzioni economiche. Il successore, il democratico Joe Biden, ha lasciato finora tutta la panoplia sanzionatoria attiva (viene definita “strategia della massima pressione”) pur avendoIs cercato forme di contatto per ricomporre l’intesa.

L’uscita americana ha spinto l’Iran a iniziare a ridurre i propri impegni e ad arricchire l’uranio a un livello di purezza che è solo a un breve passo tecnico da quello necessario per produrre armi atomiche. I colloqui per il rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano, in stallo da tre mesi, dovrebbero riprendere a giorni, ha dichiarato sabato il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, durante una visita a sorpresa a Teheran.

Secondo le fonti consultate, quasi sicuramente saranno ospitati in Qatar – che guadagnerebbe così un’ulteriore centralità nelle dinamiche di distensione e dialogo regionale.

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