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Il conflitto ha dato al Qatar le carte giuste per giocare al tavolo dei big

Il Qatar ha l’opportunità di concretizzare le proprie ambizioni e buona parte dei propri obiettivi strategici. La crisi del gas prodotta dalla guerra russa in Ucraina apre a a uno scenario chiaro: Doha può spingere le sue produzioni per aiutare l’Europa a sganciarsi dalla dipendenza da Mosca. Questo produrrà entrate extra per il QIA, fondi da investire – con varie attenzioni – per spingere l’emirato a livello globale

Se, come scrive in un lungo approfondimento Bloomberg, il calcio e il gas naturale possono in questo momento dare al Qatar un’influenza fuori misura sulla scena globale, è anche vero che Doha da tempo lavora per costruirsi questo ruolo. L’emirato degli al Thani da anni ha scelto di tenere una linea indipendente da quelle del resto del Golfo, pesantemente influenzata dalle corti saudita ed emiratina, e di puntare in grande.

Il Qatar vuole giocare da player globale in modo quanto più autonomo possibile, e questo è anche tra le ragioni strutturali della rottura con il resto del Golfo — l’isolamento totale deciso da Riad e Abu Dhabi durato quasi quattro anni — adesso recuperata con la riconciliazione di Al Ula dello gennaio 2021.

L’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin ha costretto l’Europa a iniziare a separarsi dalle importazioni di energia russa, e gli alti funzionari europei (italiani in testa) si sono immediatamente rivolti a Doha come prima fonte da cui attingere nuovi o ulteriori o approvvigionamenti. Risultato: le esportazioni energetiche del Qatar dovrebbero già raggiungere i 100 miliardi di dollari quest’anno per la prima volta dal 2014. E l’Europa, che è stato da sempre un mercato difficile per il Qatar a causa della concorrenza russa, è protagonista di questo incremento ora che la crisi di relazioni Russia-Occidente ha raggiunto livelli estremi.

L’ex ministro dell’Energia qatarino Hamad Al Attiyah, fautore della spinta sul gas negli anni Novanta, racconta in quel pezzo su Bloomberg: “Nel 1997 o 1998 sono andato in Germania, ho incontrato funzionari tedeschi e abbiamo discusso se il Qatar potesse essere un fornitore. Mi hanno risposto: ‘Oh, non pensiamo di aver bisogno del vostro lng perché otterremo molto gas dalla Russia attraverso i gasdotti ed è più economico’“. A distanza di anni è arrivata la rivincita del ministro che proponeva la diversificazione degli approvvigionamenti, con Berlino che a metà marzo ha cercato Doha per nuovi contratti con cui differenziare gli acquisti dalla Russia.

Nel 2019, Doha ha iniziato un progetto per aumentare la sua produzione del 60 per cento entro il 2027. L’investimento da 30 miliardi di dollari che fino all’inizio della guerra sembrava un azzardo (in tempi di transizione energetica poi), adesso è una realtà. Morgan Stanley si aspetta che lo sgancio dell’Europa dall’energia russa stimoli un aumento del 60 per cento del consumo globale di lng entro il 2030. Goldman Sachs prevede che i prezzi del gas spot in Asia e in Europa saranno fino a 25 dollari per milione di unità termiche britanniche almeno fino al prossimo anno, ossia più di sei volte il prezzo di pareggio per il progetto di ampliamento previsto dal Qatar.

Tamim al Thani

Progetto di cui gli europei beneficeranno, perché è anche tramite quello che attingeranno gas naturale liquefatto qatarino nei prossimi anni – è ormai evidente che il piano di sganciamento dalla Russia si porta dietro aggiustamenti di breve e di lungo termine, producendo un potenziale superciclo nel mercato del gas.

Se la contrattualizzazione a lungo termine potrà permettere ai clienti dei qatarini di strappare prezzi migliori, al Qatar offrirà il modo di garantirsi non solo contratti, ma anche relazioni. Sulla base di questo, quell’aumento di produzione potrebbe anche essere espanso, giustificato da un mercato che sarà probabilmente molto forte per gli anni a venire, dopo che la pandemia ne aveva depresso i prezzi (come quelli di altre materie prime energetiche). Anche perché per ora la maggior parte delle forniture energetiche vendute dal Qatar va in Asia, sulla base di contratti pluriennali a cui Doha ha già annunciato di tener fede.

Il rimbalzo legato all’aumento esponenziale delle domanda quando la fase dei lockdown pandemici si è sbloccata quasi ovunque (se si fa eccezione per le politiche oltranziste cinesi, anche quelle in fase di assestamento) e poi il picco connesso alla guerra russa in Ucraina, hanno portato i prezzi del gas a quadruplicare nell’ultimo anno. Citigroup stima una crescita del 4,4 per cento quest’anno per l’economia qatarina, chiaramente connessa alle dinamiche innescate nel mercato gasifero.

In sintesi estrema, il QIA, il fondo sovrano da 450 miliardi di dollari che con le sue ramificazioni investe in ambiti strategici diversi (dal Psg agli immobili di lusso di Milano e New York, dalla borsa di Londra a Volkswagen, Airbus e Credit Suisse), riceverà ulteriori entrate che corrispondono a maggiori capacità di azione.

Extra incassi per Doha, a cui Washington ha chiesto di giocare un ruolo nel produrre stabilità e sicurezza nel mercato delle forniture energetiche durante un incontro alla Casa Bianca tra Joe Biden e l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani. Il dialogo con gli americani è un elemento di forza geostrategica, soprattutto se si considera che l’amministrazione Biden è in una fase di attrito con Riad (e Abu Dhabi) e tenendo a mente il valore centrale che la base di Al Udeid ha nella strategia regionale del Pentagono (l’infrastruttura è l’hub del comando mediorentale CentCom e una delle ragioni per cui gli apparati americani non hanno mai preso posizione nel derby del Golfo).

A tutto vanno aggiunti i 20 miliardi stimati come push di entrate collegate ai Mondiali di calcio. Evento croce e delizia, pubblicità e gancio geopolitico, ma anche base di polemiche, se si considerano le critiche che durano da anni per i diritti dei lavoratori nei nuovi impianti, costruiti per l’occasione anche con i sacrifici di chi ci ha lavorato. Migliaia di lavoratori (quasi tutti provenienti da Paesi più poveri del Medio Oriente e del Sudest Asiatico), sfruttati, vessati, alcuni morti nei cantieri, dove vivevano e lavorano in condizioni border line secondo i dati raccolti da Amnesty International e altre associazioni per i diritti umani.

Anche a queste polemiche si legano alcune evoluzioni interne per far passare l’idea di un Paese più aperto, come per esempio la recente forma parlamentare data al Consiglio della Shura. Le conseguenze economiche e geopolitiche di questo nuovo flusso di entrate rendono il Qatar più agile dei cugini del Golfo, con cui adesso ha recuperato rapporti e dialogo. Una posizione che premia Doha, qualcosa di impensabile fino a un anno e mezzo fa.

Ossia fino a quella riconciliazione con gli altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, frutto anche dell’innescarsi di dinamiche distensive di carattere regionale (molto simili a quelle che portano turchi e sauditi al dialogo per esempio e che stanno portando gli emirati a seguire la stessa strada nelle relazioni nella regione), e di un’attività bilanciata tra soft, hard e sharp power.

Se i Mondiali sono parte del primo genere di potere proiettato e il coinvolgimento (sebbene più indiretto, anche solo nell‘ambito del finanziamento) in dossier come l’ultimo conflitto interno in Libia rientrano nel campo più ruvido del coinvolgimento internazionale, altre attività — come quello sul dossier Afghanistan, innescato dalla mediazione con i Talebani — hanno un valore più affilato.

Ora la sfida per Doha è trovare un equilibrio tra le ambizioni di giocare da potenza semi-globale, la spinta agli investimenti strategici, la costruzione di un’immagine attraente. Gli obiettivi regionali, come la promessa di diversi miliardi di investimenti in Egitto, sono una sintesi efficace della strategia possibile. I fondi del QIA serviranno al Cairo (in parte per far fronte alla crisi alimentare) e arriverebbero nelle casse di un ex rivale geostrategico nell’ambito di quel rimodellamento generale dei rapporti che è in corso nel Golfo.

L’Egitto del presidente/generale Abdel Fattah al Sisi ha per anni perseguitato la Fratellanza musulmana, che era arrivata alla presidenza di Mohammed Morsi dopo le Primavere arabe, ossia attraverso passaggi sostenuti finanziariamente e ideologicamente dalla visione islamista del Qatar. Aspetto che è stato tra le ragioni che hanno prodotto l’isolamento punitivo qatarino da parte di quegli altri Paesi del Golfo, dove la Fratellanza è considerata un’organizzazione terroristica. La distensione sta portando a un accantonamento delle questioni più divisive e questo è ben visto da Washington, che intende disingaggiarsi dalla regione, aumentando il controllo da remoto, e per farlo ha bisogno di stabilità.

La scelta di come direzionare quegli investimenti (che hanno valore strategico, non solo economico) per Doha è cruciale, si diceva, anche perché ci sono precedenti non fortunati. I miliardi in Rosneft (petrolifera russa) non hanno pagato i dividendi sperati e con le attuali sanzioni aumenteranno la perdita; quelli a Gaza (verso Hamas) sono un coinvolgimento delicato ancor più in tempi in cui gli Accordi di Abramo portano gli stati arabi al dialogo con Israele per intercessione americana; quelli spesi per sostenere i ribelli anti-Assad un boomerang visto che il rais siriano è ancora al potere e sta per essere riabilitato dalla Lega Araba e dagli altri Paesi del Golfo che un tempo gli erano ostili.

Poi c’è il tema Iran, altra ragione delle precedenti divisioni con i cugini. Le monarchie sunnite del Golfo Persico sono nemiche della Repubblica islamica sciita iraniana, con cui però Doha ha necessità imprescindibile di dialogare perché condivide con Teheran il giacimento gasifero (North Field / South Pars) più grande del mondo. I qatarini sono esposti all’Iran e questa esposizione è stata un’altra delle ragioni dell’isolamento.

Ma, ancora, tutto avveniva in una stagione molto diversa dall’attuale. Ai tempi l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, ipotizzava una “Nato Araba” anti-iraniani, ora Riad cerca contatti diplomatici con Teheran. Per il Qatar, sunnita e reintegrato tra i partner del Golfo, l’innesco di questa ulteriore distensione nelle distensioni, è un altro dei fattori positivi del momento. Il gioco di equilibrio sta nel non rischiare eccessivi sbilanciamenti.

All’edizione annuale del Forum di Doha – una serie di incontri sulla politica estera che la capitale qatarina ospita sin dal 2000, segno di come certi obiettivi siano radicati – il discorso video inviato dal presidente ucraino, Volodymyr Zelenskiy, ha ricevuto molto apprezzamento. Parlando da Kiev sotto le bombe, Zelensky ha detto che il Qatar potrebbe evitare che la Russia usi l’energia come “un’arma per ricattare il mondo”. Grazie al gas, Doha finisce insignita di un ruolo centrale negli affari internazionali e ha le carte in regola per giocare la sua partita, con il momento che la porta a essere di mano.

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