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Egitto too big too fail. Ue, Russia e Medio Oriente in azione

La Russia usa il Forum di San Pietroburgo come vettore di influenza nei riguardi di Paesi strategici come l’Egitto, che potrebbe essere tra i più colpiti dagli effetti della guerra di Putin in Ucraina. Nell’area Mena si creerà una forbice tra ricchi e poveri, e i primi salveranno l’Egitto dal baratro, spiega Melcangi (Sapienza/ACUS)

Il messaggio che il presidente russo Vladimir Putin lascia al Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF) ruota attorno all’economia globale, le cui dinamiche sono state alterate dall’invasione russa dell’Ucraina, e su cui il Cremlino sta costruendo una delle varie narrazioni alternative al fine di scaricare altrove le sue responsabilità. O almeno a renderle accettabili.

In questo, per esempio, dare centralità all’Egitto durante lo SPIEF serve alla Russia per mantenere l’impronta strategica al Cairo, ma anche per seguire la traiettoria di de-responsabilizzazione. Il Cremlino è perfettamente consapevole del ruolo strategico che il Cairo occupa nel mondo africano e arabo. L’Egitto è una potenza demografica fragile, che potrebbe risentire degli effetti che la guerra russa in Ucraina produrrà nel Mediterraneo.

Innanzitutto dal punto di vista della sicurezza alimentare. L’Egitto è il più grande acquirente di grano al mondo, e la gran parte di questo arriva da Russia e Ucraina. L’aumento dei prezzi è un fattore di sconvolgimento che rimanda a una memoria storica recente. Nel 2011 infatti, l’aumento del costo della farina — e dunque del benchmark socio economico rappresentato dal pane egiziano — fu la goccia che fece scattare i moti della Primavera araba al Cairo. Un’eventualità che — vista la struttura del potere del presidente Abdel Fattah al Sisi, special guest del Forum — al Palazzo di el-Orouba viene tenuta sotto massima attenzione.

Tutto arriva peraltro mentre i Paesi mediorientali stanno evitando di aumentare i fronti di caos, e contemporaneamente ridefinendo il calcolo strategico verso Russia e Stati Uniti (e Iran). In questo Mosca, con una dinamica simile alla trama tessuta con le nazioni africane, cerca di trovare spazi di influenza anche spingendo una narrazione alterata della crisi. Per Vladimir Putin, aprire le porte del forum serve a dare risalto ad al Sisi e per certi versi rassicurarlo davanti a potenziali difficoltà.

Sisi da parte sua accetta l’invito perché messo alle strette dai rischi di tenuta interna. Contemporaneamente Mosca rafforza l’azione di influenza sull’Egitto con una forma competitiva storica nei confronti di Europa e Stati Uniti. La centralità dell’Egitto nella fase attuale è d’altronde dimostrabile, basta leggere l’attenzione con cui gli ambasciatori di Ue e G7 hanno condiviso una dichiarazione congiunta dal Cairo.

O ancora, considerando lo sforzo economico con cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar hanno varato un piano comune da 22 miliardi per assistere l’economia egiziana, mettendo in operatività la riconciliazione di al Ula che ha disteso le divisioni all’interno del Golfo.

Con la crisi ucraina, ci saranno Paesi dell’area Mena che affonderanno, altri che trarranno forti benefici, secondo Alessia Melcangi, docente di Storia contemporanea del Nord Africa e del Medio Oriente alla Sapienza di Roma e non-resident fellow dell’Atlantic Council.

“È del tutto probabile che l’Egitto resterà in mezzo, tenuto in piedi dai Paesi del Golfo, che trarranno vantaggi per via del business energetico, per evitare che scivoli in un baratro che potrebbe portarsi dietro una crisi interna non sostenibile per gli interessi della regione”, spiega Melcangi a Formiche.net.

Secondo un report di IHS Markit, guidata dai grandi esportatori di petrolio del Consiglio di Cooperazione del Golfo, la regione Mena – destinata a beneficiare di un sensibile aumento dei prezzi del petrolio e del gas a breve termine a causa della guerra Russia-Ucraina e delle implicazioni delle sanzioni alla Russia per i mercati energetici globali – vedrà i governi dei Paesi esportatori di petrolio e di gas avere più capacità di sviluppare le loro economie nel 2022-23. Questo comporterà la crescita del PIL reale nella regione nel suo complesso (esclusa la Turchia), con un passaggio dal 4,2% stimato nel 2021 al 5,6% nel 2022 e al 4,2% medio nel 2023.

“Tuttavia ciò nasconde le crescenti differenze tra i ricchi Paesi esportatori di petrolio e altri Paesi dell’area – commenta Melcangi – molti dei quali sono caratterizzati da condizioni di fragilità”. Tra questi, l’Egitto: “La crisi alimentare è quasi inevitabile, non solo per la dipendenza dalla importazione russo-ucraine, ma anche perché si somma all’emergenza idrica”.

In Egitto non c’è acqua, non ci sono le capacità di sfruttare al meglio le risorse, e c’è la complicata situazione della diga GERD che peggiora ulteriormente la situazione. “Però dall’altra parte il Cairo ha la forza dell’energia”, aggiunge la docente, e il quadro israelo-europeo recentemente formalizzato attorno al cosiddetto “gasdotto della pace” ha un ruolo aggiuntivo in questo.

“Un altro tassello importante di una nuova politica energetica”, come lo ha definito in un’intervista su queste colonne Vannia Gava, sottosegretaria alla Transizione ecologica, che ha recentemente partecipato all’East Mediterranean Gas Forum al Cairo.

E poi, oltre all’energia ci sono gli aiuti economici dagli “amici” del Golfo, ma c’è anche una funzione strategica che viene riconosciuta all’Egitto che lo porta a essere per così dire “salvato dal baratro”. “Nonostante le sue fragilità, al Sisi ha un ruolo in diverse vicende internazionali, come Libia e il Mediterraneo orientale, e poi ha una dimensione demografica (100 milioni di abitanti, ndr) non certo sottovalutabile”, continua Melcangi.

Dialogare con l’Egitto, anche per la Russia, è dunque utile per partecipare in qualche modo a questa operazione di salvataggio. Se la guerra in Ucraina e l’aumento della forbice tra Paesi ricchi e poveri dell’area Mena aumenterà il rischio di tensioni socioeconomiche e di proteste di piazza, allora Mosca – come Bruxelles, Riad o Abu Dhabi – vuole una parte nel salvare il Cairo da un potenziale sprofondamento. Con un ritorno diretto, per trovare poi la sponda egiziana sugli interessi regionali, e indiretto sul piano globale.


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