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Riad ricuce con Biden. Interessi reciproci nel Golfo

La visita del presidente Biden in Medio Oriente segna la ricostruzione dei rapporti tra Washington e Riad, punto fondamentale delle relazioni internazionali di entrambi i Paesi, come spiega Anna Lea Jacobs, senior analyst del Crisis Group. Nel Golfo nessuna tra le potenze globali è in grado di sostituire il ruolo che complessivamente gli Usa possono giocare

“Al centro dei nostri sforzi c’è la nostra partnership con gli Stati Uniti, che ora è più importante che mai”, ha scritto in un op-ed Reema Bandar Al Saud, dal 2019 ambasciatrice saudita a Washington. “Prevediamo un futuro in cui la nostra regione non sia impantanata in conflitti, ma piuttosto focalizzata sulla cooperazione economica regionale, sullo sviluppo sociale e sui progetti multinazionali che portano benefici a tutti. Vogliamo che gli Stati Uniti facciano parte di quel futuro”, continua l’intervento dell’ambasciatrice uscito su Politico.

“Per l’Arabia Saudita, la visita del presidente [Joe] Biden è una vittoria”, commenta Anna Lea Jacobs, senior analyst del Crisis Group. “Per Biden — continua con Formiche.net — è meno chiaro (e non è una vittoria in termini di politica interna). Ma ricalibrare le relazioni è una vittoria sia per l’Arabia Saudita sia per gli Stati Uniti”.

La realtà è che l’Arabia Saudita è un attore importante nell’economia globale e nella sicurezza regionale del Golfo, e gli Stati Uniti hanno bisogno di avere un forte rapporto di cooperazione e dialogo con Riad. Tanto più se vogliono costruire quel sistema di integrazione securitario tra Paesi arabi e Israele. Il rapporto con i sauditi è fondamentale se gli Stati Uniti “vogliono promuovere la diplomazia regionale e il dialogo in un’area in cui il rischio di conflitto aumenta di giorno in giorno”.

Dopo l’incontro con il primo ministro israeliano, Yair Lapid, Biden ha accettato di mettere per iscritto la possibilità di valutare che con l’Iran possa esserci anche un piano non negoziale, sottolineando tuttavia che continuerà a spingere per negoziare e ricomporre l’intesa sul nucleare Jcpoa. Le attività delle Repubblica islamica, anche attraverso operazioni di influenza ibrida mosse tramite milizie sciite collegate ai Pasdaran, sono il principale fattore di tensione nella regione in questo momento.

Per ora, il progetto di difesa aerea Middle East Air Defense (come lo chiamano gli israeliani) è la parte più concreta di una joint venture militare tra Israele e Paesi arabi promossa dagli Stati Uniti, ed è guidato da un reale desiderio di un migliore coordinamento – soprattutto per creare un piano anti-droni. Israele ha stabilito un collegamento militare con il Bahrain, come parte di un’iniziativa regionale separata per combattere la pirateria. Le marine israeliana e bahreinita si sono addestrate insieme nel Golfo Persico nel novembre 2021, insieme alla marina americana. Secondo le informazioni del Wall Street Journal, istruttori del Mossad e dello Shin Bet stanno addestrando i colleghi a Manama, che tra poco potrebbe accedere a forniture di droni e sistemi anti-droni israeliani.

Questa possibilità di integrare i comparti di sicurezza e i commerci militari è un elemento di apertura notevole, che segue un trend. “Gli sforzi di riavvicinamento in atto – continua l’esperta di Golfo del Crisis Group – sono il risultato di dinamiche sia regionali che globali. Gli Stati arabi del Golfo considerano questi sforzi di riconciliazione con Paesi come la Turchia, così come gli sforzi di dialogo con l’Iran, sempre più necessari per mitigare le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Israele da un lato e Iran dall’altro. Molti Stati arabi del Golfo si sentono minacciati dall’Iran e dal suo ruolo nella regione, ma vogliono anche perseguire la diplomazia con l’Iran e mitigare il potenziale di una guerra in cui si troverebbero nel mezzo e sulla linea di fuoco diretta”.

Quello che si sta creando è un quadro di distensione piuttosto apprezzato da Washington. Sotto quest’ottica, la visita a Teheran del presidente Vladimir Putin segna quasi una separazione tra le attività che le potenze globali stanno compiendo all’interno della regione. Il Golfo (e il Mediterraneo allargato: Nord Africa, Mar Rosso) hanno riacquisito centralità anche a seguito delle dinamiche internazionali innescate dalla guerra russa in Ucraina. Per esempio, gli scombussolamenti al mercato energetico, o l’innesco di una potenziale crisi alimentare. “La guerra ucraina si specchia nel Mediterraneo allargato”, per dirla come Marco Minniti, presidente della Fondazione Med-Or durante un recente panel.

Per Jacobs, in questa competizione tra potenze, gli Stati arabi del Golfo continuano a dare priorità alle relazioni con gli Stati Uniti rispetto ai legami con la Cina e la Russia, “ma il bilanciamento strategico è un principio fondamentale della loro politica estera e l’importanza delle relazioni con gli Stati Uniti non significa che non vogliano affermare la loro indipendenza e diversificare i loro partner”. Per esempio: “La Cina è un partner economico molto importante e un acquirente di petrolio del Golfo. Il ruolo della Russia nell’Opec+ la rende altrettanto importante per gli Stati del Golfo e per il mercato energetico globale. Tuttavia, né la Cina né la Russia sono in grado di sostituire gli Stati Uniti come partner preminente per la sicurezza esterna del Golfo”.



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