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Vi racconto l’amicizia di interesse tra Iran e Russia e Turchia. Parla Tafuro (Ispi)

I tre Paesi del gruppo di Astana sono utili a vicenda, non amici ma partner per interessi e modi di approcciarsi al mondo comuni. Il viaggio, fa notare Eleonora Tafuro Ambrosetti, esperta di Russia e Asia Centrale dell’Ispi, arriva con una tempistica chiara: a pochi giorni dal ritorno di Biden dal Medio Oriente e in mezzo alla guerra russa in Ucraina

Il presidente russo Vladimir Putin durante la sua visita a Teheran, ha ricevuto il sostegno alla guerra russa dalla Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, che ha giustificato l’invasione dell’Ucraina. “La guerra è un’impresa violenta e difficile, e la Repubblica islamica non è affatto contenta che le persone siano coinvolte in una guerra”, ha detto l’ayatollah, secondo quanto riportato dal suo ufficio. “Ma nel caso dell’Ucraina, se lei [presidente Putin] non avesse preso il timone, l’altra parte lo avrebbe fatto e avrebbe iniziato una guerra”.

L’approvazione è andata ben oltre il sostegno molto più cauto offerto da un altro partner chiave della Russia, la Cina. Khamenei ha ribadito l’affermazione di un Putin senza scelta, l’azione come unica via davanti a un accerchiamento. È la più classica delle posizioni anti-Occidentali sulla guerra, una Nato che ringhia ai confini russi e Mosca che agisce per autodifesa. È la linea che il Cremlino ha da sempre, cercando di saldare un asse dei nuovi Paesi non allineati.

Mosca e Teheran si sentono in grado di rappresentare simbolicamente questo mondo, perché subiscono il peso delle stesse misure occidentali – le sanzioni europee e statunitensi – solo per aver cavalcato i propri desideri di sovranità. In questa narrazione, l’attacco russo in Ucraina equivale alla volontà strategica iraniana di avere un programma nucleare (civile prima, militare non è chiaro e non dichiarato apertamente). Soffocate dal quadro sanzionatorio, ma con un’economia comunque sofferente, Iran e Russia sentono di condividere la leadership dell’asse della resilienza.

Ma non è un’alleanza la loro, piuttosto un posizionamento tattico frutto degli interessi del momento. La Russia e l’Iran non si fidano ancora l’uno dell’altro, ma ora hanno bisogno l’uno dell’altro più che mai. Non è un’alleanza strategica per scelta la loro, ma una partnership per necessità. Anche perché, se a Teheran sono consapevoli che gli equilibri si spostano verso la Russia, a Mosca sanno – e hanno provato con mano sulla Siria – che l’Iran non è disposto a essere un junior partner silenzioso e obbediente.

“Tra Russia e Iran non c’è un’alleanza perfetta, non c’è una comunione di intenti, ci sono elementi di divisione, tuttavia ce ne sono altri di accomunamento: l’isolamento internazionale è uno, ma l’altro, questo condiviso anche con la Turchia, è la capacità di parlare lo stesso linguaggio politico, e non ultimo l’idea dello sfidare l’egemonia del dollaro, condiviso con la Cina e parzialmente con la Turchia”, spiega Eleonora Tafuro Ambrosetti, esperta di Russia e Asia Centrale dell’Ispi.

È questo sistema di interessi condivisi che fa sopravvivere da sei anni il trio di Astana, che ieri si è visto a Teheran dopo qualche tempo di fermo. “Inoltre per la strategia regionale della Russia – aggiunge in una conversazione con Formiche.net l’esperta dell’Ispi – questa vicinanza è molto importante: Mosca cerca da tempo di integrare, quanto meno coinvolgere l’Iran, all’interno delle sue attività in Asia Centrale e Medio Oriente perché la sua strategia è sempre molto aperta e attenta a mantenere relazioni positive con diversi attori”.

Secondo Tafuro Ambrosetti, un elemento sull’incontro tra Iran, Russia e Turchia è di certo il tempismo del viaggio di Putin, che avviene a pochi giorni dalla visita in Medio Oriente di Joe Biden, e marca il ruolo regionale che la Russia porta avanti: “A questo va aggiunto un altro elemento temporale: la guerra in Ucraina. È il secondo viaggio internazionale dall’inizio dell’invasione, uno dei rarissimi durante la pandemia, e ognuno di questi spostamenti è stato oggetto di pettegolezzi sul suo stato di salute oltre che valutazioni politiche”.

Per la Russia, l’aggressione all’Ucraina è un’attività che concentra sforzi e risorse, ma con la visita a Teheran e la ricostruzione del formato di Astana (quello a tre con Iran e Turchia che ha cercato di sistemare la guerra in Siria) “serve a confermare la propria presenza nella regione, manda un messaggio: continuiamo a contare in Medio Oriente”, aggiunge l’esperta.

“Quello che sta emergendo è un potenziale cambio di equilibri in Siria, dove la Turchia spinge per aumentare il proprio ruolo e non solo per combattere i curdi (una nuove operazione militare al nord del Paese, non gradita a Damasco e Teheran, potrebbe essere in arrivo, ndr). Il piano di Ankara riguarda anche il rimpatrio di almeno un’aliquota, consistente, dell’enorme quantità di rifugiati siriani che nel corso della guerra civile sono scappati. Conseguenza di un malcontento interno, collegato alla crisi economica. Per questi progetti, per la costruzione di nuovi equilibri, il ruolo della Russia è determinante e nei discorsi a porte chiuse del vertice potrebbe esserci stato anche l’inizio a questo genere di coordinamento”, spiega Tafuro.

Il coordinamento tra Russia, Iran e Turchia sulla Siria è un fattore fondamentale per tutti i e tre i Paesi. La Siria, che per oltre un decennio è stata un motore determinante per diverse dinamiche negli affari internazionali, sta tornando centrale. Attorno a Damasco, dove la pragmatica del conflitto ha stabilizzato il regime siriano (assistito militarmente e politicamente da Iran e Russia, e col sostanziale beneplacito turco), si muovono operazioni che coinvolgono le grandi potenze come Stati Uniti e Cina, e soprattutto le medie potenze regionali.

Durante l’incontro con Putin, la guida suprema iraniana, ha suggerito “l’espulsione” delle truppe americane dalla zona a Est dell’Eufrate, un forte messaggio anti-occidentale. Khamenei si riferisce alle attività che alcune centinaia di forze speciali portano avanti facendo base ad al Tanf, sul Corridoio dell’Eufrate che sbocca in Iraq, un tempo sede delle cellule baghdadiste che vi si erano rifugiate dopo la caduta dell’impianto statuale del Califfato. Oltre che coordinare quelle attività anti-terrorismo, quei militari statunitensi mantengono una presenza territoriale davanti a Siria, Iran, Russia e Turchia.

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