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Perché questa è l’ultima opportunità per salvare il Jcpoa

L’Ue lancia l’ultimo sforzo per il Jcpoa. L’accordo per congelare il programma nucleare dell’Iran potrebbe naufragare o essere ricomposto a breve. C’è una bozza, preparata dall’Alto rappresentante Borrell, su cui gli Usa dicono di essere disposti a mettere la firma, ma l’Iran sembra avere altri piani

L’Unione Europea prova l’ultimo sforzo per salvare l’accordo sul nucleare iraniano: ha convocato tutti i negoziatori per un’inaspettata e improvvisa ripresa dei colloqui oggi, giovedì 4 agosto, all’Hotel Palais Coburg di Vienna.

L’obiettivo – che dura da mesi – è quello di ricomporre l’accordo del 2015 con cui l’Iran ha accettato di congelare il suo programma nucleare ricevendo in cambio un’importante riduzione delle sanzioni che avrebbe permesso la ripresa economica del Paese. “Avrebbe” perché l’intesa è stata affossata nel 2018, quando l’amministrazione Trump decise unilateralmente di ritirarsi, rinnovando la panoplia sanzionatoria contro Teheran (e, a causa delle sanzioni secondarie, impedendo a mezzo mondo di fare business con entità iraniane).

Secondo una volontà espressa da Joe Biden sin dai tempi della campagna elettorale, oltre un anno fa è stato rimesso in piedi un sistema negoziale. I risultati per ora sono stati scarsi, anche perché tra Washington e Teheran c’è una sostanziale sfiducia e nessuno dei due è disposto a passi o aperture in anticipo. Se c’è ancora qualche barlume di speranza, molto passa da questa riunione convocata dall’Ue – che nella persona del direttore politico dell’Eeas, Enrique Mora, ha condotto tutti i negoziati e la staffetta diplomatica tra americani e statunitensi.

A Vienna saranno presenti diplomatici di Stati Uniti, Iran, Cina, Russia, Germania, Gran Bretagna e Francia, oltre all’Ue – ossia il cosiddetto sistema “5+1” che ha costruito il Nuke Deal e che sta cercando di ricomporlo. La mossa diplomatica arriva poche settimane dopo che il capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, aveva svelato di aver fatto circolare un testo aggiornato che avrebbe avuto forza  di riportare gli Stati Uniti e l’Iran all’accordo.

Teheran non ha reso nota la sua posizione sul testo di cui ha parlato Borrell (che tra le altre cose è anche stato in Iran a fine giugno). Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, si era limitato a far sapere che l’Iran è pronto a “discutere ulteriori dettagli” a Vienna, segnalando così che Teheran non è ancora soddisfatta della recente bozza.

Una questione spinosa riguarda l’inspiegabile presenza di particelle di uranio in vari siti iraniani. Poiché la Repubblica islamica non ha fornito risposte credibili su quell’uranio (un materiale fissile utilizzato anche per la produzione di ordigni atomici), all’inizio di giugno il Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha approvato una risoluzione che censurava il governo Raisi. Ciò ha indotto Teheran a reagire spegnendo le telecamere dell’Aiea utilizzate per monitorare la conformità iraniana al Jcpoa. Secondo le fonti informate su questo fascicolo, l’Iran vorrebbe che l’indagine dell’Aiea venisse archiviata prima di tornare al Jcpoa.

Restano inoltre aperte le questioni relative alla portata dell’alleggerimento delle sanzioni e alle richieste iraniane di garanzie che gli Stati Uniti non abbandonino nuovamente l’accordo con una nuova amministrazione. Qui il punto è interno agli Usa: la finestra temporale per arrivare a un’intesa sul Jcpoa potrebbe essere molto limitate, perché dopo le elezioni di metà mandato i Democratici potrebbero perdere il controllo di entrambe le camere, e questo porterebbe il Congresso a essere guidato da posizioni piuttosto ostili contro l’Iran (che complicherebbero le volontà dell’amministrazione su una ricomposizione dell’accordo).

Da Teheran la linea resta ambigua, perché il dossier Jcpoa è da sempre cavalcata dai reazionari come una cessione di sovranità davanti al “Grande Satana” statunitense. C’è dunque anche una questione di equilibri che il presidente conservatore, Ebrahim Raisi, deve gestire tra falchi e pragmatici. Tre giorni fa, il portavoce dell’Organizzazione iraniana per l’energia atomica, ha annunciato che l’Iran sta attivando “centinaia” di centrifughe nuove e avanzate che erano state precedentemente installate nel sito nucleare sotterraneo di Natanz.

L’Iran ha sempre sostenuto che il suo programma nucleare è civile, “pacifico” come dice la Guida Suprema, e che non ha intenzione di produrre una bomba atomica. Tuttavia ci sono diverse indicazioni secondo cui Teheran potrebbe essere interessato e operativo alla produzione anche di un programma militare.

Sulle nuove riunioni di Vienna non ci sono grosse aspettative. Lo scetticismo generale va avanti da mesi. Teheran si mostra disponibile al confronto diplomatico, ma al momento del chiudere l’intesa solleva obiezioni e richiede integrazioni. Questo atteggiamento potrebbe anche essere dovuto alla volontà di allungare i tempi del negoziato per, contemporaneamente alla spinta sull’arricchimento, raggiungere una completezza del programma atomico di livello militare – e usare quello status come leva ai negoziati.

Gli Stati Uniti hanno fatto sapere ai media di essere pronti a uno “sforzo genuino” sulla bozza-Borrell. Teoricamente a questo punto l’accordo avrebbe dovuto essere ricomposto, secondo una road map delineata dai negoziatori a inizio anno. L’esplosione della guerra russa in Ucraina, l’aumento delle tensioni Usa-Cina, la richiesta iraniana (difficilmente accettabile per Washington) di depennare i Pasdaran dalle liste terroristiche, hanno complicato il percorso.

Se un accordo non verrà firmato, il rischio è che gli Stati Uniti si trovino costretti a rinnovare (leggi: ampliare) la strategia sanzionatoria che va sotto il nome di “massima pressione”. Se da un lato è vero che questa metterà in difficoltà Teheran, dall’altra è dimostrato ormai negli anni che le sanzioni non hanno impedito all’Iran di procedere con l’arricchimento atomico, migliorare il programma militare (in particolare quello di droni, missili balistici e navi), attivare una serie di operazioni di influenza nella regione.

L’aspetto delle sanzioni è particolarmente usato dalla Repubblica islamica come argomento della narrazione. L’Iran sente di condividere queste vessazioni dettate dagli Stati Uniti (e di riflesso dall’Europa e dai Paesi like-minded) con la Russia e con la Cina. Come emerso chiaramente durante la recente visita del ministro degli Esteri russo a Teheran, questa comunione avvicina i tre Paesi in un asse di non-allineati al cosiddetto Occidente (sebbene i tre abbiano interessi e priorità diverse, e aliquote di sfiducia reciproca).

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