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I droni iraniani in Russia spiegano forza e limiti delle sanzioni occidentali

Le sanzioni bloccano il mercato russo ai sistemi tecnologici occidentali, e anche per questo Mosca ricorre all’acquisto di sistemi militari come i droni iraniani. La Russia con l’Iran cerca un asse anti-sanzioni per gestire l’ordine mondiale, in cui magari inglobare la Cina

Il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, sostiene che il fatto che la Russia debba importare tecnologia militare è un segno che le sanzioni stanno funzionando. E si riferisce agli acquisiti di sistemi aerei dall’Iran (velivoli senza piloti, loitering munition, e forse a breve missili balistici a corto raggio), che Mosca sta usando sul campo di battaglia in Ucraina per sopperire mancanze tecniche. Punto importante prima di andare avanti: Iran e Russia negano pubblicamente che queste forniture siano vere, e dicono che sono frutto di una campagna di disinformazione occidentale.

Le sanzioni occidentali imposte dopo l’invasione voluta da Vladimir Putin hanno effettivamente messo in difficoltà il Paese soprattutto sul piano tecnologico. L’isolamento russo su questo segmento è tale che “gli ucraini ci hanno riferito che quando trovano equipaggiamenti militari russi sul terreno, questi sono pieni di semiconduttori che hanno preso dalle lavastoviglie e dai frigoriferi”, aveva spiegato già a maggio la segretaria al Commercio statunitense, Gina Raimondo, durante un’audizione in Senato. E la situazione non è cambiata, anzi. Aziende militari come la Uralvagonzavod e Chelyabinsk Tractor Plant hanno interrotto la produzione di carri armati, per esempio.

Recentemente un imprenditore russo è stato arrestato in Italia perché parte di uno schema che secondo l’Fbi cercava di “nascondere il furto di tecnologia militare statunitense”, importando componentistica hi-tech americana per farla arrivare poi in Russia (alcuni pezzi erano stati ritrovati in assetti da combattimento russi catturati sul campo di battaglia in Ucraina, come ha raccontato Gabriele Carrer su queste colonne).

Contro l’arrivo di tecnologia in Russia, gli Stati Uniti stanno usando una mossa legislativa che finora hanno utilizzato solo contro la cinese Huawei: richiedono alle aziende di tutto il mondo di rispettare le regole americane e di bloccare le vendite alla Russia se utilizzano attrezzature o software di produzione statunitensi per produrre chip. Secondo gli analisti, la maggior parte delle fabbriche di chip in tutto il mondo utilizza software o apparecchiature progettate negli Stati Uniti, e questo isola Mosca.

Eppure, per poter spingere l’offensiva, Putin può contare non solo sul contrabbando e sulle attività illegali, ma anche su un network di alleanze anti-occidentali che passa dall’Iran e arriva fino alla Corea del Nord. Se il rifornimento da Teheran dimostra da un lato un indebolimento russo, altrettanto racconta che Mosca è in grado comunque di muoversi facendo blocco e convergenza con l’Iran — nodi di un ordine mondiale anti-sanzioni.

Gli aerei cargo militari di fabbricazione russa che decollano da Isfahan o Yazd sono tracciati dai radar open source, volano con i transponder accessi nonostante le vendite di equipaggiamento militare iraniane siano sottoposte a sanzioni di Onu, Usa e Ue. Questi trasferimenti raccontano che le misure non funzionano se si crea un mercato parallelo e resiliente (sia sul piano pratico che ideologico).

La Russia ha recentemente provato un allargamento, proponendo alla Cina di creare un’industria dei semiconduttori comune, ma Pechino — che il leader Xi Jinping sta chiudendo in forma autarchica — potrebbe preferire continuare a essere fornitore netto.

Secondo il Merics, think tank tedesco specializzato in affari asiatici e connessioni Cina-Russia, quest’anno le esportazioni di chip cinesi verso Mosca sono “cresciute drasticamente”, grazie alle aziende di ri-confezionamento non esposte ai mercati occidentali. Tra l’altro, va aggiunto che secondo dati pubblicati dal giornale economico russo Kommersant, il tasso di difettosità dei chip cinesi spediti in Russia è salito al 40% dopo le sanzioni occidentali — mentre prima dell’invasione dell’Ucraina era di appena il 2%.



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