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Tokyo davanti alla realtà della guerra russa in Ucraina. Conversazione con Pugliese (Iai)

L’analista dello Iai spiega come il Giappone guardi alla guerra in Ucraina pensando all’Asia e come ciò apra spazi di cooperazione con la Nato e con l’Ue (anche sfruttando la nuova postura europea nei confronti della Cina)

L’Unione Europea e i suoi Stati membri si stanno portando su una posizione più dura nei confronti della Cina. Alcune posture di Pechino — da quella legata alla pandemia (prima sulla propagazione e poi le successive politiche di contenimento ultra-rigide) all’ambiguo posizionamento della Cina sulla guerra in Ucraina (conflitto con impatto diretto sulla sicurezza europeo) — hanno contribuito a considerare Pechino come un “rivale sistemico” da parte di Bruxelles.

“E come dimostra l’inclusione della Cina nel nuovo Concetto Strategico della Nato, le capitali europee hanno più facilmente dato priorità alla competizione strategica contro Pechino”, spiega Giulio Pugliese, senior fellow dello Iai e lecturer alla Oxford School of Global and Areas Study.

“La guerra della Russia in Ucraina — continua Pugliese in una conversazione con Formiche.net — ha convinto le cancellerie europee a fare parallelismi tra la situazione del nostro vicinato e quella destabilizzante dell’Indo-Pacifico, forse cementando il nascente bipolarismo che contrappone le autocrazie imperialiste alle democrazie difensive. Di conseguenza, l’Europa ha accolto più volentieri gli attori dell’Indo-Pacifico, come il Giappone, per contribuire alla rinnovata missione della Nato”.

La dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri del G7, dopo l’annuncio della Cina di esercitazioni militari attraverso lo Stretto di Taiwan il 2 agosto, è stata un esempio di come sia in corso questo ri-orientamento: il linguaggio ha criticato le misure coercitive annunciate dalla Cina contro l’isola, minimizzando l’impatto della visita di Nancy Pelosi per il tenue status quo dello Stretto, dimostrando che l’Europa e l’Unione Europea nel suo complesso sono più chiaramente avverse a Pechino.

In Giappone è stata invece l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia a suscitare un coro di condanne internazionali. Il governo guidato dal primo ministro Kishida Fumio ha reagito con critiche inequivocabili, così come i media locali e le personalità di spicco, tutti uniti nel definire l’aggressione russa un’invasione militare e una guerra su larga scala.

“Di fronte alla palese violazione del diritto internazionale da parte della Russia e alla possibilità di inaugurare un mondo definito da una politica di cruda potenza, il Giappone si è allineato alle controparti del G7. In questo modo, Tokyo ha abbandonato il suo ruolo di equilibrista nei confronti di Mosca e ha approvato dure sanzioni contro la Russia. Inoltre, i legislatori giapponesi hanno iniziato a valutare la possibilità di ospitare armi nucleari per scoraggiare la potenziale coercizione cinese”, fa notare Pugliese.

Il 1° marzo, la Camera bassa del Parlamento giapponese ha adottato una dura risoluzione che condanna la mossa come “inaccettabile” e una “grave violazione del diritto internazionale”. La risoluzione, passata a stragrande maggioranza, continua sottolineando come le azioni di Putin in Ucraina “potrebbero scuotere le fondamenta stesse dell’ordine internazionale, compreso quello asiatico”.

In breve — spiega Pugliese, uno dei maggiori esperti europei della regione indo-pacifica e di Giappone — anche Tokyo “vede il legame con l’Asia quando guarda alla guerra in Ucraina”.

Le priorità europee risiedono dunque in una cooperazione con i Paesi con una strategia indo-pacifica o in una terza via evitando le potenziali rotture della competizione strategica sino-americana? E di conseguenza, gli europei prenderanno in considerazione solo il multilateralismo, il più aperto possibile, anche se la sua qualità ne risentirà, o si impegneranno sempre più con le possibilità di cooperazione mini-laterale più diffusa, come il Quad, o il cosiddetto D10? Quale ruolo può realisticamente svolgere l’Unione in uno scenario di crisi nella regione, ad esempio attraverso lo Stretto di Taiwan?

E soprattutto, quali sono le prospettive di un impegno europeo sostenuto sul fronte della sicurezza e del commercio nell’Indo-Pacifico? E viceversa, che ne sarà dell’impegno del Giappone nella sicurezza europea?

Pugliese, che allo Iai ha ospitato in questi giorni un workshop mirato allo scambio di buone pratiche e alla ricerca di un terreno comune tra Europa e Giappone, dà rilievo alle buone pratiche nel settore della sicurezza marittima, uno dei temi affrontati durante il dialogo organizzato dal think tank italiano.

“La sostenibilità dell’impegno marittimo — spiega — è discussa, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina e delle sue conseguenze, delle divisioni politiche all’interno dell’Ue e del riposizionamento militare degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico. La stessa Francia probabilmente darà priorità alla sicurezza nelle aree in cui si trovano i suoi territori e i suoi cittadini, ossia nell’Oceano Indiano e nelle acque meridionali del Pacifico, piuttosto che nel Mar Cinese Orientale e Meridionale. Ma con il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Europa orientale che restano comunque le principali priorità strategiche dell’Europa”.

Insieme alla protezione delle rotte marittime (val la pena ricordare che la geopolitica del mare è uno degli elementi attorno a cui si snodano le dinamiche dell’Indo Pacifico), la sicurezza nucleare e gli scenari della “zona grigia”, come la sicurezza informatica e la disinformazione, sono gli elementi che potenzialmente collegano gli scenari di crisi europei e dell’Asia orientale.

Pugliese — la cui agenda di ricerca accademica e politica si è occupata principalmente delle implicazioni più ampie dell’ascesa cinese, esaminando la politica giapponese per la Cina all’interno del più ampio cambiamento strutturale della politica mondiale — spiega che l’approccio del Giappone alla Cina e agli Stati Uniti è sintomatico di tendenze a livello regionale e continentale.

“Le risposte di Tokyo all’assertività della Cina — continua — offrono una finestra unica sulla complessa interazione e sui legami tra le dinamiche economiche, politiche e di sicurezza della regione indo-pacifica”

E Taiwan, uno dei punti di frizione della competizione a ricaduta globale sino-americana, condivide il panorama strategico sopra descritto? “La spinta di Washington contro la Cina ha rafforzato le relazioni sia con Tokyo che con Taipei — risponde Pugliese — ma dei rischi non possono essere scartati a priori: innanzitutto una postura degli Stati Uniti più chiusa verso l’interno e una politica più aggressiva nei confronti della Cina a somma zero possono portare all’abbandono o all’intrappolamento”.

Tokyo ha intensificato il suo impegno nei confronti di Taiwan a livello diplomatico, economico e militare. Per la prima volta dalla normalizzazione delle relazioni diplomatiche del Giappone con la Cina nel 1972, le dichiarazioni dei vertici di Tokyo menzionano Taiwan, anche se indirettamente. “Tokyo — aggiunge lo studioso — è stata al posto di comando e ha lavorato in tandem con gli sforzi degli Stati Uniti, come dimostra l’inclusione di un linguaggio su Taiwan dopo il vertice tra Joe Biden e Suga Yoshihide e il vertice Ue-Giappone, ad esempio. Il Giappone è anche un membro permanente del Global Cooperation & Training Framework tra Stati Uniti e Taiwan, ha lavorato con gli Stati Uniti per fornire vaccini a Taiwan e, soprattutto sotto la guida dei defunti Abe Shinzo e Kishi Nobuo, ha intensificato la diplomazia dei legislatori nei confronti dell’isola”.

Pugliese spiega che l’idea che il Giappone sia coinvolto in una crisi è maggiormente accettata dall’élite, anche se il dibattito pubblico è ancora carente. Stante questo, si chiede: “L’approccio giapponese potrebbe costituire un modello per l’impegno europeo?”.


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