Washington rimane intransigente sulle misure protezionistiche del suo Green Deal: meno friend-shoring e più reshoring paralleli. Bruxelles, che teme l’emorragia di investimenti nella tecnologia verde, minaccia un conflitto commerciale. Ma dalla cooperazione tra alleati dipende l’unità del fronte economico occidentale. Ecco perché le prossime settimane saranno dirimenti
Le nubi sull’Atlantico non accennano a dissiparsi. In un’intervista al Financial Times, la rappresentante al Commercio degli Stati Uniti Katherine Tai ha difeso strenuamente il Green Deal statunitense (un pacchetto da 370 miliardi di dollari, ricco di sussidi e crediti d’imposta a favore delle aziende nordamericane). Dopodiché ha invitato l’Unione europea a implementare più sussidi per i propri produttori, una presa di posizione che promette di evocare tuoni e saette dalle parti di Bruxelles.
Valdis Dombrovskis, commissario al commercio europeo, ha dichiarato lunedì che il Green Deal “potrebbe discriminare le industrie automobilistiche [assieme a quelle] delle energie rinnovabili, delle batterie e ad alta intensità energetica dell’Ue”. Oggi l’Ue e altri alleati (tra cui Corea del Sud e Giappone) minacciano il ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio per contrastare le misure statunitensi.
Si tratta di un conflitto commerciale ancora in fasce, che tuttavia minaccia di infrangere un periodo di relativa calma – e far comparire crepe nel fronte commerciale dell’Occidente geopolitico. Il timore degli alleati è che il Green Deal Usa dirotti negli States gli investimenti nelle tecnologie verdi, a loro svantaggio. Alcune aziende Ue stanno già pensando di ripararsi dalla crisi energetica europea spostando le attività negli Usa.
I toni si sono inaspriti quando Washington si è rifiutata di discutere la questione al tavolo del Consiglio commercio e tecnologia (Ttc), il forum semipermanente Ue-Usa creato anche per risolvere le frizioni commerciali. Difficile, dunque, che Bruxelles prenda bene la risposta statunitense, finora limitata all’istituzione di un tavolo di lavoro che si riunirà la prossima settimana.
Tai ha controbattuto alle critiche europee invitando i Ventisette a rafforzare il sostegno ai propri produttori e a ridurre la dipendenza dalla Cina per i prodotti di importanza strategica. Esortazioni pienamente in linea con gli obiettivi a lungo termine dell’Ue (nonché necessari per rimanere competitivi rispetto alle altre due superpotenze, Usa e Cina), ma difficilmente implementabili in tempi rapidi. I sussidi, per esempio, sono già un tema spinoso per via dei limiti Ue agli aiuti di Stato.
Il tema del decoupling da Pechino, da cui l’Ue dipende per diverse soluzioni tecnologiche verdi (tra cui batterie e pannelli solari), è ancora più complesso. Peraltro è un problema che accomuna Bruxelles e Washington, a cui entrambi stanno contrapponendo politiche di friend-shoring e reshoring. La differenza è che l’Ue punta molto sul friend-shoring per conservare competitività e mercati con cui commerciare, mentre gli Usa di Joe Biden – almeno sul versante del Green Deal – oggi sembrano prediligere strategie di reshoring parallele.
Per i Ventisette, però, il vantaggio competitivo del Green Deal Usa è “inaccettabile”, come ha detto Josef Sikela, ministro dell’economia ceco. Secondo lui l’Ue deve avere lo stesso trattamento riservato a Canada e Messico (le cui aziende si possono avvantaggiare degli stessi sconti sui veicoli elettrici). Tai si è rifiutata di dire se ciò sarà possibile, riporta FT, ma ha affermato che c’è “volontà politica e impegno da parte dei più alti livelli del nostro governo” per raggiungere un accordo”.
Non è chiaro cosa Biden possa concedere agli alleati senza coinvolgere il Congresso, che difficilmente riaprirà la pratica del Green Deal. Peraltro mancano pochi giorni midterm, che probabilmente sanciranno la vittoria dei repubblicani (tendenzialmente ancora più protezionisti dei democratici). Da parte loro, i Paesi Ue sono consci del momento politico delicato; sanno che Biden mira a rafforzare la base industriale del suo Paese e incassare i dividendi elettorali. Ma passate le midterm e calmate le acque, si aspetteranno concessioni. In caso contrario, con ogni probabilità, passeranno al contrattacco.
Tai, da parte sua, ha indicato un modello alternativo. Ad agosti gli Usa hanno adottato un pacchetto-legge da 280 miliardi (52 sono finanziamenti diretti) per riportare la catena di produzione dei semiconduttori entro i loro confini. L’Ue aveva già annunciato misure analoghe. Per Washington, Bruxelles dovrebbe adottare un approccio equivalente e sviluppare una nuova politica industriale parallela a quella degli Usa per contrastare la minaccia cinese. “La nostra visione è quella di una politica industriale che non riguardi solo noi, ma che integri il lavoro con i nostri amici e alleati” per favorire la resilienza e fronteggiare le dipendenze critiche, ha dichiarato Tai a FT. Resta da vedere se questa linea può convincere l’Ue.