Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Tra spazio e acciaio. La road map di Urso verso una politica industriale

Il ministro per le Imprese e il made in Italy detta alla Camera la linea d’azione del governo. Meglio uno Stato che indirizzi e tuteli piuttosto di decidere chi investe e dove. Ben vengano gli investimenti, ma gli asset strategici vanno protetti. E se l’Europa non si sveglia finirà stritolata da Usa e Cina. Lo spazio è il futuro, senza se e senza ma e l’Italia ha tante carte da giocare

Uno Stato stratega, non padrone dell’industria. E con una visione di lungo periodo, non limitata a un orizzonte breve, per tirare a campare. Adolfo Urso, ministro per le Imprese e il made in Italy in quota Fratelli d’Italia, ha provato a tracciare una linea piuttosto marcata circa il futuro industriale del Paese, intervenendo in audizione alla Camera, proprio nei mesi in cui l’esplosione dei costi dell’energia e delle materie prime, ha nei fatti ipotecato buona parte della crescita post pandemica. Non era facile, i principali dossier industriali sono ancora poco definiti, da Ita, alla rete unica, al Monte dei Paschi, passando per l’ex Ilva.

Ma per il responsabile del dicastero di Via Veneto ed ex presidente del Copasir, non c’è tempo di piangersi addosso, o aspettare che la guerra finisca. Serve una politica industriale, ora e subito. E a prova di inflazione.

UNO STATO STRATEGA

Il senso profondo delle considerazioni di Urso è che lo Stato non è padrone dell’industria, semmai ne è gran supervisore, coordinatore. “Noi non espropriamo nulla, vogliamo uno Stato che faccia strategia e che indichi la corretta via per salvaguardare gli asset nazionali e garantire crescita e benessere”. In questo solco, Urso ha citato l’esempio del polo petrolchimico di Priolo, di proprietà della compagnia russa Lukoil. “Lo Stato non espropria nulla, ma interviene nel caso in cui fosse necessario con una amministrazione temporanea di un anno, lasciando la proprietà e le condizioni eventuali di cedere l’impresa se lo ritiene, ma consentendo che la produzione continui”.

Allargando lo spettro del ragionamento agli investitori che guardano all’Italia come mercato di interesse, se non di riferimento, ha garantito “l’apertura dell’Italia a chi decide di investire da noi. Noi non allontaniamo nessuno, ma tuteliamo i nostri asset, anche con il golden power, questo deve essere chiaro”. Impossibile, poi, evitare un riferimento all’incontro, lo scorso 23 novembre, con il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire. Con il quale “abbiamo trovato soluzioni per una filiera spazio europea. Le nostre imprese italiane e francesi e tedesche hanno dato risposte in un trilaterale e bisogna farlo a livello europeo. Ne parlerò la prossima settimana col commissario Breton: siamo in grado di elaborare una politica industriale comune. Abbiamo la possibilità di essere protagonisti globali. Una politica industriale che si basi su una politica energetica comune, e anche e non soltanto su una politica commerciale”.

IL FATTORE AMERICANO (E CINESE)

Urso è poi tornato a battere su quello che è uno dei capisaldi del suo pensiero e dunque dell’azione del suo dicastero: la necessità di dotarsi, sia a livello italiano ma soprattutto a livello europeo, di una politica industriale a prova di Cina e Stati Uniti, i due principali mercati globali. “Il sistema produttivo degli Stati Uniti può ora contare su tre vantaggi competitivi: gas e prezzi dell’energia, massa monetaria in campo, sussidi e incentivi che vanno a chi produce in America. A queste tre sfide la nostra Europa può reagire in tre modi”.

Ovvero, “una sfida aperta agli Stati Uniti come ha fatto con la guerra commerciale su Boeing-Airbus, scatenata da interessi franco-tedeschi, che l’Italia ha pagato più di altri, ma sarebbe una risposta sbagliata: l’Occidente non può dividersi, spaccarsi, e sicuramente non lo può fare oggi con il conflitto in Ucraina e la sfida economica della Cina”. La seconda sarebbe rispondere “in ordine sparso come alcuni vorrebbero, come è avvenuto per la crisi energetica in attesa di una risposta europea che ancora non c’è stata, e facendo leva sugli aiuti di Stato che i singoli Paesi possono mettere in campo per le proprie imprese. Ma se fosse così, anche in questo contesto noi divideremmo non solo l’Occidente ma la stessa Europa, per sempre, porterebbe alla distruzione dell’Unione”.

Il ministro, come aveva già sottolineato nei giorni scorsi, indica quindi che “la terza via è l’unica possibile, è la nostra via: realizziamo anche noi quello che stanno facendo gli Stati Uniti, una forte politica industriale europea per essere attori protagonisti della politica industriale globale”, ponendo come base una “politica energetica ed una politica commerciale. Bisogna puntare a fare dell’Europa una grande potenza industriale e produttiva capace di competere” con gli Stati Uniti e con tutti i grandi attori globali”. Insomma, “è assolutamente necessario creare una politica industriale europea per rispondere sia alla sfida sistemica con i produttori dell’oriente come India e Cina, che a quella con gli Stati Uniti che hanno da poco messo in campo una massiccia politica di aiuti, attraverso incentivi e sussidi a sostegno, per esempio, del settore automobilistico americano”.

COLPE D’EUROPA

L’intervento del ministro si è poi focalizzato sulla questione energetica, che ai tempi della guerra in Ucraina risponde al nome di gas. E qui, ha chiarito Urso, l’Europa ha delle colpe. Gravi. “Sul prezzo del gas pesano le alterne notizie sull’offerta russa ma anche, purtroppo le difficili e prolungate e trattative a Bruxelles sul price cap“, ha spiegato Urso riferendosi all’ennesimo flop dei negoziati per fissare un tetto al costo del metano importato dalla Russia, pochi giorni fa.

L’esponente di Fratelli d’Italia ha ricordato come “per il solo comparto manifatturiero la bolletta energetica è aumentata di 43 miliardi: proprio per questo due terzi delle risorse della manovra sono state assorbite da misure contro il caro energia. Scontiamo anche ritardi dell’Ue che non è intervenuta tempestivamente quando l’Italia, con il precedente governo, l’aveva chiesto. Adesso occorre non perdere altri tempo prezioso: ora bisogna intervenire subito perché l’emergenza è incombente”.

IL PNRR NON É UN CALZINO

Quanto al Pnrr e alla volontà del governo italiano di ridiscuterne tempi di attuazione e anche obiettivi, Urso è stato chiaro: modificare sì, rivoltarlo come un calzino no.  “Non ho mai pensato che occorresse ripensare il Pnrr. Per quanto riguarda il mio dicastero è importante l’interlocuzione preventiva con la commissione che sta svolgendo il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, per il rifinanziamento del piano di transizione 4.0 per consentirci di utilizzare le risorse del Pnrr dopo la scadenza del 31 dicembre” ha detto il ministro. Ci sono “tre miliardi di euro di risorse che non sarebbero utilizzate dopo il 31 dicembre se commissione non ci autorizzasse a ricollocarle, vogliamo mantenere il livello di credito d’imposta del 40% previsto dal piano di transizione anche per il prossimo anno”.

IL REBUS ITA E L’ASSE CON GIORGETTI

Non è finita. Nei ragionamenti di Urso ha trovato spazio anche la privatizzazione di Ita, dopo l’addio non certo senza veleno di Msc-Lufthansa e lo stallo conclamato delle trattative tra Tesoro e il fondo americano Certares, che punta al 51% della compagnia, per poi imbarcare Air France e Delta, in un secondo momento. A che punto è la notte? “Sul dossier Ita Airways “c’é una proficua collaborazione con il collega dell’Economia Giancarlo Giorgetti in una logica pienamente sinergica, e ricorda di esser stato testimone del progetto di integrazione tra Alitalia e Klm, più che una fusione, perché sarebbe nata la più grande compagnia area a guida italiana. Quello era il progetto giusto”. E che dire dell’ex Ilva?

Non ci sono dubbi, “la siderurgia è un caposaldo della nostra crescita. Il nostro obiettivo è quello di riequilibrare la governance in modo che davvero ci sia una risposta rispetto agli impegni. Non siamo d’accordo con la statalizzazione programmata al maggio 2024” della ex Ilva. “Riteniamo che la produzione siderurgica debba essere realizzata dal privato. L’obiettivo non è lo Stato in maggioranza, ma i privati in maggioranza e lo stato partner di minoranza”.

OBIETTIVO SPACE ECONOMY

Ultimo ma non ultimo capitolo, lo Spazio. Qui Urso ha mantenuto la linea della chiarezza, rivendicando le ragioni della corsa allo space economy. “Lo spazio è il futuro, in tutti i sensi. L’Italia non è solo il terzo contributore dell’Esa, l’Agenzia europea dello spazio, ma ha anche tante realtà innovative, in termini di piccole e medie imprese. Se pensiamo all’Ucraina, che in questo momento è sotto le bombe, si tratta di un’industria aerospaziale strategica per l’Italia, direi indispensabile a sopravvivere, ancora una volta, allo strapotere di Cina e Stati Uniti”.

Il ministro ha poi ricordato la recente intesa con Francia e Germania per i lanciatori europei che “riconosce la necessità di riequilibrare il modello che ha finora governato l’utilizzo di Ariane6 e Vega C, in cui l’industria italiana svolge un ruolo da protagonista. In particolare l’auspicio è una più ragionevole distribuzione di finanziamenti dell’Esa che tenga conto dei rischi assunti dal prime contractor di Vega C e che garantisca il giusto ritorno all’intera filiera spaziale italiana e agli altri Stati membri che contribuiscono al successo dei due lanciatori. Serve più merito e non solo il principio che se metto tot allora devo ottenere tot”.

×

Iscriviti alla newsletter