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Ucraina, dopo i carri armati toccherà ai caccia?

La discussione sull’invio di armi a Kiev potrebbe arricchirsi di un’evoluzione: si sta aprendo il dibattito sugli aerei che l’Occidente dovrebbe fornire all’Ucraina per spingere le controffensive. Arriva il tempo di decidere?

Dopo i trenta Abrams inviati dagli Stati Uniti e gli ottanta Leopard tedeschi — inviati da varie nazioni europee — i pianificatori militari di Kiev stanno rivolgendo la loro attenzione a quello che considerano il più logico passo successivo nello sforzo con chi gli alleati stanno aiutando a respingere l’invasione russa: la spedizione di moderni jet da combattimento.

Se l’invio dei carri armati è stato deciso dopo un processo anche conflittuale tra le varie posizioni all’interno della Nato, il dibatto sugli assetti aerei è destinato a diventare ancora più complicato. Sia per le difficoltà logistiche che la fornitura rappresenta, sia per il suo valore politico. Ma non è detto che non finisca positivamente.

Per ora viene considerato una linea rossa, secondo le informazioni diffuse da ambienti diplomatici. Tuttavia vale la pena ricordare che qualche mese fa anche l’invio di Himars e carri armati — due tipologie di armamenti offensivi — era considerata altrettanto una linea rossa. Prima ancora si era discusso dell’invio dei missili anti-carro Javelin e i vari pezzi di artiglieria come i francesi Caesar e gli obici italiani FH-70.

La realtà, come hanno raccontato d’altronde questi undici mesi di guerra, la chiama il campo. Se l’invio di carri armati serve adesso per preparare — in pianificazione e addestramento — alle controffensive che potrebbero scattare in primavera, allora gli assetti aeri potrebbero essere determinanti per attività di CAS (Close Air Support) e altre azioni di bombardamento a sostegno delle varie operazioni.

Il momento per decidere pare si stia avvicinando. Il mese prossimo i ministri della Difesa dei Paesi alleati dell’Ucraina terranno un altro vertice nella base militare statunitense di Ramstein ed è possibile che nel frattempo il tema degli aerei esploda. “Siamo aperti, non ci sono tabù”, ha dichiarato il ministro degli Esteri olandese, Wopke Hoekstra.

Dell’invio di caccia si parla praticamente da sempre. Già dal 27 febbraio dello scorso anno — il terzo giorno dall’inizio dell’invasione — l’Alto funzionario per la politica estera e di sicurezza europea, Josep Borrell, aveva ventilato l’ipotesi che tra gli assetti che l’Ue avrebbe potuto fornire all’Ucraina potessero esserci gli aerei da combattimento. Quell’affermazione non aveva trovato seguito, ma c’erano state varie voci circolate nelle primissime settimane a proposito di dialoghi tra Stati Uniti e Polonia, e in parte Slovacchia, per organizzare la fornitura.

La questione tecnica ruota attorno alle capacità dei piloti ucraini di usare aerei su cui non sono troppo stati addestrati, per questo i Mig e i Sukhoi polacchi e slovacchi vengono considerati come i più comodi. Il mese scorso il ministro degli Esteri slovacco, Rastislav Káčer, ha dichiarato a Interfax-Ukraine che il suo governo era “pronto” a consegnare a Kiev i caccia MiG-29 (dell’era sovietica) e che stava discutendo con i partner della Nato e con la presidenza di Volodymyr Zelenskyy su come farlo.

Il problema è anche la gestione logistica dell’invio e delle manutenzioni, aspetto quest’ultimo non banale anche riguardo ai carri armati (Abrams e Leopard sono macchine complesse, in particolare i primi sono alimentati da una turbina e hanno processi di gestione del tutto analoghi a quelli di un aereo). Per quanto riguarda la consegna, in precedenza il timore era che durante l’invio gli aerei finissero oggetto di attacchi russi. E a quel punto, come gestire la situazione? È anche vero che ai tempi dei primi ragionamenti il confine occidentale era fronte di scontro, mentre ora le battaglie si sono spostate principalmente sulla fascia orientale e sud-orientale.

Poi c’è il tema politico. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, dopo le titubanze sui carri ha già detto: “Non ci saranno consegne di caccia all’Ucraina”. “Questo è stato chiarito molto presto, anche dal presidente degli Stati Uniti”. Il timore è sempre quello: questo genere di forniture potrebbero produrre un’escalation, Mosca potrebbe vedere la Nato (o alcuni Paesi coinvolti nelle consegne) come parte belligerante. Di questo genere di minacce ne sono uscite diverse dal Cremlino.

Anche in questo tuttavia il clima sta cambiando. Gli alleati occidentali sembrano essersi maggiormente convinti che dal campo passerà la soluzione del conflitto, come spiegava su queste colonne Nona Mikhelidze (IAI), e tramite i risultati sul campo si arriverà alla trattativa negoziale. Ragion per cui i partner di Kiev intendono rafforzare la posizione ucraina — o meglio indebolire il più possibile quella russa. Ciò che prima era un’assistenza di carattere difensivo è gradualmente cambiato. Le varie forniture sono state dilazionate (in quantità e qualità) anche in qualche modo per abituare Vladimir Putin ed evitare reazioni effetto di uno shock, ma sono arrivate in numero e qualità (e potrebbero crescere).

Dunque l’invio dei jet è solo questione di tempo? Ci sono dei segnali. A luglio, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato un pacchetto da 100 milioni di dollari per l’addestramento dei piloti ucraini: training con cui sono stati preparati a guidare i jet da combattimento statunitensi. In agosto, Colin Kahl, sottosegretario alla Difesa, ha dichiarato ai giornalisti che “non è inverosimile che, in futuro, gli aerei occidentali possano far parte del mix” di armi fornite all’Ucraina. A ottobre, l’Ucraina ha annunciato che un gruppo di diverse decine di piloti è stato selezionato per l’addestramento sui jet da combattimento occidentali.

Se i piloti ucraini stanno ricevendo formazione sui caccia occidentali, allora non si esclude un invio di qualcosa come F-15, F-16 o FA-18 di fabbricazione americana? I caccia americani FA-18 o i Gripen di produzione svedese sarebbero più adatti, secondo quanto detto a Politico da Justin Bronk, senior research fellow per la potenza aerea presso il think tank britannico RUSI, in quanto possono decollare da piste di atterraggio più corte e richiedono meno manutenzione. Ma entrambi i jet sono relativamente poco disponibili.


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