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Dopo Roma, Londra. Kishida e il patto di sicurezza con Sunak

Di Emanuele Rossi e Gabriele Carrer

Il premier giapponese firma il più grande accordo di cooperazione militare giapponese con una Paese europeo. Tokyo pensa alla strategia di sicurezza nazionale e vede il quadrante euro-atlantico connesso con quello indo-pacifico

Il primo ministro giapponese Fumio Kishida trova a Londra sul tavolo dell’omologo britannico Rishi Sunak un accordo di cooperazione sulla Difesa che Tokyo definisce “epocale”. Non tanto perché  consentirà a entrambi i Paesi di dispiegare forze sul suolo dell’altro — seguendo un’intesa simile con l’Australia — ma perché permette all’Arcipelago di ampliare la sua schiera di partner militari nel mondo.

L’accordo, presentato come il più significativo patto di difesa tra Londra e Tokyo in più di un secolo, “accelererà rapidamente” la già crescente cooperazione in materia di difesa e sicurezza tra i due Paesi, tra le preoccupazioni per l’assertività militare della Cina nella regione indo-pacifica. Le stesse che hanno contribuito a portare il Giappone ad aumentare la propria spesa per gli armamenti e a rivedere la propria sicurezza nazionale. Tutto parte di un rinnovato desiderio nipponico di porsi come attore assertivo, orientato alla proiezione strategica.

Stante ciò, dopo le tappe in Francia e Italia (“partner strategico” con cui i giapponesi condividono il progetto militare Global Combat Air Command per il caccia di sesta generazione), l’arrivo a Londra (la terza parte del programma per l’integrazione tra l’anglo-italiano Tempest e il giapponese F-X), e sponda euroatlantica della strategia nipponica) fa da antipasto al principale incontro della settimana per Kishida: la visita alla Casa Bianca.

Il primo ministro giapponese sarà ricevuto dal presidente statunitense Joe Biden venerdì, dopo essere passato dal Canada e aver così toccato tutti gli angoli dell’Occidente per senso geografico. Per senso politico, Tokyo si sente già perfettamente allineato con Stati Uniti, Unione europea e Nato, e parte di quel mondo. Lo dimostrano la partecipazione attiva all’ultimo summit (a Madrid, l’estate scorsa) in cui l’Alleanza atlantica ha definito per la prima volta la Cina come una delle sfide da affrontare o la reazione anti-russa sull’invasione ucraina (reazione non priva di interessi diretti viste le contese aperte con Mosca) e le aperture sulle misure anti-cinesi riguardo al controllo delle esportazioni sulle nuove tecnologie.

Tuttavia il Giappone è consapevole che questi allineamenti — collegati anche al ruolo di presidenza di turno del G7 — debbano essere crediti da spendere primariamente all’interno della propria regione, l’Indo Pacifico appunto (che deve teorie, principi e perimetro alla mente di Shinzo Abe). Tokyo, pur alleato, amico e partner di Washington e Bruxelles, intende creare all’interno di quel bacino di prima e diretta proiezione un proprio consensus, rinnovato dalla spinta sulla dimensione strategica.

È il caso delle partnership in costruzione con Filippine, Vietnam, Indonesia e India. E siccome certe attività politico-strategiche non possono non creare attrito con l’altra grande potenza dell’area, la Cina, è diventato quasi naturale un interessamento a Taiwan. Il Giappone è consapevole che attorno all’isola si giocano il futuro dell’Asia: da una parte perché Taiwan è un (forse meglio dire “il”) centro propulsivo del chip-world da cui dipendono i funzionamenti (o meglio i destini) delle tecnologie emergenti che fanno forte l’economia e lo sviluppo giapponese; dall’altra perché quel che succederà all’isola — che Pechino considera una provincia ribelle da “riannettere”, anche con la forza — segnerà gli equilibri della regione. Non a caso spesso il primo ministro Kishida mette in guardia che “l’Ucraina potrebbe essere l’Asia orientale di domani”. Un’espressione riguardante Taiwan che però sottende anche l’interconnessione tra i quadranti indo-pacifico ed euro-atlantico (ribadita anche in una recente intervista rilasciata da Shunsuke Takei, viceministro degli Esteri, a Formiche.net).

Alla luce di questa situazione Tokyo ha da tempo disposto nuovi dispositivi militari sulle isole Nansei — la parte dell’Arcipelago più vicina a Taiwan. C’è in costruzione un rafforzamento del dispiegamento dei Marines stanziati in Giappone — i “China Marines” del Quarto Reggimento di Camp Schwab — i quali entro il 2025 dovranno acquisire le capacità operative di lanciare spedizioni di combattimento in isole remote, con capacità avanzate, come missili antinave che potrebbero essere usati contro le navi cinesi in caso di conflitto con Taiwan. E non è un caso nemmeno se nella simulazione monstre del Center for Strategic and International Studies su una possibile (devastante) guerra Usa-Cina attorno a Taiwan, le Forze di autodifesa giapponese siano tirate dentro come “fulcro”, contro Pechino, in tutti gli wargame studiati.

Durante il suo tour diplomatico, il primo ministro Kishida è deciso a far sapere ad alleati e partner “che il Giappone sta facendo di più per prepararsi ai conflitti e che è un partner importante – questa è una delle lezioni principali dell’Ucraina qui a Tokyo”, ha spiegato Brad Glosserman, vicedirettore del Center for Rule-Making Strategies alla Tama University di Tokyo e senior advisor del Pacific Forum, a Formiche.net. “Se i Paesi vogliono l’aiuto internazionale devono dimostrare di essere pronti a difendersi da soli. Solo così possono chiedere aiuti e assistenza internazionale”, ha aggiunto l’esperto.

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