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I giorni dell’Ira. Anche in Europa sussidi per far correre l’industria verde

Olaf Scholz

Anche la rigorosa Germania spinge per l’istituzione di fondi e strumenti comunitari per proteggere le industrie “verdi” europee dalla competizione, affilata dai sussidi, di Stati Uniti e Cina. Il commissario Breton già caldeggia un “Clean Tech Act”, ma se ne parlerà a febbraio

È ufficiale: gli Stati europei stanno convergendo verso una forma di finanziamento comunitario per fronteggiare i massicci sussidi statunitensi (e non solo) nel campo delle tecnologie verdi. Oltre ai soliti sospetti – come il commissario europeo al mercato interno Thierry Breton e il premier spagnolo Pedro Sanchez – si sono fatti sentire anche leader di Paesi tradizionalmente allergici agli aiuti di Stato. Primo fra tutti, il tedesco Olaf Scholz.

La notizia è di Bloomberg, secondo cui il cancelliere tedesco e il suo Partito socialdemocratico (Spd) “auspicano una riforma delle attuali regole dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato e più fondi per eguagliare la spinta degli Stati Uniti in materia di aiuti verdi”. Per una fonte della testata, Scholz premerà anche per non lasciare indietro i Paesi Ue con bilanci più limitati, spingendo affinché i leader europei approvino ulteriori strumenti di finanziamento.

Contemporaneamente, Scholz e i suoi vorrebbero approfondire le relazioni commerciali con gli Usa, maggior partner commerciale della Germania, coordinandosi attraverso il Ttc, il Consiglio commercio e tecnologia, per ridurre o addirittura abolire le tariffe. Ma la mossa arriva anche sull’onda delle incertezze europee davanti alla promessa americana di una modifica all’Inflation Reduction Act (che vale 370 miliardi di dollari in sussidi strategici, ma localizzati in Nord America) per includere le aziende del Vecchio Continente, almeno parzialmente, nella spinta industriale.

L’apertura non ha convinto pienamente gli europei, già gravati da un costo dell’energia cinque-sei volte superiore a quello negli States e spaventati dal rischio deindustrializzazione. Martedì, parlando a un seminario del gruppo Renew Europe, il premier belga Alexander de Croo ha accusato gli Stati Uniti di corteggiare troppo le aziende europee. “Gli Usa, il nostro partner… chiamano la nostra industria. E dicono, perché investite in Europa? Chiamano le aziende tedesche e belghe in modo molto aggressivo: ‘non investite in Europa, abbiamo qualcosa di meglio’”.

I temi sollevati da de Croo riecheggiano da qualche mese per i corridoi europei, sostenuti da un paio di esempi. Come il produttore svedese di batterie Northvolt, che sta rivedendo il suo progetto per uno stabilimento in Germania a favore delle sue attuali attività americane. Per l’Economist, “ne seguiranno altri”.

È già prevista una riunione dei vertici europei a inizio febbraio per capire come rispondere alla questione sussidi. Probabilmente la risposta prenderà la forma di un “Buy European Act” o “Clean Tech Act”, evocato martedì da Breton (di ritorno da un colloquio con Sanchez), ossia una nuova legge sulle tecnologie pulite che consentirebbe ai Paesi europei di versare ingenti quantità di fondi alle industrie green tech e renderebbe le autorizzazioni più rapide. Sulla falsariga di quanto avvenuto con il Chips Act Ue, che era anche una risposta a quello Usa, assicurandosi di mantenere “parità in termini di accesso ai fondi per tutti i Paesi dell’Ue”.

Breton ha detto a Politico che i leader europei con cui ha parlato, tra cui Sanchez, de Croo, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier polacco Mateusz Morawiecki “non hanno avuto bisogno di essere convinti e hanno concordato sulla necessità di agire rapidamente, a differenza di alcuni membri della Commissione”. Una frecciatina nei confronti della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, suo tradizionale contrappeso, che pure ha segnalato una certa apertura nei confronti di misure per proteggere la base industriale europea – così come il governo svedese, neo-presidente di turno del Consiglio Ue e altro “falco”.

E tuttavia, l’apertura europea sui sussidi non si discosta poi molto dalla strategia suggerita dalla rappresentate al commercio degli Usa, Katherine Tai: iniezioni parallele di denaro nelle industrie strategiche di Ue e Usa, che talvolta sono anche complementari. Un’idea dettata dalla necessità sempre più impellente di far fronte alla competizione cinese, che grazie a vent’anni di sussidi mirati e massicci ha già ottenuto il controllo di alcune filiere importantissime, come quella del fotovoltaico.



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