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Politica, industria e Forze armate. Lo sforzo collettivo per la Difesa Ue

Il momento della Difesa europea è adesso, una necessità che richiede lo sforzo della politica, delle forze armate e dell’industria. All’evento di Formiche e Airpress “Prospettive europee per una Difesa comune”, Crosetto, Cavo Dragone, Cont, Corazza, Mariani, Parenti e Tripodi riflettono sul progetto della Difesa comune

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La Difesa europea è una necessità improcrastinabile. È il cuore di quanto emerso nel corso dell’evento “Prospettive europee per una Difesa comune”, promosso da Formiche e Airpress, in collaborazione con le rappresentanze in Italia del Parlamento e della Commissione europee Roma. Per il ministro della Difesa, Guido Crosetto, intervenuto all’evento: “stiamo vivendo una situazione che ha cambiato completamente lo scenario di riferimento nel quale pensavamo di vivere, e questo ha messo in difficoltà le difese europee”.

Dopo anni di illusione che la guerra non potesse tornare in Europa, ci si è accorti che non è così. Per questo, l’obiettivo è “accelerare i processi iniziati in modo burocratico qualche anno fa, l’Europa ha subito una forte accelerazione nella consapevolezza di aver bisogno di una visione comune”. Tuttavia “non si fanno questi passaggi epocali in 27”, c’è bisogno di leader “che si prendono sulle spalle la responsabilità di indicare la strada, una linea che prevale che diventa chiara a tutti che è l’unica”.

Evitare la Terza guerra mondiale

Il ministro è anche intervenuto sul perché ci sia bisogno di tenere alta la guardia, soprattutto dopo lo sconvolgimento causato dall’invasione russa: “Vorrei parlare a quelli che dicono ‘dando le armi all’Ucraina, alimentiamo l’escalation verso la Terza guerra mondiale’. Secondo me, la Terza guerra mondiale inizierebbe nel momento in cui i carri armati russi arrivassero a Kiev e ai confini dell’Europa”. L’unico modo per fermare questo scenario è dunque fare in modo “che i carri armati russi non arrivino a Kiev, e chi dice qualcosa di diverso non conosce la realtà, non conosce il punto limite che molti Paesi della Nato non possono vedere oltrepassato”. Un commento che poche ore dopo ha scatenato la risposta del vicepresidente del consiglio di sicurezza russo Dimitri Medvedev, che ha attaccato il ministro definendolo “uno sciocco” (qui la replica di Crosetto).

Lo scenario dopo l’Ucraina

La guerra in Ucraina, se da un lato ha dimostrato la “positiva unità mantenuta dall’Unione europea e dalle democrazie occidentali” ha registrato il rappresentante in Italia del Parlamento europeo, Carlo Corazza, dall’alto ha fatto emergere anche le lacune e i limiti della costruzione europea: “non abbiamo una unione della Difesa, e vediamo con quanta fatica approviamo i pacchetti di sanzioni, con sempre lo Stato di turno che usa il suo diritto di veto a fini ricattatori”. Questi limiti si vedono anche nelle capacità militari, “meno importanti di quanto pensavamo, la somma dei Ventisette, con anche il Regno Unito, superano gli investimenti della Russia e si avvicinano a quello degli Usa, ma lo fanno in modo inefficiente, in ordine sparso, con duplicazioni e non sfruttando le sinergie”. Come ha ricordato ancora Corazza, infatti, “l’80% degli investimenti è a livello nazionale, e il 90% della ricerca”.

La sfida del presente

“L’Europa, per vedersi riconosciuta come soggetto, deve assolutamente rafforzare la propria unione politica”. Ha rimarcarlo è stata il sottosegretario agli Esteri, Maria Tripodi, secondo la quale “l’unione politica è propedeutica all’unione della Difesa”. Per il sottosegretario, l’Ue ha compiuto degli errori, quando si divide internamente a livello di politica estera, di difesa comune e sul budget per la difesa, venendo percepita come un “soggetto debole”. L’aggressione russa ha dato orizzonti “diversi e cupi, ed è ovvio che bisogna rivedere assetti ed equilibri”. “L’Europa deve più efficacemente spostare l’asse rispetto gli interessi esclusivi dei singoli Stati, allargando il ventaglio di proposte concrete e risorse”. Importante anche il legame transatlantico: “Avere una difesa comune, una soggettività militare, non vuol dire sganciarci dalla Nato, che rimane il nostro principale punto di riferimento”. Ma per l’Europa, “la difesa è la sfida del presente, va fatta subito”.

Serve la maggioranza qualificata

Come notato dal rappresentante in Italia della Commissione europea, Antonio Parenti, la discussione sulla difesa comune è stata portata “molto più avanti da parte dei militari rispetto alla politica, a cui spesso è mancata la volontà di fare quel passio in più verso una politica estera comune”. Per il rappresentante, dunque, è necessario un cambio di passo fondamentale: bisogna prendere decisioni a maggioranza qualificata in politica estera”. Di fronte ai limiti che esistono ancora in Europa, con 140 sistemi d’arma diversi, “oggi c’è il bisogno evidente di chiedere alla politica di imbarcarsi senza ritorno verso una politica estera e di difesa comuni, perché le due sono inscindibili”.

Un’architettura solida

“Quando si parla di difesa europea spesso la si mette in contrapposizione con la Nato; in realtà sono due cose profondamente diverse” ha spiegato il direttore della divisione Capacità dell’Eda, generale Stefano Cont: “La Nato risponde al bisogno della difesa dell’Europa, che non può che essere transatlantica”, mentre la Difesa europea mira essenzialmente a tre obiettivi: l’efficienza della spesa e dell’interoperabilità, il rafforzamento della base tecnologica e industriale e la capacità di agire autonomamente laddove la Nato o gli alleati non europei “non hanno competenza o non sono interessati”. Come ricordato da Cont, l’Europa spende complessivamente circa 230 miliardi di euro in Difesa, un terzo degli Stati Uniti: “dovremmo allora avere un terzo delle capacità Usa, cosa che non è”. Quello che serve, allora, è una solida architettura per la Difesa europea, basata su ripartizioni di ruoli, competenze e funzioni tra enti che già esistono”.

Integrazione industriale

Anche a livello industriale “la cooperazione è inevitabile”, ha detto il managing director di Mbda Italia, Lorenzo Mariani, registrando come esistano due livelli per l’integrazione della base produttiva europea “uno è i programmi di cooperazione, l’altro è l’integrazione tra industrie”. Sui programmi comuni, per Marina non c’è scelta: “Mbda è nata su tre progetti di cooperazione, l’Aster, il Meteor e lo Strom shadow, assorbendo i costi di sviluppo per oltre dieci miliardi; senza, non sarebbe stato possibile per le nazioni non solo avere tutti e tre i sistemi, ma probabilmente neanche uno”. I costi, con l’aumento delle esigenze e dei livelli tecnologici, inoltre, sta anche aumentando, rendendo sempre più indispensabile cooperare. Dal punto di vista dell’integrazione, questo renderebbe più facile accedere ai programmi di cooperazione. “A livello del mercato è evidente che avere la forza di più compagnie, e il supporto di più governi, aumenta la penetrazione commerciale dei prodotti”.

Militarizzare la Difesa Ue

Una strada la indica il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone: “le due dimensioni che devono essere perseguite si articolano in una parte operativa e in una cooperativa”. Per quanto riguarda la prima, si tratta di “sostenere la forza European rapid deployment capacity (Eurdc)” e una operazionalizzazione, una “militarizzazione”, come la definisce l’ammiraglio, delle strutture della Difesa europea. “Come il Military planning and conduct capability (Mpcc) che deve diventare il quartier generale operativo dell’Ue ed esercitare realmente il comando e controllo” dell’Eurdc. Inoltre “va scissa la parte staff dell’Eums dal Mpcc, entrambi sotto un elemento militare di valore politico-strategico opportuno che “possa agire nella direzione operativa, di policy strategica e di dottrina”. La seconda direttrice, della cooperazione, spinge verso il joint procurement come reale apporto alla deterrenza bisogna possedere “una tecnologia tale da dissuadere qualunque aggressore”.


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