Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Che Cina sarà quella dello Xi-3? Risponde Gallelli

La docente dell’Università Ca’ Foscari ragiona con Formiche.net di come sarà la Cina del futuro, modellata in questo decennio secondo le visioni con cui Xi Jinping si è da subito mostrato al pubblico. Quale sarà la postura cinese nel mondo? E su cosa occorrerà articolare il complesso ragionamento sul rinnovo, o meno, del Memorandum of Understanding sulla Belt & Road Initiative tra Roma e Pechino?

“Si parla molto del fatto che l’inizio di questo inedito terzo mandato di Xi Jinping segni la fine dell’epoca delle riforme iniziata con Deng Xiaoping, e in parte è così, perché viene effettivamente meno il tentativo messo in atto sin dagli anni Ottanata di costruire meccanismi che regolassero le successioni in modo giusto e organizzato, evitando processi egemonici”, spiega a Beatrice Gallelli, ricercatrice all’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperta di Cina contemporanea.

In una conversazione, che Formiche.net ha prodotto come contenuto esclusivo anticipato nella newsletter “Indo Pacific Salad”, Gallelli traccia il perimetro della Cina che ci aspetta per i prossimi anni, partendo da cosa succede a Pechino, passando per la sua proiezione internazionale fino a toccare le relazioni con l’Italia.

Condurre la nave in mezzo alle tempeste

Nei giorni scorsi si sono concluse le Due Sessioni, le riunioni parlamentari annuali che hanno avuto quest’anno un significato particolare: ratificare le decisioni del Congresso del Partito Comunista Cinese prese a ottobre, su tutte la nomina a presidente di Xi per il terzo, storico mandato. Un processo iniziato già dal 2018 con la riforma costituzionale che avrebbe permesso a Xi di continuare la sua stagione di governo.

“Già nella costruzione discorsiva della sua figura, Xi aveva subito fatto capire che qualcosa sarebbe cambiato in termini di ruolo del Partito rispetto allo stato”, spiega Gallelli che ricorda la metafora della navigazione tornata anche in questi giorni sui media cinesi: “Xi è descritto come il condottiero che guiderà la nave cinese in mezzo alle tempeste”.

Fine della stagione delle riforme, anche se…

La docente della Ca’ Foscari sottolinea che per quanto è corretto parlare della fine di un’epoca, “nel rappresentare tutto questo non si dovrebbe glorificare eccessivamente quella che è stata l’epoca precedente perché non dobbiamo mai dimenticare che sebbene ci sia stato un tentativo di istituzionalizzare un cambio ordinato di leadership, Deng era colui che aveva mantenuto la sua carica di leader militare e che era dietro alla repressione di Piazza Tienamen. Ossia, il ripristino del controllo del Partito su tutte le sfere che Xi sta pianificando è straordinario per la forza con cui questo controllo vuole essere esercitato, ma il ruolo guida del Partito nello stato non era mai stato messo in discussione con Deng”.

Un aspetto particolare di questo Xi-3 riguarda il ruolo del premier, nomina uscita anch’essa dal round di riunioni parlamentari — sebbene già decisa nel conclave autunnale del Partito — e ricaduta su Li Qiang, un fedelissimo di Xi, ex capo del Partito/Stato a Shanghai. “Non solo non avrà l’attenzione mediatica come fu per il suo predecessore Li Keqiang, sarà molto appiattito sulle proposte di Xi, tant’è che la sua figura è molto problematica soprattutto sul piano della meritocrazia perché non ha mai avuto esperienza a livella nazionale, ossia non ha fatta la gavetta necessaria per diventare il numero-2 del sistema istituazionale cinese. Differentemente Li Keqiang aveva una sua personalità, manifestata anche in alcune sue dichiarazioni, proprio perché aveva costruito un’esperienza all’interno del Partito e del sistema istituzionale della Cina”, spiega Gallelli.

La Cina di Xi nel mondo

Un aspetto di particolare interesse è comprendere come questo nuovo corso del potere che porta a compimento, rilanciandola, la visione di Xi si tradurrà nella postura della Cina nel mondo: cambierà qualcosa? “Non credo che ci saranno grandi cambiamenti nel ruolo che la Cina intende giocare a livello globale. Belt & Road Initiative, Global Security Initiative, Global Development Initiative: sono questi i piani cardine, tutti pensati per presentare la Cina come realtà alternativa globale”, risponde la docente.

L’alternativa è per esempio in quel “vero multilateralismo” promosso dalla Cina con insistenza dal 2021, come modo per andare oltre al multilateralismo attuale, che nella narrazione cinese viene rappresentato come ingiusto perché la guida statunitense ha prodotto doppi standard e prevaricazioni. “Iniziative come l’accordo tra Iran e Arabia Saudita sono la massima espressione di questo pensiero: la Cina continuerà a porsi come alternativa a un ordine che non trova giusto, equo e non considera effettivamente democratico”, aggiunge Gallelli.

Ma che livello di coinvolgimento dobbiamo aspettarci? “Difficilmente Pechino approfondita il livello di coinvolgimento su dossier eccessivamente complicati, su questioni di sicurezza, e reazioni sanzionatorie: come modus operandi potrebbe piuttosto intervenire per cercare di continuare a facilitare il dialogo. La Cina promuove minacce e sanzioni solo quando è direttamente interessata, ma è difficile che si ponga con toni antagonistici e perentori nei confronti di Paesi che non toccano direttamente i propri interessi”.

Il rapporto con l’Italia

L’Italia è un caso molto interessante quando si parla di Cina e della sua postura internazionale, perché Roma ha un rapporto che la lega a Pechino: è l’unico Paese del G7 ad aver firmato un Memorandum of Understanding (MoU) per aderire a Belt & Road Initiative, l’infrastruttura geopolitica di connessione est-ovest progettata da Xi, benché non sia l’unico paese europeo ad aver abbracciato ufficialmente l’iniziativa cinese. A fine anno, il governo italiano sarà chiamato a esprimersi su un rinnovo o meno di questa intesa.

“È un grande punto interrogativo. È chiaro che in questo momento ci sono diversi piani: da una parte quello economico, con il MoUche non ha portato i benefici economici auspicati, anche per colpa di contingenze come il Covid. Però ora il dibattito è molto spostato sul piano politico”, spiega Gallelli, secondo cui tra i fattori che interverranno sulla decisione del governo rientra l’approccio e il posizionamento atlantista, e la volontà di allinearsi alle alleanze tradizionali, in particolare nell’evitare di far qualcosa che possa minare i rapporti con Washington.

Washington, Bruxelles, Roma: cosa fare con Pechino?

Gallelli ricorda che il dibattito ai tempi della firma di adesione italiana era stato influenzato dal momento: “Il rapporto tra Ue e Cina stava iniziando a incrinarsi e la decisone italiana fu vista in contro-tendenza, rispetto all’approccio europeo, anche se in realtà era molto in continuità con la prassi politica precedente. Adesso però le crepe si sono allargate, nonostante ci sia stato più recentemente un tentativo da parte di alcuni leader europei come Emmanuel Macron e Olaf Scholz di ripristinare parte del dialogo. A livello di istituzioni europee si mantiene però un approccio duro nei confronti della Cina: i tentativi di riallacciare i rapporti, che da Pechino si auspicano, sono condotti a livello di iniziative nazionali”.

Teoricamente il rinnovo dell’intesa con la Cina dovrebbe essere tacito, ma difficilmente i cinesi non alzeranno l’attenzione se si dovesse decidere in questo modo — piuttosto useranno la scelta per la propria narrazione strategica. Soprattutto, la decisione italiana non può essere abbandonata all’inerzia. “Pechino — continua Gallelli — potrebbe farci pesare il mancato rinnovo: magari non con ritorsioni dure di tipo economico come quelle contro la Lituania, però potrebbero esserci mosse consequenziali”.

Per la docente di Ca’ Foscari, se è certo che non può essere la paura di ritorsioni che guida la decisione, d’altra parte la scelta italiana deve essere frutto di una valutazione attenta e a lungo termine. “Dobbiamo guardare alla Cina come un attore importante, oltrepassando la retorica ‘Democrazie VS Autoritarismi’, che, se applicata alle relazioni internazionali italiane nel complesso e non solo alla Cina, dovrebbe allora portare alla revisione dei rapporti con numerosi Paesi. Però va anche detto che tutto si colloca in un momento storico in cui sta aumentando la polarizzazione, dunque qualsiasi decisione va ragionata pensando a Washington e Bruxelles, tanto quanto a Pechino”.

×

Iscriviti alla newsletter