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Harris in missione per riconquistare l’Africa

Cina e Russia sono già profondamente attive in Africa e stanno prendendo vantaggio sui settori finanziari (non senza problemi), o sul controllo delle risorse e della diffusione di nuove tecnologie. Tuttavia, gli Stati Uniti sono impegnati a guidare una serie di proposte. Attività di primario interesse anche per l’Europa (e l’Italia)

La vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, ha iniziato il suo tour africano di tre nazioni atterrando ad Accra, in Ghana, sabato scorso, nell’ambito di una visita che comprende anche tappe in Tanzania e Zambia.

Narrazioni e interessi

Per comprendere quanto la visita sia di valore strategico per Washington basta un dato: Harris è il 18esimo (e più alto in grado) funzionario statunitense a visitare l’Africa nell’arco di un anno. Poche settimana fa c’era stato il segretario di Stato, Antony Blinken, mentre la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, e la first lady Jill Biden si sono recati nel continente a gennaio e febbraio. E a questo punto ci si attende un tour presidenziale prima delle elezioni del 2024. Da gennaio a marzo, gli uomini dell’amministrazione Biden hanno visitato 11 Paesi africani: un record che dà seguito operativo al summit sull’Africa ospitato alla Casa Bianca a metà dicembre. È chiaro che gli Stati Uniti stiano cercando di allentare le alleanze di Russia e Cina con le nazioni africane.

La pesante attività politico-diplomatica, serve a recuperare terreno: sono gli stessi funzionari americani ad ammettere che la precedente amministrazione aveva eccessivamente ignorato il continente. Un fattore percepito da diversi di quei Paesi, che sono finiti per accettare altre offerte e modelli proposti. Questa attività di recupero si allinea nel quadro ampio del confronto multipolare tra potenze, ma anche in quello più ristretto dell’avvio della competizione presidenziale statunitense.

Tuttavia, il ritorno proattivo americano in Africa ha un valore per l’Europa – e in definitiva anche per l’Italia, che guarda con sempre più attenzione alle dinamiche africane. E Russia e Cina non sono restate a guardare le attività statunitensi. Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha visitato il continente due volte in sei mesi, con un vertice Russia-Africa in programma a luglio a Mosca. Come di consueto per i diplomatici di Pechino, il nuovo ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, ha iniziato il suo mandato con un tour di cinque nazioni in Africa a gennaio.

Più sviluppo che sicurezza

Il mese scorso, le nazioni africane hanno di nuovo rappresentato quasi la metà di tutte le astensioni su una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condannava la Russia. Molti Paesi africani si sentono nella posizione di non doversi esporre davanti alla guerra russa in Ucraina – ossia evitano di prendere una posizione contraria a Mosca e non apprezzata da Pechino, tenendosi le mani libere sul tema che sta determinando le divisioni tra Democrazie e Autoritarismi.

Anche alla luce di questa necessità di terzietà, la politica africana di Washington si sta spostando più verso gli stimoli allo sviluppo. Finora le partnership sono ruotate attorno ai temi di sicurezza nazionale – molto legati alla lotta al terrorismo, tra l’altro in esplosione in diverse aree africane – ma adesso gli Stati Uniti sembrano aver compreso che serve creare maggiori stimoli alla crescita, economica e socio-culturale, per accompagnare le comunque fondamentali attività securitarie. Una visione su cui l’Unione europea sta già operando con profondità.

Più investimenti che problemi

La sfida è superare la visione dell’Africa come “un problema da risolvere”, ma piuttosto vedere quei Paesi come potenziali partner e entità sovrane. Molti degli incontri tra Harris e i leader africani si stanno concentrando sul debito e sul ruolo di Pechino al riguardo, ma ci sono anche offerte. Il Ghana e lo Zambia, due economie che fino a poco tempo fa potevano essere considerate dei riferimenti dello sviluppo a guida cinese, stanno affrontando grosse difficoltà col debito, in parte a causa della pandemia e degli shock della guerra Russia-Ucraina. Per Washington c’è da fare un lavoro profondo, tra fiducia, offerta e contro-disinformazione.

Per esempio: Fred M’membe, leader del Partito Socialista dello Zambia, ha detto a Voice of America che l’amministrazione Biden si sta concentrando esclusivamente sui propri interessi geopolitici. “Non è la democrazia e i diritti umani che stanno perseguendo in Africa. Stanno perseguendo i loro interessi geopolitici. Perseguono i loro interessi economici. Non è per noi, è per loro”, ha aggiunto. Ancora: per sbloccare un programma del Fondo Monetario Internazionale, il ministro delle Finanze ghanese, Ken Ofori-Atta, è stato di recente a Pechino, con cui cercare di ristrutturare il debito mentre l’inflazione nel Paese supera il 50%. “Forse in America c’è un’ossessione per le attività cinesi nel continente, ma qui non c’è questa ossessione”, ha dichiarato invece il presidente ghanese Nana Akufo-Addo durante l’incontro con Harris.

Gli Stati Uniti hanno accusato la Cina di prendere tempo sui negoziati per la ristrutturazione del debito dello Zambia nell’ambito dell’accordo quadro comune del G20. La Cina, il più grande creditore individuale, vuole che la Banca Mondiale e altri finanziatori multilaterali siano inclusi in qualsiasi accordo venga concordato. Ma queste denunce avranno appeal sui diretti interessati? Intanto, gli americani devono dare seguito alle promesse più consistenti, come i 55 miliardi di dollari pianificati per l’Africa nei prossimi tre anni e offerti come contropartita di una maggiore cooperazione durante il recente vertice dei leader Usa-Africa dello scorso dicembre. L’obiettivo è di scalzare l’egemonia finanziaria cinese attraverso il settore privato.

Corsa alle terre rare…

A ciò si aggiunge la corsa geopolitica sulle terre rare che alimenteranno la rivoluzione verde mondiale: cobalto, rame e nichel, litio sono tra i minerali che alcuni Paesi africani possiedono in abbondanza e che sono fondamentali per i veicoli elettrici e le tecnologie rinnovabili. Le aziende cinesi controllano la maggior parte delle esportazioni commerciali in luoghi come la Repubblica Democratica del Congo, lo Zambia e la Tanzania.

Secondo un report del 2022 preparato dalla Brookings Institution, la Cina raffina il 59% del litio mondiale, il 40% del rame e il 73% del cobalto. Anche per questo, a gennaio gli Stati Uniti hanno costruito con Congo e Zambia un memorandum di intesa che dovrebbe aiutare le due nazioni africane ad abbandonare l’esportazione dei minerali grezzi di rame e cobalto e a costruire invece catene di approvvigionamento per trasformare i minerali in elementi utilizzabili per i veicoli elettrici. Ambiti, come quelli delle infrastrutture di vario genere, dove anche l’Ue può trovare spazi anche attraverso i progetti del Global Gateway.

… e alle nuove tecnologie

Allo stesso tempo, questa nuova posizione americana – e più in generale dell’Occidente – nei confronti del continente africano dovrà tenere conto anche delle infrastrutture tecnologiche. Sia quelle sottomarine, come i cavi internet attorno a cui cresce sempre di più l’attenzione cinese, sia a quelle terrestri – che permettono la diffusone della connettività. Recentemente Huawei ha per esempio corteggiato i Paesi africani dicendosi pronta a rispondere con i propri prodotti alle necessità di investimento del continente in materia di data center, cyber security, clouding.

“La dipendenza globale dai sistemi di cavi sottomarini accompagna l’aumento della domanda e la crescita del cloud computing, estendendo il potere della posizione egemonica di Pechino sul continente (grazie al finanziamento del debito cinese e alla costruzione di infrastrutture) e fornendo a Mosca un obiettivo per lo spionaggio, le intercettazioni o i cyberattacchi”, scrive Joseph Keller su Foreign Policy.

Harris ha annunciato 139 milioni di dollari di assistenza statunitense al Ghana nell’anno fiscale 2024, oltre a 100 milioni di dollari per Benin, Ghana, Guinea, Costa d’Avorio e Togo per combattere i militanti islamici. Si prevede che annuncerà una serie di ulteriori opportunità di investimento finalizzate all’emancipazione economica femminile. In futuro, tuttavia, come i diplomatici di Pechino hanno capito decenni fa, il commercio – non gli aiuti – è il modo più sicuro per costruire legami più forti con le nazioni africane, scrive Nosmot Gbadamosi sulla sua newsletter per Foreign Policy.



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