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Litio, entro il 2025 la Cina potrebbe controllare un terzo della produzione globale

Secondo le stime di Ubs, la Cina potrebbe catturare gran parte della produzione mineraria globale di litio, aumentandone la criticità. Molto dipenderà dall’evoluzione del mercato domestico cinese, e mondiale, delle batterie e dei veicoli elettrici

La banca d’investimenti Ubs ha di recente pubblicato un report in cui stima al rialzo le capacità produttive della Cina di litio, metallo critico per l’industria delle batterie e la transizione ai veicoli elettrici (Ev). Secondo gli analisti, le miniere sotto il controllo di Pechino potrebbero produrre 705.000 tonnellate entro il 2025, dalle 194.000 del 2022, ovvero un balzo del 24%.

L’aumento significativo della produzione per opera delle società cinesi sarebbe da associarsi con un maggior sfruttamento delle riserve domestiche, specialmente i siti di lepidolite nonostante siano associati a più bassi rendimenti e alti costi energetici rispetto alle miniere di spodumene (Australia) e alle salamoie in Sud America. Con il rafforzamento e lo sviluppo dell’industria mineraria cinese, il litio ricavato da lepidolite potrebbe raggiungere le 280.000 tonnellate, circa il 13% dell’offerta stimata per il 2025.

L’offerta cinese è di litio da lepidolite è uno dei potenziali game changer per il settore minerario, dal momento che renderebbe la Cina meno dipendente dai feedstock esteri dal momento che importa la maggior parte dei concentrati consumati da Australia e Sud America (che nel 2022 hanno contato per più del 75% dell’output globale, secondo le stime dello Us Geological Survey). Questo avrebbe effetti diretti e positivi sui costi di produzione dei derivati chimici del litio, un’operazione che al momento è quasi completamente effettuata dalle aziende cinesi. Sarà importante osservare come evolverà la curva dei costi di produzione in Cina rispetto a quella, molto più competitiva allo stato attuale, delle operazioni convenzionali.

Si tratta comunque di un’evoluzione che potrebbe da una parte allentare la corsa dei prezzi nel medio periodo (che ha fatto registrare negli ultimi due anni importanti profitti per le società minerarie, come la cilena Sqm che ha riportato un utile nel segmento di business di 3.9 miliardi di dollari) –  ma già in fase calante verso la fine del 2022 e consolidatosi nel primo trimestre di quest’anno, anche grazie alla strategia del principale consumatore di litio in Cina, l’azienda leader nella produzione di batterie Catl – e dall’altro rafforzare la resilienza della supply chain per le industrie delle batterie cinesi. Catl ha riportato profitti del 93% nel 2022, approfittando della sua posizione di leader industriale e fornitore di Tesla, Bmw, Honda e Saic.

Secondo gli analisti, la discesa delle ultime settimane e mesi è dovuta principalmente dal calo di vendite di Ev in Cina, che rimane il mercato benchmark per le performance dei prezzi dei materiali legati alle batterie e sostenuto negli ultimi anni da una pioggia di sussidi (circa 90 miliardi di dollari). I prezzi in calo dei derivati chimici del litio in Cina hanno infatti indotto i compratori (principalmente aziende di batterie, sia per dispositivi elettronici che per Ev) sui mercati spot a ricercare ulteriori sconti dai fornitori, come conferma la discesa del Benchmark Lithium Price Index di 6.2 punti percentuali tra febbraio e marzo.

Una discesa sostenuta e continua dei prezzi è comunque improbabile, considerando che il mercato Ev cinese è tra i più dinamici al mondo e la penetrazione delle auto elettriche negli altri mercati (Usa e Ue) è comunque questione di tempo e di mercato, e non solo una scelta meramente politica e ambientale. Nel medio-lungo periodo prezzi bassi potrebbero al contrario risultare problematici per la diversificazione, stante la tenuta economica dei progetti operativi o in fase di sviluppo. La volatilità dei prezzi dei materiali è infatti la principale preoccupazione per gli investitori nelle fasi upstream. Si tratta comunque di un movimento temporaneo: secondo le stime IEA, saranno necessari trilioni di dollari in investimenti in nuove capacità estrattive e di processazione per stare al passo con la domanda per la decarbonizzazione.

Settori in cui la Cina, grazie all’attivismo delle sue aziende di punta come Ganfeng Lithium e Tianqi Lithium si è assicurata da tempo importanti accordi commerciali upstream e midstream con partner australiani e sudamericani per la fornitura di litio oltreoceano. Si tratta di aziende integrate verticalmente, con conoscenze manageriale e tecniche nel settore estrattivo e di processazione. Posizioni che hanno garantito ai colossi delle batterie a valle della catena, insieme ai lauti sussidi pubblici, una posizione di vantaggio comparato rispetto ai produttori europei. E che potrà essere consolidata ulteriormente se l’Ue non metterà in campo meccanismi pubblici-privati per supportare la nascente industria continentale.

Inoltre, secondo il Financial Times, la Cina potrebbe rafforzare ancor più la sua presa sul cobalto, in un contesto che ha visto il prezzo del metallo toccare il punto più basso in quasi tre anni nonostante un aumento dell’offerta mondiale (principalmente dovuta a nuove capacità produttive nella Repubblica Democratica del Congo, dove Pechino possiede importanti interessi industriali). La Cina vedrebbe infatti crescere la quota di raffinazione quasi al 50% dal 44% di oggi già alla fine di quest’anno, nonostante le aziende produttrici cinesi abbiano a lungo cercato soluzioni cobalt-free per le batterie, puntando sulle batterie litio ferro fosfato (Lfp) su cui punterà anche Tesla.

In generale, sono sempre più pressanti le preoccupazioni sulla necessità di diversificare quanto più possibile le forniture e rendersi più autonomi da Pechino, che controlla più stadi della catena del valore: dalla trasformazione della materia prima (carbonato di lito) in idrossido e prodotti chimici che rispettino gli standard industriali per i catodi e le celle delle batterie. Ne è consapevole l’Unione Europea, che a giorni dovrebbe presentare il Critical Raw Materials Act, previsto per domani ma posticipato alla prossima settimana come confermato da Margrethe Vestager. “Entro il 2030 l’Ue avrà bisogno di 18 volte in più di litio di oggi, fondamentale per la transizione verde”, ha twittato la vicepresidente della Commissione europea con delega alla Concorrenza in visita al Salar de Atacama, uno dei siti estrattivi più importanti e grandi al mondo dove si produce un quarto del litio mondiale. Di recente, i paesi produttori di litio hanno sventolato l’ipotesi, ancora remota, per la realizzazione di un cartello industriale simile all’Opec per catturare maggior valore aggiunto.

Uno degli obiettivi fondamentale della strategia europea per le materie prime critiche, e che verrà ribadito nel Crm Act di prossima pubblicazione, è proprio il rafforzamento delle forniture da paesi terzi ed “amici”, partner fidati come il Cile con i quali è in attesa – a livello regionale – il passaggio di importante accordo di libero scambio (Fta). A ribadire l’importanza di una supply chain sicura e sostenibile è anche l’Associazione Europea dei Produttori Automotive (Acea), che in una nota pubblica ha sottolineato come l’enfasi sul riciclo, l’economia circolare e l’estrazione domestica non saranno sufficienti.

Anche gli Stati Uniti guardano alle forniture estere con sempre più maggior preoccupazione, a conferma che l’Inflation Reduction Act (Ira) è stato immaginato “per la sicurezza energetica nazionale”, come ha dichiarato il Senatore Joe Manchin durante la Cera Week. “E’ la prima volta nella storia del nostro paese che siamo così tanto dipendenti dall’estero per le nostre catene di approvvigionamento automotive”. Un rischio evidenziato anche da Laura Richardson, a capo dello US Southern Command delle forze armate statunitensi, in una deposizione presso l’Armed Services Committee del Congresso e in riferimento alla crescente penetrazione cinese in Sud America, per il controllo delle importanti riserve di litio. Infatti, circa il 68% delle riserve mondiali di litio sono custodite tra Argentina, Cile e Bolivia.

Un dossier su cui servirà, come di recente confermato dalla visita di Ursula von der Leyen a Washington, di una maggiore cooperazione transatlantica su forniture, standard e investimenti coordinati su più stadi della catena di fornitura, per non creare ridondanze ed erigere barriere protezionistiche che potrebbero compromettere la sicurezza e la competitività euro-atlantica in una filiera industriale strategica per il futuro.



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