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Batterie, due terzi della produzione europea a rischio senza interventi pubblici. Il report

L’analisi del think tank T&E dimostra come, senza un immediato intervento per supportare la nascente industria delle batterie a fronte dell’Inflation Reduction Act, la capacità produttiva pianificata e annunciata sul continente potrebbe essere seriamente compromessa nel medio-lungo periodo. Ma è solo la politica industriale americana la principale indiziata?

Mentre l’Italia e la Germania si sono di recente allineate sulla necessità di posticipare la deadline, fissata dal Parlamento europeo e già approvata dal Consiglio, per il bando ai motori a combustione interna (Ice) a partire dal 2035, la corsa alle batterie elettriche e alle materie prime critiche rende sempre più urgente un intervento deciso e coordinato a livello europeo.

La settimana prossima la Commissione presenterà in questa direzione il Critical Raw Materials Act che, nel quadro del Green Deal Industrial Plan (Gdip), dovrà gettare le basi per una strategia industriale che possa garantire i pilastri normativi, fiscali e finanziari a supporto dei settori più cruciali per la decarbonizzazione e la competitività delle filiere europee. Tra cui, appunto, quello delle batterie.

Se da una parte la politica continentale sembra tuttavia dividersi e non trovare un chiaro allineamento sulle tappe per la riconversione industriale del settore – complici i rischi per l’indotto economico, i posti di lavoro e la dipendenza geopolitica dalla Cina – i segnali che l’industria e i principali automakers europei hanno lanciato, sotto forma di investimenti e di allenamento alle direttive europee, ci raccontano comunque un’altra realtà.

Secondo i dati raccolti da Bloomberg (Bnef), la Cina e l’Europa hanno totalizzato la maggior parte degli investimenti nel 2021. Tuttavia, l’introduzione dell’Inflation Reduction Act (Ira) da parte dell’amministrazione Biden ha cambiato le carte in tavola. L’ambiziosa politica industriale americana – che ha attirato diverse critiche da parte dei policymakers europei, che hanno sollevato i rischi di una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico e di una vera e propria de-industrializzazione europea – guarda in particolare alle batterie e al rafforzamento delle capacità minerarie nazionali e alle forniture da paesi “amici” che possano accedere ai lauti incentivi federali.

Infatti, la misura che più ha suscitato sconcerto nelle cancellerie europee è quella relativa all’estensione e modifica del credito fiscale, a livello federale, per l’acquisto di veicoli elettrici. Per qualificarsi e ottenere il credito, il consumatore deve avere un reddito sotto i $ 150.000 dollari ma soprattutto il veicolo che verrà acquistato deve rispettare una serie di importanti requisiti: 1) avere un prezzo di listino sotto i $ 55.000 dollari (il limite è di $ 80.000 per i Suv); 2) essere stato assemblato in Nord America; 3) almeno il 40% del valore delle ‘materie prime critiche’ in esso contenute (l’80% dal 2027) deve provenire dal Nord America o da un paese con cui gli Stati Uniti hanno un accordo di libero scambio oppure che non sia ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale. Se queste condizioni sono rispettate, il consumatore può accedere ad un credito di $3.750; 4) almeno il 50% del valore delle componenti delle batterie (celle), il 100% dal 2029, deve essere assemblato e prodotto in Nord America o nei paesi di cui sopra. Se tutti requisiti sono rispettati, per ogni Ev venduto sul mercato il credito fiscale è di circa $ 7.350.

Più nel dettaglio, l’Ira prevede un sistema di incentivi (denominato ‘Advanced Manufacturing Production Credit’) che include il 10% del costo di produzione dei minerali critici; il 10% del costo dei materiali per le batterie (anodi e catodi); $ 35 per kWh di produzione di celle; $10 per kWh di produzione di moduli, e circa $45 kWh se celle e moduli sono prodotti insieme dalla stessa azienda. Secondo le stime del Rhodium Group, se tutti i requisiti sono rispettati dai produttori gli investimenti federali veicolati tramite l’Ira potrebbero aggirarsi tra i $32 e gli 85 miliardi di investimenti tra il 2022 e il 2031, a seconda di quante gigafactory e siti minerari diventeranno operativi.

È questa misura che, secondo una recente analisi del think tank Transport & Environment (T&E), potrebbe compromettere la nascente industria e filiera europea delle batterie senza un adeguato intervento dei decisori europei. Questo perché molti dei produttori di batterie – come Northvolt, Tesla e Italvolt – potrebbero trovarsi nella situazione di investire negli Usa per le condizioni più favorevoli, o subire ritardi perché i capitali necessari a far decollare e sostenere gli impianti verrebbero risucchiati dai concorrenti.

Delle 50 gigafactory annunciate sin dall’adozione del Green Deal, con una capacità produttiva stimata di 1.8 TWh, secondo lo studio (che tiene conto dei fondi già allocati, della località, dei permessi, dei potenziali investimenti privati e pubblici, dei progetti già annunciati negli USA o in cooperazione con partner oltreoceano) quasi due terzi (il 68%) della capacità produttiva di celle sarebbe a medio-alto rischio di non vedere la luce ed entrare operativamente sul mercato. I paesi nell’occhio del ciclone sarebbero, in particolare, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Italia (con Italvolt, già sotto la lente in seguito al fallimento dell’omologa britannica sotto la guida di Lars Carlstrom). Nel caso del nostro paese, “quasi metà (48%) della produzione di batterie agli ioni di litio pianificata […] rischia di andare incontro a ritardi, essere ridimensionata o addirittura cancellata”. Con evidenti ripercussioni per la competitività futura del sistema-Paese, nonostante i primi passi delle istituzioni e dei fondi italiani in questa direzione.

In sostanza, l’Europa potrebbe vedere sfumare 1.2 TWh di produzione di batterie, in grado di portare sulle nostre strade circa 18 milioni di auto elettriche. Un volume che, sia per interruzioni di produzione sia per possibili delocalizzazioni, metterebbe il continente alla mercè ulteriore dei paesi produttori (Cina e Usa in primis) essendo “incapace di soddisfare la domanda di accumulatori prevista per il 2030”.

Proprio T&E, qualche settimana orsono, aveva diffuso un altro interessante studio sulla possibilità che l’Ue possa raggiungere un certo grado di autonomia strategica nella produzione di celle per batterie e nelle forniture di litio, grezzo e raffinato, da siti continentali in fase di sviluppo. E’ chiaro che un certo grado di certezza normativa, a livello comunitario, per l’adozione degli Ev sarà cruciale per dettare le linee guida per la decarbonizzazione del parco auto, ma non dovrà essere sottovalutata la capacità degli OEMs di accedere alle materie prime e, al contempo, di reggere la fortissima competizione dei colossi cinesi in assenza di un forte impegno pubblico dalle istituzioni comunitarie.

Vi è poi la tesi opposta secondo cui sarebbero le stesse politiche climatiche dell’Unione europea a mettere sotto stress, al netto della politica industriale americana e sotto forma di un trend rialzista dei prezzi delle materie prime, le imprese e i produttori europei, soprattutto vis-a-vis con la Cina. I costi dell’energia e i prezzi della CO2 sarebbero tra i driver che porterebbero sempre di più brand globali come Tesla, Volkswagen a dare priorità agli investimenti negli Usa, e questo anche ben prima dell’introduzione dell’Ira.

Di fronte a questa duplice posizione, probabilmente una possibile soluzione dovrà essere trovata nel mezzo tra l’evidente virata industriale green degli Stati Uniti (che rischia di indebolire ulteriormente la posizione negoziale dell’Europa di fronte alla Cina, in assenza di un coordinamento transatlantico sul tema Ev) e la fattibilità dei piani di decarbonizzazione europei posti in confronto con l’effettiva competitività delle sue filiere. Secondo T&E, servirà che l’Ue presenti una forte e ambiziosa politica industriale, per pareggiare – o quanto meno avvicinarsi – alla potenza di fuoco dell’Ira, oltre a proseguire con il phase out dei motori a combustione dal 2035 e a semplificare l’iter di approvazione degli impianti, dalle miniere al mercato (certezza normativa).

La presentazione del Critical Raw Materials Act ci dirà fino a che punto le istituzioni europee e i paesi membri riusciranno a trovare una soluzione comune per affrontare – e su quali convergenze normative e industriali – la corsa globale ai veicoli elettrici.

 

 

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