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L’Australia blocca un investimento minerario cinese. Cosa c’è in gioco

Il governo australiano ha bloccato una transazione di un fondo cinese per aumentare le quote su un importante progetto minerario di terre rare. La decisione è stata presa per difendere l’interesse nazionale, alla luce dell’importante patrimonio geologico custodito dall’Australia e della posizione già dominante della Cina

Il governo federale australiano ha bloccato un investimento, collegato ad un fondo cinese, in procinto di aumentare i suoi interessi su un produttore di terre rare strategico per l’Australia. Un altro importante segnale del paese, intento a proteggere i suoi asset minerari nazionali per scalare la supply chain, soprattutto nei confronti della crescente presenza di industrie cinesi nel settore.

La decisione è arrivata dopo il parare decisivo del Foreign Investment Review Board, secondo quanto dichiarato dal ministro del Tesoro australiano, Jim Chalmers.

Lo scorso anno Yuxiao Fund, fondo privato registrato a Singapore ma di proprietà dell’investitore cinese Yuxiao Wu, ha notificato su richiesta del regolatore e come previsto dalla legislazione australiana la volontà di aumentare la quota di ownership sull’azienda mineraria Northern Minerals dal 10 al 19.9%. Una transazione che avrebbe aumentato significativamente il livello di controllo sulla compagnia australiana rispetto agli altri shareholders. Meno del 5% delle quote azionarie è posseduta da investitori istituzionali, così come non risulta una presenza importante di hedge funds. Oltre al fondo cinese, spicca la presenza di un altro fondo, Africa Changcheng Mining Holdings. Yuxiao Fund ha inoltre una significativa presenza commerciale in Mozambico, oltre ad essere un investitore con asset importanti per la fornitura alla Cina di terre rare pesanti.

Northern Minerals (Nm), con sede a Perth e da una capitalizzazione di borsa di circa 243 milioni di dollari australiani, gestisce tre siti minerari, Browns Range, John Galt e Bouldr Ridge, focalizzando il suo business sull’estrazione di disprosio, terbio e lutezio. I primi due elementi sono terre rare ‘pesanti’, con proprietà magnetiche fondamentali per la manifattura di magneti permanenti insieme a neodimio e praseodimio. L’aggiunta di piccole quantità di disprosio è cruciale per aumentare la coercività dei magneti, rendendoli ancor più efficienti nei motori elettrici e in generale in sistemi che generano elevate temperature (come quelli militari). La fornitura di disprosio è praticamente un monopolio cinese, con circa il 94% dell’offerta mondiale. Senza capacità estrattive e di raffinazione fuori dalla Cina, è molto difficile costruire una filiera indipendente.

Il progetto bandiera dell’azienda, infatti, nel sito di Brown Range, è definito come uno dei più promettenti per l’estrazione di terre rare pesanti fuori dalla Cina. Le operazioni minerarie, che potrebbero rimanere operative per 11 anni secondo i calcoli dell’azienda, avverranno su un deposito contenente disprosio con circa tra le 600 e le 800 parti per milione. Le risorse del deposito ammontano a 9.24 milioni di tonnellate, con una percentuale di ossidi di terre rare del 0.67%. Le terre rare magnetiche, infatti, generalmente contano mediamente per meno del 30% del tonnellaggio, e in percentuali variabili, nei depositi più ricchi a livello mondiale. Quest’anno la società presenterà il feasibility study per il progetto di processazione dei concentrati, con un costo complessivo che si potrebbe aggirare intorno ai 300 milioni di dollari. L’executive board di Nm ha inoltre siglato una partnership strategica con Iluka Resources che consentirà a quest’ultima di avere accesso ai concentrati contenenti disprosio e terbio per i suoi impianti di raffinazione in Australia occidentale. Per sviluppare la filiera midstream, il governo australiano ha concesso a Iluka un prestito da 1 miliardo di dollari per portare sul mercato gli impianti di raffinazione.

L’Australia è già il secondo produttore mondiale di terre rare fuori dalla Cina, grazie alle attività minerarie di Lynas Corporation che nel solo 2022 aveva prodotto 15.970 tonnellate di ossidi di terre rare, grazie agli impianti di raffinazione in Malaysia che ora sono stati bloccati dal governo locale per questioni ambientali (gli elevati consumi idrici). A differenza degli Stati Uniti, primo produttore di concentrati in Occidente ma che attualmente non possiedono capacità di separazione e raffinazione: motivo che ha spinto il governo e le aziende a diversificare le forniture.

La decisione del comitato, che segue un ordine preventivo firmato dal ministro Chalmers lo scorso 15 febbraio, è stata accolta dal ceo dell’azienda, Nick Curtis, sulla base “dell’interesse nazionale”. Secondo quanto riportato da Reuters, il ministro avrebbe deciso “su consiglio del Foreign Investment Review Board e in parallelo a quanto deciso da altri governi in passato”. Probabilmente il riferimento è all’omologa decisione del governo canadese, che ha bloccato lo scorso novembre le operazioni minerarie con significativi investimenti cinesi sugli asset nazionali, tra cui il litio.

Sempre a novembre 2022, Chalmers aveva dichiarato che il governo avrebbe monitorato con grande attenzione l’evoluzione del settore minerario australiano, il cui potenziale per la fornitura globale di litio e terre rare ha attirato un flusso di investimenti cinesi molto consistente. Le relazioni tra i due paesi, seppur entrati in una fase di relativa distensione e di dialogo (specialmente sulla questione delle esportazioni australiane di acciaio e carbone) rimangono comunque suscettibili di ulteriori strappi. L’Australia è infatti membro dell’alleanza Quad, in funzione anti-cinese, oltre ad essere parte della Minerals Security Partnership a guida statunitense. E’ dunque lecito aspettarsi che le questioni (geo)politiche saranno sempre più preponderanti nello sviluppo dell’industria delle materie prime critiche in Australia.

Un report di Kpmg e dell’Università di Sydney dello scorso anni ha infatti rilevato come gli investimenti cinesi in Australia siano in fase decrescente, diminuendo di oltre il 70% nel solo 2021 e ai livelli più bassi dal 2007. Le compagnie private cinesi hanno contato nello stesso anno per il 73% delle transazioni, con target in prevalenza il settore minerario che ha contato per quasi i due terzi degli investimenti totali cinesi, con quattro accordi per un totale di 545 milioni di dollari che includono il settore dell’acciaio e, più strategico, quello del litio.

Non è inoltre la prima volta che il governo australiano è intervenuto per bloccare un acquisizione dell’azienda (Nm). Nel 2020, il predecessore di Chalmers al Tesoro aveva bloccato il consorzio cinese Baogang Group Investments che mirava a controllare circa l’11% della società. Si tratta, tuttavia, di interventi mirati ai progetti più strategici: infatti, a settembre 2022 il regolatore australiano ha approvato l’investimento di China Baowu Steel Group da circa 2 miliardi di dollari per lo sviluppo di un progetto per l’estrazione di ferro con Rio Tinto.

La decisione, comunque, segnala la crescente sensitività dei governi nazionali sugli investimenti cinesi, specialmente nell’ottica di sviluppare un’industria delle materie prime critiche (dalle miniere ai mercati più a valle) svincolata dalla già forte predominanza di Pechino. Una preoccupazione che terrà saldamente legati Washington e i partner commerciali – come appunto Australia e Canada – che dispongono di importanti risorse e riserve minerarie.

Secondo Justin Bassi, analista dell’Australian Strategic Policy Institute (Aspi), “il sistema di revisione degli investimenti funziona” dal momento che assicura che “gli interessi economici non oltrepassino le priorità di sicurezza nazionale”. Una decisione che nel caso delle terre rare – la cui applicazione spazia dai settori civili a quelli militari, basti pensare che un F-35 contiene circa 417 chilogrammi di terre rare – non poteva essere differente.

Rimane da capire come questo tipo di presidio possa essere applicato anche su altri progetti, per esempio nell’estrazione di litio. Nel caso australiano, la difficoltà di trovare acquirenti e partner commerciali che possano trasformare lo spodumene roccioso dai depositi australiani in composti chimici per l’industria delle batterie rende un decoupling tra Camberra e Pechino allo stato attuale molto difficoltoso, e che spiega probabilmente il basso profilo del governo australiano sugli investimenti cinesi. Una situazione che potrebbe naturalmente cambiare se l’Australia riuscirà ad implementare la Critical Minerals Strategy 2023 per la valorizzazione dei suoi asset minerari lungo tutta la catena del valore: dalle miniere alle batterie.


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