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Terremoto nei chip se la Germania bloccherà l’export di prodotti chimici alla Cina

Semiconduttori microchip chip

Il governo tedesco starebbe valutando di vietare le esportazioni a Pechino di materiali cruciali per la fabbricazione di semiconduttori. La mossa potrebbe avere importanti conseguenze per le aziende tedesche (Basf, Merck), oltre a segnalare una linea più dura del Cancelliere Scholz verso la Cina. Ma reggerà?

Secondo alcuni rumors raccolti da Bloomberg nella giornata di ieri, la Germania starebbe valutando di bloccare le esportazioni verso la Repubblica Popolare Cinese di materiali e prodotti chimici essenziali per la fabbricazione di semiconduttori avanzati.

La mossa sarebbe volta a bilanciare gli interessi economici e le preoccupazioni sulla sicurezza nazionale delle autorità tedesche, e avrebbe sicuramente impatti su aziende come Basf e Merck KGaA, entrambe leader nella fornitura di agenti chimici per la produzione di microchip. Tra quelli più utilizzati, si annoverano il tricloroetilene, l’acetone, l’alcol isopropilico e altri. In seguito alla notizia, Basf ha chiuso con un -4.3% in borsa mentre Merck non ha registrato particolari oscillazioni, in un contesto macro e geopolitico che ha già colpito i chipmakers.

Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, adottando una misura che si allinea a quella messa in campo anche da Olanda e Giappone, su pressione statunitense, confermerebbe una linea più dura nei confronti di Pechino, seppur gli interessi economici tra le due potenze industriali siano molto difficili da bilanciare con gli imperativi politici. Il Cancelliere e il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, sarebbero in stretti contatti con le controparti europee e americane sulla questione delicata dei semiconduttori. “I controlli sulle esportazioni di tecnologica critica devono essere costantemente monitorati, soppesati e aggiornati”, aveva suggerito un portavoce del governo tedesco a marzo. Tuttavia, l’amministrazione Biden molto difficilmente potrebbe esercitare una pressione tanto forte come quella sul governo olandese, considerati gli interessi in gioco nella gestione di Asml, azienda strategica per l’intero comparto globale dei chip e per gli equilibri tecnologici tra Usa e Cina.

Ad ottobre, il Dipartimento del Commercio americano ha pubblicato nuove regole secondo le quali le aziende che richiedono una licenza per vendere in Cina si troveranno di fronte ad una presumption of denial se producono chip Dram al di sotto dei 18 nanometri, al di sopra di 128 strati per i chip Nand e sotto i 14 nm per i chip logici e per i quali devono richiedere una licenza. Peter Wennink, ceo di Asml, ha dichiarato questa settimana che tali restrizioni spingeranno la Cina a sviluppare il suo equipaggiamento per soddisfare le esigenze tecnologiche delle sue aziende di punta, come Smic e Ymtc, e che comunque rimane “essenziale” per la continuità del business aziendale l’accesso al mercato cinese, il terzo dopo Taiwan e Corea del Sud. Un mercato, come quello Ev in rapida ascesa e consolidamento in Cina, che attirerà sempre di più i produttori di chip che non rientrano (per ora) nelle restrizioni previste dagli USA.

SMIC, azienda statale e leader cinese nella produzione di chip, è la dimostrazione plastica che le restrizioni su input tecnologici e know-how abbiano rallentato la corsa cinese lungo la frontiera nanometrica. Seppur abbia annunciato la produzione a 7 nanometri (dietro a Samsung, Intel e Tsmc, l’impossibilità di accedere ai macchinari Euv rende l’impresa insostenibile a livello economico, perché significherebbe produrre chip avanzati con macchinari ormai obsoleti per quella scala.

L’idea di sfruttare la presenza tedesca nella supply chain dei microchip per la fornitura di input cruciali, nell’ottica di forzare la mano alla Cina su questioni di politica estera, potrebbe essere la conseguenza della visita di Annalena Baerbock, ministro degli Esteri, nel Paese. Il viaggio, secondo i quotidiani tedeschi, avrebbe confermato al Ministro l’idea di una Cina come rivale sistemico e non più solo partner commerciale e competitor economico.

Secondo quanto riportato anche da Reuters, la Baerbock avrebbe riscontrato la posizione “scioccante” e inflessibile della Cina sulla questione di Taiwan, anello fondamentale per l’industria dei semiconduttori globale e tassello mancante nel mosaico di Xi Jinping per l’ascesa geopolitica e tecnologica della nazione cinese. La riunificazione anche non pacifica, con l’isola democratica è ormai un desiderio non così taciuto da parte del Partito Comunista Cinese. Un evento che potrebbe avere conseguenze molto gravi per l’economia e gli equilibri mondiali.

Strozzare ulteriormente la supply chain dei microchip all’avanguardia – su cui la Cina conta per lo sviluppo delle tecnologie avanzate come l’IA, con applicazioni dual-use in ambito civile-militare – è ormai una questione di sicurezza nazionale, non solo di contenimento economico. Al contempo, la necessità di svincolare il Paese dalla dipendenza tecnologica con l’Occidente rappresenta un vero e proprio punto fermo della leadership cinese, seppur con risultati per ora altalenanti. Resta tuttavia evidente come sia impossibile, da entrambe le parti, raggiungere una qualsiasi forma di autonomia o isolamento da shock lungo la filiera, considerandone la complessità. Il punto rimarrà la gestione offensiva o difensiva dell’interdipendenza.

Secondo Bloomberg, la via più pratica e semplice per la Germania di implementare un tale controllo sulle esportazioni sarebbe quello di inserire i servizi e i beni interessati nella lista nazionale dual-use, che proibisce il commercio di prodotti che possano essere utilizzati in ambito civile e militare allo scopo di prevenire lo sviluppo e la proliferazione di armi chimiche, biologiche e nucleari oltre a dispositivi militari convenzionali.

Seppur la Germania non vanti aziende Sme (semiconductor manufacturing equipment), Merck e BASG forniscono prodotti chimici utilizzati dalle principali fonderie globali. I prodotti e servizi di Merck si trovano in quasi ogni chip venduto a livello globale, mentre Basf è leader in Europa e Asia, a stretto contatto con i chipmakers.

Si tratta comunque di misure che verranno valutate con estrema attenzione da Berlino, dal momento che potrebbero impattare fortemente il business tedesco: dall’industria all’automotive, i microchip avanzati sono fabbricati con l’utilizzo di equipaggiamento europeo (Euv da Asml) e americano (Lam Research e Applied Materials non forniscono attrezzature dal 2019, in ossequio alle restrizioni del Bureau of Industry and Security americano) e giapponese (fotoresistori da Tokyo Elektron, Nikon Corporation). Tuttavia, i chip maturi – e sui quali la Cina vanta una capacità produttiva importante – sono input essenziali per tutta una serie di prodotti tecnologici utilizzati dagli OEMs tedeschi. Vi è poi l’esposizione tedesca lungo la filiera delle rinnovabili, in particolare sui materiali critici, come carta geopolitica in mano a Pechino: una debolezza che potrebbe pesare nella transizione ad un’era post-nucleare.

Proprio per ridurre questo gap e i rischi di fornitura, la Germania è il Paese più attivo nella spinta europea (via European Chips Act) per riportare sul suolo continentale la produzione di semiconduttori all’avanguardia. Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (Tsmc), il più grande produttore mondiale, sta ancora valutando di aprire il suo primo impianto in Germania, avvicinandosi al mercato dell’auto tedesco, mentre Intel Corporation ha annunciato lo scorso anno di aver scelto la località di Magdeburg per il suo nuovo sito da 17 miliardi di dollari.

Seppur il decoupling tecno-industriale dalla Cina sia più difficile del previsto e una rottura con Pechino sia molto improbabile, è evidente che anche la Germania non possa sottrarsi da nuove logiche che prediligono la sicurezza sugli interessi economici a breve termine. Soprattutto in un’industria strategica come quella dei semiconduttori.


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