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Guida al viaggio negli Usa di Giorgetti, ministro-ambasciatore di Meloni

Il ministro dell’Economia ha incontrato il segretario al Tesoro Janet Yellen, nell’ambito della due giorni del Fondo monetario internazionale nella capitale americana. Da Conte a Meloni, via Draghi, ecco il suo ruolo nel rapporto tra Roma e Washington

Dalle contraddizioni del governo gialloverde, il primo presieduto da Giuseppe Conte, alle certezze di quello a guida Mario Draghi, fino alle sfide di quello di Giorgia Meloni. Da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio prima, ministro dello Sviluppo economico poi, ministro dell’Economia adesso, Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, ha rappresentato ieri e rappresenta ancora oggi un elemento di continuità filo-atlantica dei governi italiani.

Basta riavvolgere il nastro al 5 novembre del 2020, quando Giorgetti dettava la linea del Carroccio con un occhio verso oltre Atlantico. Erano le settimane in cui la pandemia infuriava, abbattendo un poco alla volta il governo Conte II (di lì a tre mesi sarebbe arrivata la chiamata del Quirinale a Draghi), e Joe Biden si preparava a prendere il posto di Donald Trump alla Casa Bianca dopo le elezioni americane più discusse e velenose degli ultimi anni. “Eravamo, siamo e saremo amici degli Usa. Avremo relazioni positive anche con Biden, teniamo la barra dritta sui rapporti transatlantici”, aveva chiarito senza possibilità di replica il politico di Cazzago Brabbia ai microfoni di Maria Latella, su Sky Tg24.

Da quel giorno di acqua sotto i ponti ne è passata molta. Draghi è arrivato a Palazzo Chigi, ha combattuto pandemia e recessione, a costo di imbottire, senza possibilità di scelta, i conti pubblici di bonus. Per lasciare infine il testimone a Meloni, uscita vincitrice dal voto del 25 settembre scorso. Un lasso di tempo in cui Giorgetti è diventato ministro dello Sviluppo economico, spostandosi successivamente di poche centinaia di metri, a via XX Settembre per prendere le redini del dicastero più importante d’Italia, quello dell’Economia.

Questa è la storia, senza troppi orpelli. Poi ce n’è un’altra, quella che racconta del minimo comun denominatore che lega l’azione di Giorgetti a quella dell’attuale presidente del Consiglio e dei due predecessori. E cioè il ruolo imprescindibile dell’Italia al fianco degli Stati Uniti. In queste ore Giorgetti è a Washington per partecipare al Meeting di primavera del Fondo monetario internazionale, che vedrà riunirsi i ministri dell’Economia dei Paesi più sviluppati. Intorno, una serie di incontri dal grande valore strategico. Tra questi, oggi, quello con Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, in occasione di una tavola rotonda. Ed è proprio questa l’opportunità che certificherà ancora una volta la saldatura tra Roma e Washington, che negli anni scorsi ha vissuto momenti difficili. Basti pensare al memorandum d’intesa sulla Via della Seta siglato dal governo gialloverde con il decisivo impulso del Movimento 5 Stelle.
Un memorandum che però lo stesso Giorgetti, ai tempi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sterilizzò a dovere, fissando una serie di paletti. “Si farà (il memorandum, ndr), ma metteremo dei paletti. Una cosa sono le opportunità di investimento per il nostro Paese e le nostre imprese, altra cosa è mantenere le cautele su tematiche delicate come la sicurezza e le telecomunicazioni. Non avrà valore giuridico, ma di certo ha un significato politico. Quindi è giusto non toccare aspetti delicati e salvaguardare i nostri interessi strategici”, aveva chiarito.

Insomma, da Conte a Draghi, fino a Meloni, nel segno dell’atlantismo. Altro esempio. Era la metà di ottobre quando, la leader di Fratelli d’Italia già con un piede dentro Palazzo Chigi, c’era chi prevedeva l’apocalisse sui mercati e un progressivo raffreddamento delle relazioni transatlantiche. Invece è andata diversamente. La prudenza del governo, di cui Giorgetti è interprete, ha tenuto a bada lo spread e rassicurato chi compra debito italiano. E i rapporti con Washington non sono mai stati messi in discussione. Ma non è finita.

Quando era allo Sviluppo Economico ha lavorato d’intesa con Gina Raimondo, figura importantissima dell’amministrazione Biden e autrice del Chips act, sul tema della sicurezza delle supply chain, sui semiconduttori e sulla possibilità di attrarre in Italia l’investimento di Intel. La segretaria al Commercio incontrò il ministro nel suo viaggio in Italia, ieri si sono rivisti a DC e in un “incontro lungo e cordiale” hanno parlato della collaborazione sulle produzioni strategiche”, a partire proprio dai semiconduttori. Da segnalare anche, per chiudere il cerchio, il premio della Niaf (National Italian American Foundation) a Giorgetti; la conferenza al Council of foreign relations; il suo ruolo attivo con la Camera di commercio Usa in Italia.

Il ministro italiano può essere dunque considerato  uno dei più efficaci e credibili ambasciatori politici dell’atlantismo del centrodestra negli Stati Uniti. Un ruolo tanto delicato quanto strategico se si considera il confronto, tutt’oggi in atto, tra Usa ed Europa sul terreno dei sussidi alle rispettive economie. Insomma, se è vero che il faccia a faccia di gennaio tra Giorgetti e Mike Pyle, vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e sherpa G7/G20 del presidente Biden, ha “rinsaldato l’amicizia tra i due”, con Janet Yellen, non è andata diversamente.

Insomma, a conti fatti, la visita negli Usa sarà rilevante dal punto di vista economico-finanziario ma anche per rinsaldare la fiducia politica verso l’Italia. A Washington Giorgetti trascorrerà 48 ore tutte intensissime. E forse decisive per il Pil italiano più delle nomine.



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