La scoperta si inserisce in una corsa globale per identificare nuovi e promettenti depositi, nonostante i dubbi sulla fattibilità dell’estrazione. La competizione geopolitica e la forte domanda dalle tecnologie digitali e verdi spingerà le attività minerarie oltre le frontiere conosciute
Secondo il South China Morning Post, gli scienziati cinesi avrebbero scoperto enormi riserve potenziali di minerali di terre rare nell’Himalaya, che potrebbero rafforzare la posizione dominante di Pechino sull’industria. I giacimenti, che si estendono per 1.000 chilometri nell’altopiano tibetano, sono stati individuati dagli esperti della China University of Geosciences di Wuhan utilizzando l’intelligenza artificiale. Ma considerati fattori quali la carenza di infrastrutture, l’ambiente ostile, l’estrazione di questi minerali potrebbe essere complessa anche per la Cina che possiede il necessario know-how tecnico e industriale, oltre a richiedere decenni.
Secondo l’articolo, la Cina starebbe sviluppando un sistema di intelligenza artificiale dal 2020 sotto la direzione di Zuo Renguang e del suo team per favorire l’esplorazione mineraria, utilizzando dati satellitari. “I metalli delle terre rare sono insostituibili in settori emergenti come i nuovi materiali, l’energia pulita, la tecnologia militare e la tecnologia dell’informazione, il che li rende una risorsa mineraria strategica nella competizione globale”, ha dichiarato Zuo. I ricercatori nazionali ritengono che questa scoperta farà pendere la bilancia a favore della Cina, che a partire dagli anni Novanta ha concentrato sempre di più l’industria contando sulle vaste riserve nazionali. Tuttavia, considerando l’impatto ambientale e la forte domanda delle industrie più high-tech lungo la filiera, vero obiettivo della politica industriale cinese, la Cina ha progressivamente delegato l’estrazione dei concentrati di terre rare, contando anche sull’importazione e lavorazione della materia prima da minerali estratti all’estero (Stati Uniti, Australia e Africa). Infatti, la percentuale della Cina sulle riserve mondiali è diminuita dal 43% degli anni Ottanta e Novanta al 36,7% del 2021. Al di fuori della Cina, anche le risorse di terre rare hanno registrato un’enorme espansione, raddoppiando circa nello stesso arco di tempo.
A livello globale, la Cina detiene il 35% delle risorse conosciute, con l’83% di esse contenute nella sola miniera di Bayun Obo, nella Mongolia Interna, la più grande del mondo e attorno alla quale sorge un complesso urbano e industriale che ospita centri di ricerca, impianti di raffinazione e manifattura di metalli e leghe.
La Cina rimane il principale attore globale nell’industria delle terre rare in termini di produzione mineraria e di riserve di elementi di terre rare, con 44 milioni di tonnellate e 140.000 tonnellate di produzione mineraria annuale. Gli Stati Uniti sono al secondo posto, avendo riaperto la miniera di Mountain Pass, in California per opera di Mp Materials, nel 2018 e aumentato gradualmente la produzione fino a 38.000 tonnellate nel 2021, con 1,5 milioni di tonnellate di riserve. L’Australia è al terzo posto con una produzione annuale di 17.000 tonnellate e circa 4,1 milioni di tonnellate di riserve. Il Vietnam e il Brasile seguono rispettivamente al secondo e terzo posto per riserve, rispettivamente con 22 e 21 milioni di tonnellate, ma la loro produzione mineraria è tra le più basse, con solo 1.000 tonnellate all’anno ciascuno secondo le stime dello Us Geological Survey. A gennaio, l’Europa ha salutato con favore l’annuncio della svedese Lkab di un deposito promettente in Svezia, seppur rimangano alcune criticità.
La Cina ha una forte posizione nella catena di approvvigionamento globale, rappresentando l’80-85% delle attività di processazione, con gli Stati Uniti che dipendono fortemente dalla Cina per circa l’80% delle importazioni di terre rare – metalli che sono fondamentali per i magneti ad alta performance, utilizzati nei più avanzati dispositivi militari. La sicurezza dell’approvvigionamento è un problema che sottolinea la necessità di sviluppare nuove fonti di terre rare (e altri materiali critici) in Nord America e altrove, come Australia, Vietnam, Giappone e Indonesia. Soprattutto alla luce delle nuove disposizioni in materia di interesse nazionale varate da Pechino, che considera strategiche le tecnologie per la lavorazione dei materiali lungo la supply chain.
Nei prossimi 15-20 anni, si prevede che la domanda cinese di risorse minerarie di base, tra cui ferro, rame, alluminio, carbone e cemento, la cui disponibilità ha sostenuto la forte industrializzazione e urbanizzazione nel corso degli ultimi tre decenni, diminuirà drasticamente. Secondo la pubblicazione scientifica citata, una ricerca peer-reviewed comparsa sulla rivista Earth Science Frontiers, il professor Zuo ha previsto che le terre rare diventeranno l’obiettivo principale dell’estrazione mineraria nei prossimi decenni. Questo anche perché i piani di sviluppo della Cina si sposteranno sempre di più dall’industria pesante all’industria ad alta tecnologia, responsabile del consumo di una platea di metalli e minerali critici.
Il sistema di intelligenza artificiale creato dai ricercatori cinesi è stato addestrato a riconoscere il minerale che può contenere litio e minerali di terre rare, oltre a niobio e il tantalio, essenziali per la produzione rispettivamente di batterie e motori elettrici, oltre alla manifattura di superleghe.
I geologi cinesi hanno scoperto questa tipologia di minerale su tutto il monte Everest, l’Himalaya, ma fino a poco tempo fa non immaginavano di poter pensare seriamente ad attività estrattive. L’inizio del progetto di intelligenza artificiale applicato all’esplorazione mineraria è stato lanciato, con il supporto del governo, dopo aver trovato involontariamente minerali di litio e terre rare in alcuni campioni di roccia provenienti dal Tibet circa dieci anni fa. All’inizio il dispositivo aveva una precisione del 60%. Tuttavia, quando il team di ricerca ha incluso i dati sulla composizione chimica delle rocce, la precisione dello strumento IA è salita al 90%, secondo quanto riportato dal South China Morning Post.
La posizione dei giacimenti di terre rare, situati lungo il confine meridionale del Tibet, aggiunge – oltre alla fattibilità tecnica ed economica di attività minerarie in un contesto di quel tipo – un ulteriore livello di complessità sulla questione. La disputa territoriale in corso tra Cina e India è infatti un potenziale elemento di attrito geopolitico a questa scoperta. La disputa sui confini è da tempo un punto di contesa tra le due nazioni e la presenza di minerali preziosi nella regione complica ulteriormente la questione. Di recente anche l’India ha annunciato di possedere importanti riserve di litio.
Oltre alla scoperta di minerali di terre rare, gli scienziati cinesi hanno avviato uno studio completo nelle regioni del monte Everest e dell’altopiano del Qinghai-Tibet. Lo studio mira a esaminare i cambiamenti climatici e ambientali, compresa l’influenza dei venti occidentali e dei monsoni, all’interno dell’area. Questa iniziativa di ricerca riveste una notevole importanza e rilevanza, in quanto migliora ulteriormente la comprensione delle dinamiche ecologiche della regione.
Una consapevolezza, quella sugli equilibri ecosistemici, che rimane un punto critico anche per un altro fronte dell’estrazione mineraria: quella dei fondali marini. Di recente, la Norvegia ha dato il via libera per aprire all’esplorazione le aree che sottendono sotto la sua giurisdizione, e che si trovano nel Mare di Groenlandia, nel Mare di Norvegia e nel Mare di Barents coprendo una superficie di circa 280.000 chilometri quadrati (108.000 miglia quadrate), leggermente più piccola del Regno Unito e dell’Irlanda messi insieme. Entro luglio è attesa la decisione dell’International Seabed Authority sulla governance di queste attività che potrebbero rappresentare una nuova frontiera nella competizione globale sulle risorse del XXI secolo.