Il governo di Canberra, tramite il comitato sugli investimenti, ha dato il via libera per un investimento di un colosso minerario cinese in un progetto australiano in Indonesia. Un segnale di distensione tra i due Paesi dopo quasi cinque anni di turbolenze, ma in un settore critico per gli equilibri industriali e dunque geopolitici
L’Australian Foreign Investment Review Board (Firb) ha approvato l’investimento di 270 milioni di dollari da parte di Shanghai Decent Investment Group per l’acquisizione di una quota di Nickel Industries (NI), produttore australiano di Nickel. I fondi raccolti verranno veicolati per supportare lo sviluppo, da parte di NI, di un deposito di nichel indonesiano. Shanghai Decent è una filiale del più grande produttore mondiale di acciaio inossidabile, Tsingshan, con sede nella provincia cinese di Zhejiang. Come riporta il South China Morning Post, Shanghai Decent acquisirà il 28% dello share, diventando così azionista di maggioranza.
L’approvazione del FIRB australiano conferma un periodo di relativa stabilizzazione nelle relazioni dei due paesi, che avevano visto un progressivo deterioramento a partire dal 2018, con l’intrecciarsi di numerosi dossier tra cui il 5G, l’accusa australiana a Pechino sull’origine del coronavirus e non ultimo alcuni interventi e monitoraggi dell’autorità australiana su investimenti cinesi nell’industria delle materie prime critiche, tra cui un progetto sulle terre rare a marzo scorso e sul litio. Proprio la forte integrazione tra Australia e Cina lungo la supply chain dell’oro bianco rende evidente quanto sia complicato l’equilibrio tra interessi economici (i produttori australiani hanno la Cina il loro primo e unico partner commerciale, seppur il governo australiano voglia aumentare le capacità di raffinazione domestiche) e interessi di sicurezza nazionale, evocati dal FIRB per bloccare le acquisizioni di industrie strategiche.
Il caso di Nickel Industries e Shanghai Decent è tuttavia molto interessante e al contempo allarmante, se consideriamo che, data la natura della transazione, capitali cinesi sostanzialmente hanno preso il controllo di un’azienda straniera nel tentativo di contenere la penetrazione di un potenziale competitor in Indonesia, paese con cui la Cina ha costruito un rapporto negli ultimi anni per assicurarsi forniture di nichel. Materiale che, secondo la recente lista delle materie prime stilata da Canberra, non risulterebbe come ‘critico’ nonostante l’Australia ne disponga di ampie riserve. Di recente, Stati Uniti e Australia si sono promessi di raggiungere un accordo bilaterale sulle materie prime critiche nell’ottica di includere le aziende minerarie australiane nel perimetro dell’Inflation Reduction Act.
Il nichel è il quinto elemento più abbondante sulla terra, dopo ossigeno, ferro, magnesio e silicio. In natura lo si trova spesso in combinazione con ferro e zolfo e sotto forma di minerali nichel-laterite che si formano tipicamente da processi geologici nelle regioni tropicali. Non è dunque un caso che grandi giacimenti di nickel siano collocati nelle Filippine e in Indonesia (con circa il 21% delle riserve mondiali, al pari dell’Australia). Le risorse globali di nichel sono stimate in circa 300 milioni di tonnellate secondo le stime dello US Geological Surrvey, volumi altrettanto importanti si troverebbero nei noduli polimetallici dei fondali oceanici.
Oggi, il nichel è considerato come ‘critico’ dalla Commissione europea, soprattutto il nichel battery grade (ovvero quello utilizzato nelle batterie al litio). L’elevata domanda, infatti, dovuta al forte aumento dei veicoli elettrici (EV) e al suo progressivo consumo da parte dei produttori nelle differenti configurazioni catodiche, con l’obiettivo di ridurre il consumo di cobalto per questioni legate all’approvvigionamento e ai rischi ESG, ne fa di uno dei minerali più ricercati a livello globale.
Una batteria da 75 kWh composta da celle NMC622 contiene circa 40 kg di nichel, il che significa che la produzione di 1 GWh di questo tipo di celle richiede circa 532 t di nichel. Secondo Adamas Intelligence, in tutto il mondo sono stati utilizzati circa 88.000 tonnellate di nichel per le batterie installate nei nuovi veicoli elettrici venduti nella prima metà del 2022. Tuttavia, l’uso del nichel nei materiali catodici per batterie rappresenta ancora solo un po’ più dell’11% del totale consumato, con oltre due terzi della produzione annuale a livello mondiale (dominata da colossi multinazionali come Vale, Glencore e BHP) che vengono destinati all’acciaio inossidabile, secondo i dati del Nickel Institute.
In previsione della forte domanda di batterie, l’industria del nickel negli ultimi anni ha subito una progressiva riorganizzazione. Prima del 2018, l’offerta di battery grade nickel era sostanzialmente dominata da Canada e Russia, con il ruolo preponderante per la seconda dell’azienda Norilsk Nickel. Il colosso russo, con forti legami con Vladimir Potanin, non è mai stato sanzionato dagli Stati Uniti e dall’Unione europea a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio del 2022, ma ha subito considerevoli perdite sul mercato per via della perdita di numerosi clienti. Lo squeeze che ha in seguito sconvolto il London Metal Exchange ha provocato uno shock sul mercato, di cui Norilsk rappresentava una fetta importante (7% dell’offerta mondiale), e un rialzo dei prezzi di circa il 400% rispetto ai valori del 2021. Tra le conseguenze, una reputazione danneggiata e, forse, la perdita di hub di primo livello per il trading del nichel a livello globale.
Lo shock temporaneo, ciò nonostante, era solo uno dei tanti sintomi di un mercato destinato a cambiare considerevolmente per andare incontro ai desiderata dell’industria automotive. Nel 2020, Elon Musk se ne era uscito allo scoperto, pregando le compagnie minerarie di “estrarre più nickel”.
L’estrazione di nichel da minerali lateritici è infatti aumentata considerevolmente, nonostante il contenuto di nickel all’interno del minerale ospitante sia più basso rispetto ai minerali di solfuro (che rimangono la fonte primaria, ma con infrastrutture molto più costose considerando la profondità dei depositi). L’utilizzo e l’ammondernamento della tecnica a lisciviazione acida ad alta pressione (HPAL) ha infatti consentito l’estrazione su scala del nichel da depositi rocciosi in superficie, rendendolo un perfetto e potenziale materiale precursore per essere utilizzato nella manifattura di batterie. Circa 2,58 milioni di tonnellate di nichel sono state estratte nel 2021, con circa il 60% dell’output proveniente dalla regione del Pacifico occidentale. Più della metà del volume totale di estrazione è stato raffinato in Cina con 784.000 tonnellate, seguita dall’Indonesia con 645.000. Parliamo di oltre il 54% dell’offerta mondiale di nichel raffinato.
Ed è proprio la forte collaborazione di questi due paesi, e delle rispettive industrie nazionali, che rende oggi il mercato del nichel fortemente concentrato lungo la supply chain. Come anticipato, la grande scommessa della Cina è stata investire e supportare lo sviluppo dell’industria del nickel indonesiana, assicurando così da un lato i desideri del governo per creare maggior valore aggiunto e dall’altro estendendo il proprio controllo su uno dei materiali cruciali per le gigafactory cinesi. Lo scambio, tra conoscenze metallurgiche e personale qualificato dalla Cina e accesso privilegiato alle forniture, ha dato i suoi frutti. Da attore quasi insignificante nel 2017, l’Indonesia nel 2022 contava per circa la metà dell’offerta globale di nichel. Nel 2018 il primo significativo investimento cinese, con Lygend Resources and Technology in joint venture con Harita Group per la costruzione del primo inpianto HPAL per nichel destinato alle batterie.
Questa alleanza ha aiutato i produttori cinesi di nichel (come Jinchuan) a passare rapidamente dalla ghisa di nichel, utilizzata per l’acciaio inossidabile, al precipitato di idrossido misto, o MHP. Questa polvere verde vibrante sta rapidamente diventando il materiale più ricercato per le batterie ad alto contenuto di nichel. Grazie all’MHP, Benchmark Minerals Intelligence prevede che entro il 2030 l’Indonesia produrrà 80.000 tonnellate di cobalto, pari al 20% della produzione globale. Attualmente l’Indonesia dispone di tre impianti in grado di produrre 164.000 tonnellate di MHP all’anno. Ne sono stati pianificati altri 26, con l’azienda Aneka Tambang Tbk in prima fila. Tutti, tranne tre la cui apertura è prevista per il 2026, coinvolgono aziende cinesi.
Il risultato? I grandi brand dell’automotive, e non solo, che fanno a gara per assicurarsi forniture investendo direttamente nell’industria locale. È il caso di Ford Motor, o di Posco Holdings, gigante dell’acciaio sudcoreano. Ma i produttori cinesi di batterie sono già un passo avanti. Nel complesso, in solo tre anni sono confluiti circa 15 miliardi di dollari di investimenti.
Il problema – che potrebbe diventare un incentivo a diversificare le forniture, come auspicato in generale dai Paesi del G7 – è l’enorme impatto ambientale associato alla produzione di nichel con impianti HPAL. Non solo per i grandi volumi di rifiuti tossici e il disboscamento delle foreste adiacenti ai siti, ma anche perchè questi impianti sono fortemente energivori, rifornendosi perlopiù da centrali elettriche a carbone. Nonostante ciò, nel corso del 2021 e del 2022 numerosi OEMs hanno firmato accordi di fornitura (Hyundai, LG, Foxconn, CATL, SAIC).
In questa direzione, di recente il gruppo Stellantis ha firmato un contratto vincolante di acquisto e investimento azionario (circa 5 milioni di euro) con Kuniko, che assisterà nello sviluppo dei suoi progetti di metalli per batterie in Norvegia. L’accordo vedrà Stellantis acquisire una partecipazione del 19,99% e assicurarsi il 35% dei solfati di nichel e cobalto prodotti dai progetti di Kuniko per un periodo di nove anni insieme al diritto di nominare un amministratore nel consiglio di amministrazione di Kuniko. L’azienda punta a estrarre i materiali in maniera sostenibile e responsabile, in ottemperanza anche al nuovo regolamento europeo sulle batterie e nell’ottica di contribuire agli obiettivi dell’European Critical Raw Materials Act.