Poiché le decisioni europee in questo settore avranno un ruolo cruciale per il futuro dell’ecosistema europeo, delle imprese e degli utenti negli anni a venire, dobbiamo augurarci, nell’interesse primario di utenti e imprese, che prevalga la tutela di un Internet libero e aperto. L’opinione di Flavio Arzarello, responsabile Affari economici e regolamentari Meta per l’Italia
Equo contributo o tassa su internet? Formiche apre il dibattito. Inizia Preta
La fair contribution, utile a correggere (alcune) distorsioni. Scrive Basso (WindTre)
Non nuove regole, ma nuovo modello di business. Righetti (Dazn) sulla fair share
Il fair share non è un rimedio regolamentare ma una tassa. Scrive Denni
Fair Contribution, punti di forza della proposta secondo Dècina e Giangrande
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L’idea – proposta dalle maggiori aziende telco europee – secondo cui dovrebbe essere imposta una contribuzione ai costi di realizzazione, ammodernamento e gestione delle reti di telecomunicazione nell’Ue alle piattaforme digitali (i cosiddetti CAPs, tra cui Meta) non tiene conto né della relazione simbiotica tra le piattaforme stesse e i servizi di telecomunicazione né del valore che le piattaforme digitali generano per l’ecosistema di Internet attraverso cospicui investimenti.
Inoltre, le richieste delle telco non sono supportate da evidenze concrete: infatti non ci sono prove di una situazione di fallimento sistemico del mercato mentre appaiono evidenti i rischi e le criticità trasversali per le imprese e gli utenti europei.
I servizi di telecomunicazioni e i servizi digitali offerti da aziende come Meta sono legati da un rapporto di complementarietà: le nostre app consentono alle persone di creare e condividere contenuti di interesse per gli utenti che stimolano le persone ad accedere a Internet. In questo modo, si innesca un circolo virtuoso tra piattaforme e Internet Service Provider (ISP) che si traduce in una crescente domanda di servizi di connettività. Infatti, grazie ai servizi delle piattaforme, viene stimolata la domanda di servizi dati e a banda larga, generando così uno scambio di valore reciproco. Di conseguenza, il nostro modello di business e i nostri investimenti aiutano gli operatori di telecomunicazioni a generare valore dalla loro rete e a renderla profittevole.
La proposta delle telco – formulata nel noto report di Etno ormai più di un anno fa – rischierebbe di danneggiare tutti gli attori dell’ecosistema, consumatori in primis, portando benefici per i soli grandi player delle telecomunicazioni e rappresenterebbe di fatto una vera e propria “tassa su Internet” sulle spalle degli utenti.
Investimenti di Meta in infrastrutture
Da anni, Meta contribuisce in modo significativo allo sviluppo delle infrastrutture di rete, realizzando progetti in collaborazione con le telco europee. Grazie al nostro impegno, testimoniato da ingenti risorse economiche investite in questa direzione, aiutiamo le imprese di telecomunicazioni a risparmiare risorse nell’ordine di miliardi di euro.
Dal 2017, abbiamo investito oltre 90 miliardi di euro di capex e opex in infrastrutture digitali a livello globale, tra cui miliardi di euro in Europa. Solo nel 2022, Meta ha investito oltre 27 miliardi di euro in infrastrutture digitali su scala globale, con un rapporto capex/ricavi in linea se non superiore a quello dei principali operatori di telecomunicazioni europei. Oltre a questo, Meta investe in progetti di cavi sottomarini come Marea, Havfrue, Havhingsten, 2Africa (che è approdato a Genova nel 2022), 2Africa Pearls e Amitie per migliorare la connettività internazionale da e verso l’Europa. Secondo un recente report di RTI International (Istituto di ricerca indipendente e senza scopo di lucro), gli investimenti di Meta nel cavo sottomarino USA/Spagna MAREA (che approda a Bilbao) hanno generato un impatto economico di 16,7 miliardi di euro all’anno dal 2019 che aumenterà complessivamente fino a più di 76 miliardi di euro con l’entrata in funzione degli altri cavi tra il 2024 e il 2027. Questi investimenti sono realizzati in collaborazione con società di telecomunicazioni europee, tra cui Vodafone e Orange, che ne beneficiano direttamente. Inoltre, abbiamo investito nella costruzione di una Content Delivery Network (CDN) – comprensiva di un’estesa rete europea in fibra – che consente al 99% dei contenuti delle piattaforme di Meta di essere erogati direttamente nelle vicinanze dell’utente finale, in modo più efficiente, offrendo così servizi di qualità e permettendo alle aziende di telecomunicazioni di concentrare i propri investimenti in altri ambiti, con un risparmio di centinaia di milioni di euro all’anno sui costi di rete.
Non esiste un fallimento di mercato sistemico
L’industria delle telecomunicazioni ha beneficiato negli anni di numerosi fondi pubblici dedicati alla modernizzazione delle reti a testimonianza dell’importanza che il legislatore attribuisce al comparto a tutti i livelli. In Italia – oltre ai voucher per l’upgrade della connettività – sono stati stanziati nel PNRR 6,7 miliardi per reti ultraveloci, banda ultralarga e per il 5G. Inoltre, ulteriori agevolazioni sarebbero previste in un futuro decreto dedicato alle telecomunicazioni.
Al di là dei numerosi fondi, è bene chiarire – come è stato fatto nel report preliminare del BEREC (l’organismo che riunisce i regolatori europei delle telecomunicazioni) e nella successiva risposta alla consultazione esplorativa della Commissione – che non esiste un fallimento sistemico di mercato nel settore delle telecomunicazioni. Su queste basi, lo stesso organismo dei regolatori europei ha rilevato che non ci sono prove che giustifichino una forma di compenso diretto da parte dei CAPs (le piattaforme digitali) alle aziende di telecomunicazioni e che questo meccanismo potrebbe invece comportare molteplici rischi per l’ecosistema di Internet e per il suo sviluppo futuro.
Una proposta incompatibile con la net-neutrality
Un sussidio obbligatorio a favore di un numero circoscritto di operatori di telecomunicazioni non solo sarebbe totalmente ingiustificato ma causerebbe anche effetti negativi per le imprese e i consumatori europei, disincentivando l’innovazione, riducendo gli investimenti e, non da ultimo, generando distorsioni in termini di concorrenza. Infatti, come per qualsiasi servizio, quando il costo di produzione aumenta (come succederebbe in caso di introduzione di una “network fee”), è prevedibile che aumenti anche il prezzo dei servizi per l’utente finale. Il risultato pratico sarebbe di fatto quello di costringere i consumatori a un doppio pagamento, senza alcuna garanzia di un miglioramento delle infrastrutture. Questa evidente riduzione del benessere del consumatore e la sostanziale creazione di disincentivi economici, sfavorevoli alla crescita dei servizi e all’innovazione, sono in aperta contraddizione con gli obiettivi di crescita dell’UE e sono contrari agli obiettivi dichiarati della politica europea per il Decennio Digitale. In sintesi, si tratterebbe di una nuova tassa su Internet di cui beneficerebbero unicamente un numero limitato di incumbent delle telecomunicazioni.
Molte associazioni di consumatori e attivisti per i diritti civili inoltre hanno sollevato potenziali rischi per la net-neutrality. Infatti, un simile meccanismo potrebbe tradursi in misure che discriminano tra diversi tipi di traffico, in aperta violazione dei diritti degli utenti. Lo scenario non è così inverosimile perché gli ISP hanno potenzialmente la capacità di ricorrere a pratiche come il throttling – limitazione della larghezza di banda per l’accesso a Internet – oppure al blocco di alcuni contenuti.
Fortunatamente, l’attuale quadro normativo europeo sancisce il principio della neutralità della rete, secondo cui ogni utente deve essere libero di utilizzare i servizi in base alla proprie scelte e preferenze. In uno scenario in cui questa tassa sulla rete venisse approvata e i maggiori operatori di telecomunicazioni europei fossero in grado di negoziare accordi per lo sviluppo dell’infrastruttura con le principali aziende tech, gli operatori di telecomunicazioni non avrebbero più l’incentivo economico di lavorare a beneficio esclusivo degli utenti finali ma dovrebbero bilanciare gli interessi dei consumatori con quelli dei CAPs che a quel punto diventerebbero dei veri e propri clienti.
C’è un’ultima argomentazione che merita di essere approfondita: alcuni operatori di telecomunicazioni hanno criticato gli eccessivi oneri normativi che gravano sul settore nel mercato europeo e che, di fatto, negli ultimi anni, avrebbero – secondo questo punto di vista – scatenato una guerra dei prezzi tra i diversi ISP. Senza entrare nel merito del quadro regolamentare, è opportuno sottolineare come le critiche all’attuale assetto normativo di settore non possano giustificare in alcun modo un intervento legislativo che aggiungerebbe ulteriori problemi al più ampio ecosistema europeo, alle imprese e agli utenti.
In conclusione, poiché le decisioni europee in questo settore avranno un ruolo cruciale per il futuro dell’ecosistema europeo, delle imprese e degli utenti negli anni a venire, dobbiamo augurarci, nell’interesse primario di utenti e imprese europee, che prevalga la tutela di un Internet libero e aperto.