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Piccole ma high-tech, così la Cina sussidia le sue imprese più innovative

Il capitalismo di Stato cinese ora punta a sussidiare, attraverso una rigida selezione, le piccole-medie imprese che possano aiutare il Partito a raggiungere i suoi obiettivi nei settori industriali strategici. Il sistema sembra funzionare, ma restano alcuni dubbi

L’ingerenza del Partito e dello Stato cinese nell’economia e nei settori industriali di punta, specialmente nei grandi conglomerati, non è certamente una notizia. Catl, Huawei, Zte e Smic sono alcuni esempi noti di grandi aziende high-tech sponsorizzate dallo Stato che hanno guadagnato grandi fette del mercato globale grazie ai sussidi pubblici.

Lo è forse che il modello cinese, per lungo tempo rimasto ibrido e accettabile agli occhi dei manager e politici occidentali ben inclini a fare affari nel più grande mercato del mondo, ora si sia rilevato ben più sbilanciato e offensivo sotto la leadership di Xi Jinping.  Come scrive Adam Posen, direttore del Peterson Institute for International Economics (Piie), think tank statunitense di matrice liberale, sulle pagine di Foreign Affairs la durissima politica zero-Covid attuata dal leader cinese ha rivelato, scansando ogni ragionevole dubbio, quanto il primato della politica e degli interessi del PCC siano ormai prevalenti. Visibile e tangibile, dalla purga degli imprenditori scomodi al ferreo controllo autoritario sulle imprese.

Tra gli obiettivi di questa rivoluzione autoritaria del modello cinese vi è, dal punto di vista della sicurezza e stabilità economica del paese, la necessità di ridurre la dipendenza della Cina dalla tecnologia occidentale. Una vena scoperta che, come nel caso dei chip avanzati, rende il sistema tecno-industriale e scientifico del Dragone alla mercé delle ritorsioni degli Usa e dei paesi alleati, in una misura tanto preoccupante quanto lo è, al contempo, la dipendenza dell’Occidente dalle materie prime e materiali avanzati cinesi.

Ed è proprio nella volontà di intervenire per lenire questa interdipendenza, sfruttando l’ecosistema imprenditoriale e innovativo che si colloca il programma dei “Little Giants”, con il quale lo Stato si pone in forma di “acceleratore” delle piccole-medie imprese più promettenti nei settori high-tech.

Un interessante report del Mercator Institute for China Studies (Merics), think tank berlinese, mostra quanto Pechino, attraverso un sofisticato sistema di selezione e finanziamento, punti a combinare il dirigismo statale con l’imprenditorialità del settore privato in settori di nicchia, creando un vero e proprio team di imprese capaci di avanzare gli obiettivi strategici del Partito. Tra i quali figurano i 10 gruppi di industrie strategiche individuate nel Made in China (Mic) 2025.

Il governo cinese, infatti, ha iniziato ad accorgersi dell’importanza delle imprese private di piccola taglia come potenziali driver d’innovazione, oltre a poter diventare fornitori critici dei grandi gruppi industriali e operare in mercati di nicchia dove, al momento, dominano le imprese occidentali. L’ispirazione viene dalla Germania, e in particolare dagli studi di Hermann Simon, che ha teorizzato il successo delle piccole aziende tedesche specializzate in settori di nicchia (chimica, robotica, automazione etc.) e supportate da un ecosistema finanziario e sociale virtuoso.

Il ministero dell’Industria e della Tecnologia per l’Informazione (Miit) ha infatti identificato e certificato più di 70.000 piccole-medie aziende (Sme) specializzate e oltre 12.000 “Piccoli Giganti”, ribaltando il processo con un dirigismo top-down che premia aziende innovative sulla base di criteri stabiliti dai burocratici cinesi.

Al centro di quello che gli autori del report definiscono “Stato acceleratore”, vi è un riflesso parcellizzato del piano Mic 2025, attraverso l’implementazione della cosiddetta Little Giants Initiative, annunciata nel 2016. Circa l’80% delle aziende selezionate, infatti, ricadono nei 10 settori strategici: nuovi materiali, nuova generazione di Ict, energia alternativa e veicoli elettrici, biomedicina e equipaggiamento medico avanzato, tecnologie per aviazione e aerospazio, trasporto e ingegneria marittimi high-tech e tecnologia avanzata per il trasporto ferroviario (tra cui, per esempio, i treni Maglev).

Con alcuni obiettivi al centro: sicurezza economica, priorità delle tecnologie hardware su quelle software, resilienza del sistema manifatturiero cinese, localizzazione di supply chain critiche e innovazioni alla luce soprattutto delle tensioni con gli Stati Uniti. Agli occhi di Pechino, le aziende Smes privilegiate sono quelle che offrono componentistica avanzata e macchinari high-tech, come per la robotica o per i semiconduttori, nicchie spesso dominate da player giapponesi, tedeschi o appunto americani. Tra i termini più citati nei documenti programmatici, infatti, si annoverano “sostituzione domestica”, “sostituzione delle importazioni”, “tecnologie collo di bottiglia”, “gap tecnologici”.

È il caso, per esempio, di ComNav Technology (Sme) e del campione South GNSS Navigation, basato a Guangzhou, che acquista dal primo circuiti integrati per i dispositivi di posizionamento satellitare, con l’obiettivo di rimpiazzare le stesse componenti da fornitori americani come Trimble Inc.

Per selezionare e accelerare l’ascesa delle aziende, la Cina ha sviluppato un framework gerarchico che predilige un “sistema di coltivazione piramidale”, che impone alle imprese di concorrere tra di loro come atleti per poter allocare le risorse alle più competitive e promettenti, in un ciclo di selezione che promuove e retrocede le aziende ai gradini più alti (“i campioni manifatturieri”) o a quelli più bassi, passando appunto per il gruppo dei Little Giants (10.000 entro il 2025).

 Tra i criteri di selezione, lo status delle aziende (meno di 1.000 impiegati e 400 milioni di remimbi di fatturato), la tipologia di business (se rientra, o meno, tra i dieci settori del MIC 2025), la performance economica (tasso di crescita e market share), il tasso di specializzazione in quel segmento specifico e l’intensità di R&D sulle entrate (quanto l’impresa investe sull’innovazione). Si tratta, chiaramente, di un sistema che ha i suoi limiti, dal momento che alcune aziende possono eccedere questi criteri di poco, rispettarne alcuni e non altri, o essere soggette a manipolazioni da enti locali.

Proprio per la loro natura di aziende potenzialmente strategiche, il processo di accelerazione dello Stato vede una maggiore intrusione di quest’ultimo nel sistema finanziario per canalizzare il capitale alle imprese più innovative, in un’evidente inversione di tendenza rispetto al passato -con banche e istituti di credito che privilegiavano, anche per i forti contatti con il Pcc, le grandi industrie.

Come suggerisce il caso di Leaderdrive, azienda minore che disegna e produce ingranaggi armonici per i macchinari automatici, che ha goduto di importanti flussi finanziari a partire dal suo ingresso nello Star market, parte dello Shanghai Stock Exchange e focalizzato su tecnologia e innovazione, del 2020, oltre ad aver beneficiato di notevoli prestiti dalle banche, canali privilegiati con le università cinesi e contratti con le industrie della robotica.

La certificazione del governo di “Specialized Sme” o “Little Giant” funge da catalizzatore, creando un incentivo (politico) per raccogliere fondi, investitori e opportunità aggiuntive per il supporto da banche come la China Development Bank (solo nel 2022 ha approvato prestiti per oltre 13 miliardi di remimbi a 44 “Little Giant” e 71 “Specialized SMEs”). Anche il Bejing Stock Exchange dal 2021 ha previsto un nuovo canale per le IPO (Initial Public Offering) a partire da 200 milioni di remimbi, con già il 40% delle aziende quotate certificate come “Little Giant”. Tra gli esempi più eclatanti, Unicomp Technology (3 miliardi), azienda che fornisce tecnologia d’ispeazione ai raggi X per semiconduttori, elettronica avanzata e batterie, Naruida Technology (1.8 miliardi) che produce sistemi radar e di rilevamento metereologico e per l’aviazione civile e Nanjing Gova Technology specializzati in sensori a pressione, accelerometri per l’aerospazio e l’industria metallurgica.

Anche i fondi pubblici (Government Guidance Funds o GGF) sono diventati un canale prediletto per indirizzare risorse finanziarie verso gli obiettivi industriali della Cina. “Un chiaro segno che Pechino non voglialasciare alle forze di mercato di capitalizzare le industrie strategiche”. È infatti molto comune trovare, tra i principali shareholder dei “Piccoli Giganti” questi fondi governativi. Un esempio molto importante, oltrechè molto attuale se consideriamo il fatto che le tensioni con gli USA rendono più complesse le relazioni commerciali con i partner coreani, è quello di Giant Guizhou Anda Technology & Energy, produttore di materiali catodici per batterie e fornitore del colosso automotive Byd. Nel 2022, dopo essere stata classificata come “Little Giant”, l’azienda è entrata in joint venture con le autorità locali (Guizhou) per produrre batterie al fosfato di litio, tra le più utilizzate dai produttori Ev cinesi, garantendo il 49% dei costi d’investimento per raggiungere l’economia di scala.

Dunque, puntando sulla loro flessibilità e specializzazione, Pechino vuole sfruttare un ampio bacino di piccole-medie imprese per accelerare i desideri di sovranità tecnologica e industriale, localizzando la supply chain di componenti cruciali in settori strategici come quello della robotica, della medicina avanzata e dei semiconduttori. Se l’obiettivo è diverso – difendersi dall’interdipendenza che il mercato globale ha creato – lo strumento è lo stesso: canalizzare i capitali verso imprese prescelte accelerandone l’ascesa, sia nel contesto domestico che in quello internazionale.

Restano dubbi sui potenziali conflitti d’interesse e sulle priorità che questo nuovo “modello” potrà innescare, premiando aziende designate dallo Stato come “innovative” perché orbitanti in settori strategici, ma che potrebbero rivelarsi non così virtuose, sottraendo risorse ad altre indipendenti. “Il governo sta indicando dove si trova il miele, a riflesso del suo scetticismo ad abbracciare i meccanismi di mercato”.

Oltre al fatto che il desiderio di autosufficienza rimane un obiettivo irraggiungibile, ma proprio l’obiettivo di creare supply chain più autonome e svincolate dalla tecnologia occidentale sta plasmando un approccio di politica industriale nuovo che potrebbe avere profonde conseguenze per la Cina e per le aziende fornitrici straniere che Pechino vuole rimpiazzare. Se il decoupling sembrava riguardare solo l’alta tecnologia (chip, batterie, AI etc.), forse questa spinta del governo cinesi potrebbe coinvolgere altre e decisive parti del catene globali del valore.



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