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Il golpe in Gabon non è come quello in Niger. Darnis spiega perché

L’analista apre ad altre ipotesi: “Non vedo affinità con i fatti in Niger, in Mali o in Burkina Faso dove esistono regimi che si sostengono a vicenda con la propaganda russa, con un sentimento nutrito dalla stampa violentemente antioccidentale e antifrancese. Per la storia del Gabon e del regime Bongo penso che non bisognerebbe nemmeno escludere un’ipotesi positiva sulle conseguenze del golpe”

Il colpo di Stato militare in Gabon porta in grembo, di fatto, l’ottavo governo rovesciato in Africa dal 2020 ad oggi, a dimostrazione di una vasta instabilità, tanto economica, quanto politica e sociale in quell’area. Si somma ai precedenti, anche recenti, di Niger e Sudan, contribuendo ad accendere l’attenzione da parte della comunità internazionale, in modo particolare da parte dell’Ue.

Qui Gabon

“Sarei molto cauto, per ora, nel definire negativi i fatti accaduti in Gabon”, dice a Formiche.net Jean-Pierre Darnis, analista alla Fondation pour la recherche stratégique, Frs Parigi, professore associato all’Università di Nizza Sophia-Antipolis e alla Luiss di Roma, secondo cui vi sono dei forti motivi interni legati al governo Bongo. “Escludo una sottovalutazione europea del problema perché le due ultime elezioni del Presidente Bongo sono state sospettate da osservatori internazionali di forte malversazione. Addirittura sembrava che il principale oppositore avesse vinto, ma poi una certa provincia ha presentato dei risultati per certi versi ‘miracolosi’. Di qui il forte sospetto su questo regime di aver truccato le elezioni. Per cui, per il momento, bisognerebbe essere molto prudenti sulla valutazione di questo colpo di Stato, perché l’assenza di elezioni trasparenti sembrerebbe la principale causa”.

Secondo il prof. Darnis il golpe effettuato dai militari potrebbe non essere veramente un golpe militare. “Avviene infatti perché nelle ultime elezioni la Presidenza Bongo aveva rifiutato la presenza degli osservatori, quindi sono state elezioni fatte a scatola chiusa. Non vedo affinità con i fatti in Niger, in Mali o in Burkina Faso dove esistono regimi che si sostengono a vicenda ormai con la propaganda russa, con un sentimento nutrito dalla stampa violentemente antioccidentale e antifrancese. Per la storia del Gabon e del regime Bongo penso che non bisognerebbe nemmeno escludere un’ipotesi positiva sulle conseguenze del golpe, ovvero che porti ad una forma di ristabilimento istituzionale democratico”.

Cosa aspettarci dalle prossime ore? “Non sono in grado di dirlo, perché non sono sul territorio ma credo che dovremmo attendere per vedere se il tutto prenderà una piega autoritaria o meno. Non dimentichiamo che il potere di Bongo era molto sospetto e quindi potremmo essere dinanzi ad una reazione da parte di un pezzo di società espressa dai militari che dice basta ad un certo nepotismo al potere, con certi meccanismi di riproduzione. L’obiettivo potrebbe essere quello di passare a un gioco più istituzionale, sarebbe un’ipotesi interessante ma ancora tutta da verificare”.

Oltre il Gabon

Al di là di come si evolverà la crisi in Gabon, il continente africano è protagonista di una “scalata” da parte di big player che hanno da tempo messo nel mirino l’Africa da un punto di vista geopolitico ed energetico. Non va dimenticato che lo scorso luglio a San Pietroburgo, in occasione del vertice Russia-Africa, Vladimir Putin annunciò l’invio gratuito di 50mila tonnellate di grano a 6 paesi africani ovvero Burkina Faso, Mali, Zimbabwe, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea. In sostanza, una mossa effettuata al fine di creare un maggiore link con i paesi africani più deboli e inglobarli nel relativo cono di influenze.

Lo scorso aprile in occasione del golpe in Sudan l’Onu stimò che, all’indomani della smobilitazione delle rappresentanze straniere, era prevedibile un esodo massiccio con circa 270.000 persone dirette verso i vicini Ciad e Sud Sudan. Fatti che, se messi in fila, ci dicono che non solo Cina e Russia sono ormai due soggetti penetrati in pianta stabile nelle dinamiche africane, ma che si rende necessaria una iniziativa europea in tempi stretti contro l’invasività della brigata Wagner, anche se orfana di Prigozhin. Questa mossa potrebbe essere individuata nel Piano Mattei, che il governo italiano presenterà in dettaglio a breve, al fine di costruire un percorso virtuoso che provi ad invertire il trend.

@FDepalo

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