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Un anno di Ira, risultati e criticità della corsa al clean-tech americano

La grande scommessa dell’amministrazione Biden: rilanciare la manifattura americana per supportare la decarbonizzazione degli Stati Uniti, con un occhio alla Cina. Ecco tutti i numeri a un anno dall’Inflation Reduction Act

Il 16 agosto scatta la ricorrenza del passaggio dell’Inflation Reduction Act (Ira), data in cui un anno fa il presidente Joe Biden aveva convertito in legge la proposta del Congresso dopo un tortuoso processo legislativo, iniziato con una grande promessa di Biden in campagna elettorale e conclusosi con un accordo dietro le quinte a Capitol Hill.

L’Ira, fortemente sponsorizzato dai democratici e dall’amministrazione statunitense, ha avuto un profondo impatto sul settore energetico e sulla politica climatica a livello mondiale. Originariamente parte del piano Build Back Better del Presidente Biden per ricostruire l’economia americana dopo la pandemia Covid-19, l’Ira è stato concepito per potenziare le infrastrutture per l’energia pulita e così incoraggiare la transizione energetica come volano di ripresa e rilancio macroeconomico. Tra gli obiettivi fissati nel settore energetico, il disegno di legge prevede di: abbassare i costi dell’energia di 500-1000 dollari all’anno; aumentare gli investimenti nel clima per ridurre le emissioni di carbonio del 40% entro il 2030; creare occupazione investendo per milioni di persone nel settore dell’energia pulita, in particolare nella manifattura; destinare parte dei fondi specificamente alle comunità svantaggiate per ridurre l’ingiustizia ambientale.

La legge, dunque, agisce principalmente su due livelli: facilitare il “dispiegamento” di tecnologie rinnovabili, come solare ed eolico oltre all’adozione di veicoli elettrici (EV), e incentivare la manifattura delle stesse, cercando di ridurre al minimo i rischi di un’eccessiva dipendenza dalla Repubblica Popolare Cinese per materiali e tecnologie.

L’Ira ha dato vita a quasi 800 miliardi di dollari di agevolazioni fiscali e sussidi disponibili nell’arco di un decennio, portando a significativi investimenti nell’energia pulita. Le aziende hanno annunciato piani per la costruzione o l’espansione di 83 impianti di produzione di energia solare ed eolica, tra cui la costruzione di una supply chain, auspicabilmente integrata dalle miniere alle gigafactory, per la produzione in Nord America di batterie agli ioni di litio. Per guidare investitori, americani ed esteri, la Casa Bianca ha creato una vera e propria ‘guida’ per districarsi all’interno della fitta misura legislativa.

A livello operativo, l’Ira ha previsto 369 miliardi di dollari di spesa, tramite sussidi e incentivi, per aumentare la quota manifatturiera nel clean-tech, tra cui l’Advanced Manufacturing Production Production Tax Credit che mira a facilitare la produzione nazionale di componenti per l’energia pulita, come celle e wafer fotovoltaici, polisilicio di qualità per poter essere impiegato nella produzione di pannelli, componentistica per le turbine eoliche, celle per batterie e minerali critici. Inoltre, il credito Ira previsto per i veicoli elettrici di 7,500 dollari è stato concepito per espandere le catene di fornitura per gli EV negli Stati Uniti attraverso i requisiti di approvvigionamento per i minerali critici e i componenti delle batterie. Ma quali sono stati, numeri alla mano, i successi e le criticità della misura?

BIDENOMICS ED ENERGIA

Da quando l’Ira è diventata legge, negli Stati Uniti si è assistito ad un vero e proprio boom di investimenti privati. Le aziende hanno infatti mobilitato più di 270 miliardi di dollari in progetti di energia pulita localizzati negli Usa secondo un rapporto dell’American Clean Power Association pubblicato all’inizio di questa settimana. Inoltre, secondo i dati raccolti dalla Casa Bianca, gli investimenti in veicoli elettrici hanno raggiunto un totale di oltre 130 miliardi di dollari. E si prevede che il settore privato, per non perdere il treno degli incentivi previsti dalla legge nel prossimo decennio, pianificherà investimenti fino a 3.300 miliardi di dollari.

Il Dipartimento del Tesoro statunitense, inoltre, conferma che nei prossimi sette anni la diffusione di impianti eolici, solari e di stoccaggio delle batterie sarà doppia rispetto a quella che si sarebbe idealmente dispiegata in assenza della legge, con le aziende che stanno già investendo il doppio per i nuovi impianti di produzione rispetto a quanto pianificato prima dell’Ira. “Sebbene molti fattori siano all’origine di questa tendenza” conclude il Tesoro americano, “questi progressi sono al centro dell’agenda economica del Presidente Biden e dell’approccio del Segretario Yellen ad un’economia moderna trainata dall’offerta”.

L’impatto sul mix energetico statunitense si è fatto sentire: secondo i dati dell’US Energy Information Administration (EIA), alla fine di giugno 2023 l’80% della nuova potenza installata (GW) per l’energia elettrica è stata da fonti rinnovabili, con la maggior parte degli impianti a generazione solare, seguita da batterie per accumuli domestici e eolico. Il problema rimane la compatibilità e gli investimenti per far incontrare offerta di elettricità a buon prezzo con la domanda: ci sono più di 1.250 gigawatt di capacità solare ed eolica in cerca di connessione con la rete esistente, una capacità pari all’intero parco di centrali elettriche degli Stati Uniti. Dal passaggio della misura, la richiesta di connessione alla rete degli impianti rinnovabili è aumentata del 40%.

Inoltre, entro il 2030 le emissioni di CO2 legate al settore energetico americano scenderanno dal 25% al 38% rispetto ai livelli del 2005. Gli Stati Uniti sono infatti il secondo paese al mondo per emissioni di gas serra e, secondo un’analisi più ottimistica pubblicata su Science, l’Inflation Reduction Act dovrebbe contribuire a ridurre le emissioni del 48% entro il 2035. Tuttavia, secondo l’EIA è possibile che gli USA rimarranno esportatori netti di petrolio fino al 2050.

FOCUS SUI VEICOLI ELETTRICI

L’elettrificazione della flotta automotive è probabilmente l’aspetto al centro della politica industriale americana, che vede tra l’altro la convergenza degli obiettivi del CHIPS Act e dell’Ira per riportare in patria la produzione di materiali critici e chip fondamentali per l’industria automobilistica. Un focus che è dovuto soprattutto per allentare il dominio della Cina lungo la supply chain delle batterie al litio e dei magneti permanenti essenziali per i motori elettrici e per l’industria della difesa in un contesto di competizione con Pechino.

L’Inflation Reduction Act prevede infatti sconti fino a 7.500 dollari per l’acquisto di un veicolo elettrico, e questo incentivo sembra dare i suoi frutti: per la prima volta quest’anno le vendite di veicoli elettrici negli Stati Uniti supereranno il milione, secondo i dati dell’International Energy Agency. L’Ira ha innescato una corsa da parte delle aziende globali del settore dell’elettromobilità all’espansione delle attività produttive negli Stati Uniti. Solo tra agosto 2022 e marzo 2023, i principali produttori di EV e batterie a livello globale hanno annunciato investimenti post-Ira per 52 miliardi di dollari nelle catene di fornitura di EV del Nord America, di cui il 50% per la produzione di batterie e circa il 20% per i componenti delle batterie e la produzione di EV. A metà luglio, erano 62  i progetti annunciati lungo la supply chain, con 37.000 nuovi posti di lavoro e più di 1 TWh di capacità produttiva entro il 2030.

Anche se le compagnie petrolifere e del gas hanno raddoppiato il loro impegno nei confronti dei combustibili fossili, nell’ultimo anno hanno anche stanziato miliardi per perseguire opportunità commerciali nei settori dell’idrogeno o della cattura del carbonio, tecnologie che possono trarre vantaggio dai sussidi federali. La ExxonMobil sta persino valutando la possibilità di entrare nel mercato del litio, materiale critico per la produzione di batterie, che vede già player americani come Albemarle e Livent Corporation tra i principali produttori mondiali.

Restano tuttavia difficoltà a raggiungere alcuni obiettivi dell’Ira, come per esempio la diversificazione delle forniture per materie prime e materiali critici come appunto litio, nichel, cobalto e grafite. Per alcuni brand, come Tesla, o per paesi alleati come la Corea del Sud, con cui vige un trattato di libero scambio, risulta ancora molto complesso svincolare le proprie supply chain dai fornitori cinesi.

LAVORO E POLITICA DOMESTICA

A dispetto del nome e della sua genesi, la misura non ha ottenuto significativi risultati nel placare l’inflazione. Seppur l’aumento dei prezzi si sia raffreddato nell’ultimo anno – il tasso negli Usa è sceso, a differenza dell’area euro, dal 9% al 3,2% – la maggior parte degli economisti sostiene che il calo è dovuto in minima parte alla legge. Quando la legge era stata proposta, il Congressional Budget Office aveva stimato che l’impatto sull’inflazione sarebbe stato “trascurabile”. Ora, gli effetti positivi dell’Ira, tra cui 114.000 nuovi posti di lavoro creati nei settori del clean-tech secondo un report del Dipartimento dell’Energia, sono al centro della campagna presidenziale di Joe Biden per la rielezione nel 2024, puntando sui temi che vi ruotano intorno: lotta al cambiamento climatico, transizione energetica e lavoro.

Vi è, tuttavia, un effetto imprevisto che potrebbe cambiare alterare la geografia del voto: secondo una ricostruzione del Financial Times, oltre l’80% degli investimenti in energia pulita e produzione di semiconduttori su larga scala promessi dopo l’approvazione dell’Inflation Reduction Act e del Chips and Science Act sono stati destinati ai distretti congressuali dominati dal Partito Repubblicano. Nel sud degli Stati Uniti si sta formando una vera e propria battery belt, con impianti di produzione di batterie e veicoli elettrici che stanno sorgendo in stati come la Georgia, il Tennessee e il Texas. Tuttavia, nessun deputato o senatore del GOP ha votato per il passaggio dell’Ira – a differenza del CHIPS Act che prevede investimenti in capacità produttiva con effetti benefici per la base industriale della Difesa e in un’ottica di sicurezza nazionale vis-a-vis con Pechino.

L’accusa è la ‘deriva’ statalista e di politica industriale, oltre al rischio di lasciare la manifattura americana in mano alla Cina. Alcune stime del Congressional Budget Office e del Joint Committee on Taxation, hanno rilevato che il governo federale spenderà quasi 400 miliardi di dollari per l’implementazione della legge. Un documento pubblicato a marzo dalla Brookings Institution ha stimato che la spesa potrebbe superare i 1.000 miliardi di dollari, dato che le aziende e i consumatori continueranno ad avvantaggiarsi degli incentivi fiscali previsti dalla legge.

L’IRA DEGLI ALLEATI E IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

L’approvazione dell’Ira statunitense non ha avuto un impatto solo sugli Stati Uniti, ma ha sollevato preoccupazioni anche in Europa. Secondo un recente paper accademico che ha analizzato in maniera comparativa la misura americana con le direttive europee, si tratta della “prima volta che gli Stati Uniti adottano una misura del genere [sferrando n.d] un colpo al sistema commerciale internazionale che potrebbe scatenare il protezionismo in altri Paesi.”

La Commissione europea, in assenza di un trattato commerciale di ampio respiro con gli Stati Uniti, vede infatti nella misura un’ingiusta sovvenzione dell’industria statunitense e un travestimento della politica climatica in politica industriale. La risposta dell’UE, con il passaggio del Net Zero Industry Act e di misure ancillari, come il Critical Raw Material Act, prevede misure con effetti meno distorsivi del commercio internazionale, ma più focalizzate sull’innovazione e meno sul rapido e massiccio dispiegamento e manifattura delle tecnologie rinnovabili.

L’Ira rappresenta a tutti gli effetti una virata nella politica economica del paese e un chiaro segnale che l’amministrazione statunitense vede nel libero scambio, un tempo sostenuto sulla relazione bilaterale con la Cina, una minaccia al tessuto politico-economico del paese e alla sicurezza nazionale. Molti democratici vedono nell’Ira uno strumento per ricostruire la classe media dopo la disgregazione sociale apportata dalla globalizzazione e un tentativo di contendere l’ascesa della Cina nel settore clean-tech, assicurandosi linee di approvvigionamento di tecnologia e minerali critici attraverso alleati come l’Australia e il Canada e il coordinamento con le potenze industriali del G7.


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