Gli Stati Uniti vogliono mantenere aperto il difficile dialogo diplomatico con la Cina per evitare che Pechino si chiuda. Washington guarda con preoccupazione l’assenza di leader cinesi di primo livello da consessi come G20 e Unga, e continua a lavorare per un faccia a faccia Biden-Xi
Nel cuore del Mediterraneo, a Malta continua la serie di incontri diplomatici di alto livello per cercare un terreno comune di contatto tra Cina e Stati Uniti con Washington che valuta la chiusura di Pechino, impegnata in una complicata crisi economica e campagne di riequilibrio del potere interno, come preoccupanti (vista anche la globalizzazione e potenziali azioni avventate su fronti delicati).
L’isola di miele è stata scelta, probabilmente anche per facilità di organizzazione logistica come terreno neutro, per il vertice tra il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che è anche il massimo diplomatico del Partito Comunista di Pechino, con il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, vettore della politica estera bideniana. I due fidatissimi funzionari dei leader Xi Jinping e Joe Biden hanno affrontato una serie di questioni di portata internazionale. Attorno a esse il tema dominante è stato però un potenziale incontro Xi-Biden, che gli americani sperano di poter ospitare in occasione dell’Apec di San Francisco (il vertice delle nazioni del Pacifico che ci sarà a novembre) e su cui non c’è conferma da parte cinese.
Il cammino verso il faccia a faccia
L’ipotesi di un delicato summit tra leader è sul tavolo da tempo. Sarebbe di grande rilevanza, considerando le complesse dinamiche tra le due nazioni, concordano i diplomatici internazionali. Preparato nei minimi dettagli, innanzitutto cercando di costruire un terreno di contatto, è stato anche alla base di altri incontri preliminari. A maggio Sullivan e Wang si erano visti a Vienna, mentre nel frattempo a Pechino ci sono state visite del segretario di Stato Antony Blinken, della titolare del Tesoro Janet Yellen, di quella al Commercio Gina Raimondo e anche dall’inviato speciale per il clima John Kerry. Incontri da cui non sono emersi particolari passi avanti, con i cinesi molto più interessati ai temi pragmatici legati alla sfera economica rispetto a quello di carattere politico.
Va detto che in questa fase di securitarizzazione delle relazioni i punti di intersezioni sono continui ed appare impossibile intavolare, con Washington e soprattutto con Pechino, una relazione economico-commerciale priva del comune denominatore politico. Temi come i controlli sull’export control, sulle rotte della nuova globalizzazione, oppure la guerra in Ucraina e i timori americani di un possibile attacco cinese a Taiwan sono stati al centro delle discussioni, e segnano come la chimica delle relazioni sia frutto di una reazione complessa con all’interno molti fattori (e pochi catalizzatori).
Diplomazia cinese in azione
In questa stessa settimana, Wang ha pianificato una visita in Russia per incontri con l’omologo Sergei Lavrov. Portare la diplomazia del Partito comunista cinese a Mosca è un elemento di distanza da Washington, ma potrebbe essere anche che con Sullivan si sia discussa una strategia di complicato appoggio reciproco per trovare forme diplomatica con cui fermare l’invasione russa (che Pechino chiama “crisi” per evitare di indispettire l’alleato russo, che per ragioni di ordine interno evita di dire che sta combattendo una guerra).
L’incontro maltese infatti segue da vicino la visita a Pechino dell’inviato speciale di papa Francesco sulla crisi ucraina, il cardinale Matteo Zuppi, il quale – dopo un passaggio alla Casa Bianca qualche settimana fa – prevede di ritornare a breve a Mosca, indicando un attivismo diplomatico crescente per una soluzione del conflitto. Soluzione che anche Washington inizia a pensare (con in mente anche i rischi che una guerra di logoramento può creare sulla stabilità del fronte esterno pro-Ucraina) e su cui la Cina intende avere un ruolo. Per gli Usa, può essere strategicamente interessante andare a vedere il gioco di Pechino. Operazione in cui è in gioco la dimensione di “potenza responsabile” spesso citata nelle reciproche narrazioni.
Assenza di Xi e Wang all’Assemblea Generale dell’Onu
Mentre molti leader mondiali si concentrano sui lavori dell’Assemblea generale dell’Onu che in questi giorni si svolgono al Palazzo di Vetro, Xi e Wang hanno scelto di non partecipare. In un’inedita mossa, il vicepresidente Han Zheng rappresenterà la Cina. Questo significa che non solo, dopo il G20, nemmeno l’Onu è ambiente di incontro per un bilaterale tra Biden e Xi; ma anche che Pechino vuole evitare di esporre il leader in certi consessi. Perché?
Tale atteggiamento, criticato dagli americani perché poco responsabile, da un lato ne sminuisce l’importanza, con il Partito/Stato impegnato a lanciare la propria narrazione globale per sostenere un rinnovato modello di governance con caratteristiche cinesi dell’ordine internazionale. Dall’altra però fanno sembrare debole Xi, quasi pauroso nel confrontarsi con il resto del mondo mentre il suo Paese vive la peggiore crisi economica da quando è in carica. C’è una terza facciata: Xi programma per i prossimi anni una complicata ripartenza economica cinese attraverso l’aumento del consumo interno, e chiudersi, evitando vertici di caratura globale, significa dare alla sua attitudine personale e istituzionale la stessa immagine della strategia — qualcosa di simile era successa con le chiusure della policy Zero Covid, quando Xi ha evitato per lungo tempo viaggi all’estero.
Rilancio delle aspettative dopo i colloqui di Malta?
Gli incontri tenuti a Malta hanno apparentemente rilanciato le aspettative sulla base delle dichiarazioni rilasciate. Entrambe le parti hanno concordato sulla natura degli scambi “sinceri, sostanziali e costruttivi” e sulla volontà comune di migliorare le relazioni, rispettando il consenso raggiunto da Xi e Biden nel loro precedente incontro a Bali, al G20 di novembre 2022. Ma di passi concreti, al di là del dialogo diplomatico, non ce ne sono per ora.
Da parte cinese, Wang ha ribadito due punti centrali durante i colloqui. In primo luogo, ha sottolineato che la questione di Taiwan è una “linea rossa insormontabile” nelle relazioni sino-americane e ha chiesto agli Usa di attenersi ai tre comunicati congiunti e di non sostenere l’indipendenza di Taiwan (messaggio diretto anche alle recenti forniture militari avallate sotto un quadro normativo particolare). In secondo luogo, ha sottolineato che lo sviluppo della Cina, soprattutto per quanto riguarda le restrizioni all’export di tecnologia Usa, è inevitabile e legittimo.
Sulla base del contesto generale e sulle frizioni evidenti anche da queste parole del diplomatico cinese, il timore americano dell’assenza di Xi all’Apec risulta comprensibile. A maggior ragione se si valutano i vari terreni di potenziale intesa — uno su tutti, per quanto utopica, una conferenza di pace globale sull’Ucraina — elevare questi contatti al dialogo tra leader sarebbe fondamentale. La chiusura cinese non può portare niente di buono.