La Semiconductor Research Corporation (SRC), consorzio privato con sede negli Stati Uniti, ha pubblicato una roadmap delle principali sfide che attendono l’industria dei chip. I trend del mercato, le innovazioni necessarie, la necessità di rafforzare la sostenibilità del settore, i rischi geopolitici. Ecco come si pensa l’industria nel prossimo futuro
L’attuale contesto internazionale sta mettendo a dura prova l’industria più importante del nostro secolo. I chip sono ormai ubiqui, e lo saranno sempre di più con l’approfondirsi di trend strutturali come la digitalizzazione, l’avvento dell’IA, la decarbonizzazione e l’integrazione dei sistemi intelligenti (IoT) con questi macro processi. E proprio per questo, dal momento che si tratta di asset strategici per cavalcare la quarta rivoluzione industriale, hanno attirato l’attenzione dei governi di tutto il mondo.
Questa centralità è d’altronde evidente nelle faglie di attrito che l’industria dei semiconduttori genera nella cornice delle relazioni tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese, ormai entrate in un vortice di escalation tecno-commerciale. Negare l’accesso ai chip più avanzati, oltre ai macchinari per produrli, all’ecosistema cinese è un punto cardine della strategia americana per contenere le ambizioni tecnologiche, nonché militari, di Pechino.
Tuttavia, questo disegno di neo-contenimento che si esprime, per certi versi, secondo logiche binarie che ricordano molto la Guerra fredda è molto complesso da gestire soprattutto in un contesto in cui l’industria dei chip rappresenta la massima espressione dell’economia globalizzata e delle interdipendenze che si sono create negli ultimi trent’anni.
Gli sforzi che l’industria globale dei chip ha sostenuto per spingere in avanti la frontiera tecnologica e rincorrere le esigenze di una ampia platea di clienti – dai giganti del digitale, come Apple, Google, Microsoft (server, data center etc.) all’automotive (infotainment, elettrificazione), passando per le telecomunicazioni (5G/6G) fino all’intelligenza artificiale e al supercalcolo – sono stati enormi in termini di investimenti e R&D. L’industria globale, ricercando efficienza e innovazione, si è trasformata ricreando un ecosistema fortemente interconnesso, ma localizzato in termini regionali. Un network, più che una filiera, fatto di aziende e centri di ricerca ad altissima specializzazione che hanno contribuito alla crescita dell’economia globale e ad un benessere diffuso.
Oggi, questa presunta neutralità è messa in discussione dalla competizione geopolitica. Come ha dichiarato Morris Chang, fondatore di TSMC, “nel settore dei semiconduttori, non vi è più globalizzazione né il libero commercio. La priorità è la sicurezza nazionale”. Una teoria, quella del primato della sicurezza nazionale che – soprattutto nella sua declinazione americana proprio sui chip – in Italia è stata anticipata da Alessandro Aresu con i suoi lavori illuminanti. Come risponderà l’industria, dunque, a questa e alle altre sfide di questo secolo, come i cambiamenti climatici?
La sensazione è che, a partire dal cuore pulsante dell’industria che rimane fortemente ancorato agli Stati Uniti, l’ecosistema si adatterà, senza perdere di vista la necessità di rispondere alle esigenze del mercato (demand responsiveness) con soluzioni tecnologiche al passo con i tempi (siano esse dettate da esigenze di sostenibilità, sia per venire incontro ai propri governi nazionali in termini di sicurezza).
E’ questo quanto emerge dall’ultima roadmap presentata dalla Semiconductor Research Corporation (SRC), intitolata Microelectronics and Advanced Packaging (MAPT) e realizzata grazie allo sforzo collettivo di circa 300 rappresentanti di 112 organizzazioni del settore industriale, accademico e governativo raccolti dalla SRC. Fondata nel 1982 in un contesto di altissima competizione tra l’industria dei chip americana e quella giapponese, l’SRC ha finanziato più di 2 miliardi di dollari in ricerca, ha creato una forza lavoro nel settore dei semiconduttori sponsorizzando più di 12.000 studenti laureati e ha fornito oltre 700 brevetti alle aziende associate.
La Roadmap MAPT definisce le priorità critiche della ricerca e le sfide tecnologiche che devono essere affrontate per sostenere i cambiamenti sismici delineati nel Decadal Plan per i semiconduttori pubblicato nel gennaio 2021.
La MAPT Roadmap è la prima tabella di marcia per i semiconduttori 3D a livello industriale che guida l’imminente rivoluzione nella microelettronica. Finanziato dal National Institute of Standards and Technology (NIST) del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti nell’aprile 2022, l’SRC è stato scelto per dirigere questo sforzo sulla base di una solida storia di leadership di pensiero e di innovazione. Il dottor Victor Zhirnov, Chief Scientist del CRS e direttore della MAPT Roadmap, ha commentato: “L’impegno dimostrato da un così ampio ventaglio di scienziati, ingegneri e ricercatori nello sviluppo e nella produzione della MAPT Roadmap indica l’importanza di questo sforzo”.
Parliamo di ingegneri, ricercatori e manager delle più grandi aziende dell’industria, tra cui IBM, Intel, Micron, Qualcomm, AMD, Cisco, Analog Devices, Texas Instruments, NXP. Una rappresentanza dominata dall’ecosistema statunitense, che rimane il punto focale dell’innovazione del settore.
A partire dai “cinque cambiamenti sismici” individuati dalla SRC e dalla SIA nel piano decennale – relativamente all’avanzare dello smart sensing, della memoria e archiviazione, della comunicazione, sicurezza e calcolo e dell’efficienza energetica – la Roadmap MAPT presenta e discute possibili soluzioni per raggiungere gli obiettivi, tra cui gli sforzi di R&D che si concentreranno sul packaging avanzato, l’integrazione di soluzioni 3D (chiplets), l’automazione della progettazione elettronica, la produzione su scala nanometrica, nuovi materiali e l’efficientamento energetico. Per inseguire i trend tecnologici, l’industria dovrà continuare a dedicare circa il 20% delle entrate annuali su ricerca e sviluppo, ma sarà necessario, come specificato nella roadmap, il sostegno pubblico come riconosciuto dal governo statunitense con il passaggio del Chips Act, con circa 11 miliardi di investimenti federali e una maggiore sinergia “lab-to-fab”.
La premessa è la consapevolezza che un’era si sta chiudendo, ovvero quella scandita dalla Legge di Moore (il raddoppio del numero di transistori nei circuiti integrati ogni due anni circa) che ha consentito guadagni in potenza di calcolo, efficienza energetica e scalabilità. “Il paradigma 2D hardware-software nelle tecnologie d’informazione e comunicazione (ICT)” si legge “ha raggiunto i suoi limiti e deve cambiare”. I semiconduttori del futuro dovranno essere concepiti, fabbricati e assemblati tenendo a mente questi limiti fisici per poter sostenere e sorpassare la legge.
Il report, suddiviso in 11 capitoli e raggruppati per aree tematiche, indaga su più livelli – sfide, tecnologie promettenti, risultati, trend e capacità fondative – il futuro dei chip nelle applicazioni chiave: dai data center e HPC (high performance computing), all’IA passando per automobili a guida autonoma e Internet of Things. Segmenti che saranno alla base dei macro-processi prima accennati, ma che dovranno essere sostenuti dall’industria dei chip con un occhio alla sostenibilità ambientale, sociale e della forza lavoro.
“L’efficienza energetica deve migliorare drasticamente per supportare la traiettoria corrente della domanda di potenza di calcolo”. Ad oggi, i data center e i server di tutto il mondo consumano approssimativamente tra l’1 e il 2% dell’elettricità generata a livello globale, cifre destinate ad aumentare considerevolmente. Anche l’adozione di massa dei veicoli elettrici (EV) per sostenere la decarbonizzazione dei trasporti richiederà un aumento del consumo per veicoli di chip, per la gestione dei sistemi a batteria ma anche per supportare i trend di autonomia e connessione: “I veicoli nel 2035 devono diventare un data center portatile su ruote”. L’attenzione al clima e agli impatti ambientali della filiera – dai materiali all’utilizzo di gas nobili e agenti chimici nella fabbricazione dei wafer, fino al packaging finale – sono aspetti che l’industria dei chip dovrà monitorare per allinearsi alle crescenti norme e regolamenti. Negli oltre 1000-2000 steps richiesti per trasformare il silicio in circuito integrato, secondo alcune stime la scalabilità nanometrica (da 28 a 2 nanometri) ha richiesto un aumento dell’elettricità consumata, del consumo di acqua altra ultra-pura e delle emissioni per singolo wafer. In sostanza, l’innovazione non può prescindere da un impatto ambientale, soprattutto con l’utilizzo di processi e macchinari – come la litografia ultravioletta estrema (EUV) – complessi.
Vi è poi la necessità di adeguare design, produzione e packaging di chip con la domanda delle applicazioni end-use su larghezza di banda, latenza ed efficienza energetica. L’incremento della potenza di calcolo, la penetrazione di sistemi IA e la proliferazione di sensori IoT richiederanno nuove soluzioni rispetto al “chip monolitico”, optando verso i sistemi chiplets ovvero integrazioni tridimensionali di diversi chip in un singolo modulo.
Infine, nel capitolo otto, viene dedicata una riflessione attuale sulla necessità dell’industria ad adattarsi al contesto internazionale. L’ecosistema dovrà infatti evolversi pur mantenendo al contempo quelle caratteristiche di agilità, competitività, efficienza, resilienza e sicurezza che hanno scandito la sua ascesa, in un contesto di incertezza e continua disruption, evoluzione tecnologica e polarizzazione geopolitica. “L’industria dei chip è critica per la sopravvivenza e la prosperità del mondo” si legge, in un chiaro riferimento alle possibili soluzioni che i semiconduttori potranno portare per mitigare i cambiamenti climatici e anticipare o monitorare gli effetti più avversi. Ma questo impegno dovrà per forza calarsi in un contesto in cui lo Stato è tornato ad essere un attore proattivo nell’industria dei chip, e non solo.
Un attivismo che – vuoi per eventi sistemici, come la pandemia da Covid-19, o geopolitici come la competizione Usa-Cina – è stato innescato anche per la configurazione geografica che l’evoluzione dell’industria in questi decenni ha plasmato. La crescente concentrazione di capacità specifiche, lungo la supply chain, in hub nazionali o regionali e nelle mani di un ristretto numero di aziende ha trasformato un ecosistema diffuso in un network di oligopoli altamente specializzato che difende le sue posizioni di mercato con massicci investimenti e i vantaggi dell’economia di scala. Un processo che ha, dunque, lasciato nazioni dipendenti da forniture estere che rappresentano un rischio per la continuità industriale, la sicurezza e anche la salute pubblica. Pensiamo alla carenza di chip che impattato l’industria automotive o le vulnerabilità per i sistemi militari e di difesa.
Parliamo del 90% della capacità di produzione di wafer concentrata tra Giappone, Corea, Taiwan Singapore e Corea del Sud, l’esistenza di una sola azienda, ASML, capace di fornire macchinari EUV, il 90% dei chip DRAM e NAND (memoria) monopolizzati da aziende taiwanesi e coreane, l’80% delle più grandi fonderie concentrate tra Taiwan, Corea e Cina e il 60% del packaging operato da conglomerati industriali nell’Asia meridionale. Tutti potenziali colli di bottiglia che, in caso di eventi climatici avversi, attacchi cyber, conflitti ed eventi imprevedibili potrebbero mettere in ginocchio l’industria e l’economia globale.
“La sfida fondamentale dell’ecosistema del semiconduttori nel prossimo decennio sarà quella di imparare come trasformarsi, strutturalmente e operativamente, per sviluppare adattabilità, agilità, effiicienza, resilienza, sicurezza e sostenibilità […] in un mondo volatile, incerto, complesso e ambiguo”. La roadmap presenta, in questo senso, quattro potenziali scenari di trasformazione che coinvolgono sei segmenti cruciali dell’industria – clienti, dispositivi elettronici, packaging, fonderie, equipaggiamento e materiali – secondo due logiche (bassa e alta connettività tra i segmenti) e in tre possibili contesti geografici archetipici (globale, regionalizzato o tra alleati).
E’ possibile che nel prossimo decennio, la spinta trasformativa dell’industria dei chip ad incontrare le esigenze tecnologiche dei settore end-use insieme alle necessità di resilienza e sicurezza della filiera in un contesto geopolitico in fermento guiderà regioni, paesi ed aziende a migrare verso un “ecosistema ibrido” tra i tre archetipi delineati. L’obiettivo rimarrà quello di perseguire l’imperativo dell’innovazione – da cui dipende l’esistenza stessa dei chipmakers in termini di profitti e share di mercato – e un migliore equilibro tra sicurezza e mercati per andare incontro alle esigenze di de-risking imposte dai governi nazionali.
La matrice americana del SRC e delle prospettive delineate dai partner in questo report sottolinea, ancora una volta, quanto l’ecosistema dei chip degli Stati Uniti rimanga leader per ricerca e sviluppo. L’innovazione è stata la chiave per fare degli Usa il Paese di riferimento dell’industria e lo sarà anche nel prossimo futuro.