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Tra manovra e debito. La (vera) sfida italiana secondo Giorgetti

Dall’attesa audizione del ministro dell’Economia davanti a Camera e Senato, preceduta dalle valutazioni dell’Upb, emergono alcune indicazioni e una certezza. La crescita potrebbe essere meno tonica di quanto previsto. Confindustria si sbaglia sul sostegno alle aziende, semmai il prossimo anno bisognerà lavorare seriamente al debito, e due occhi puntati sulla spesa per interessi non basteranno

Il governo italiano ha appena messo a terra la manovra, col favore dei mercati, delle imprese e con due promozioni non scontate già in cassaforte, quella di Standard&Poor’s e Fitch (venerdì è atteso il verdetto di Moody’s). Ma questo è il presente. Il futuro potrebbe raccontare una storia diversa. Per questo Palazzo Chigi non può non porsi il problema del debito pubblico, il quarto al mondo e per tradizione ipoteca onnipresente sulla crescita e la spesa. A onor del vero, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha più volte espresso la propria profonda convinzione circa la necessità di lavorare a una traiettoria il più discendente possibile, anche sull’onda emotiva di un inevitabile e prossimo ritorno delle regole di bilancio per i Paesi dell’Unione.

E c’è da giurarci che al Tesoro già stiano lavorando alla messa in sicurezza dei conti pubblici, come ha fatto intendere lo stesso ministro in audizione al Senato e alla Camera, proprio sulla manovra. Preceduto di un’oretta dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, chiamato anch’esso a dire la sua sulla legge di Bilancio. Ed è proprio da qui che bisogna partire.

ATTENTI AL DEBITO

“Alla luce delle oggettive condizioni di incertezza e instabilità dello scenario, combinate con il peso del debito e la debole dinamica del Pil nel nostro Paese, i già forti vincoli di bilancio si fanno più stringenti”, ha esordito Lilia Cavallari, presidente dell’Upb. “Sebbene l’impatto della manovra sia coerente con gli obiettivi programmatici stabiliti nella Nadef, ogni rallentamento sulla strada obbligata di riduzione del debito rischia di comprimere ulteriormente i margini di manovra per affrontare condizioni sfavorevoli, quali shock inattesi o rallentamenti della crescita”. Il messaggio è chiaro: se il prossimo anno l’Italia non crescerà dell’1,2%, come messo nero su bianco nella Nadef e contemporaneamente dovessero arrivare nuovi shock nell’economia, saranno dolori, perché non ci saranno sufficienti munizioni per sostenere un deficit al 4,3%.

“In una situazione soggetta a rischi di natura interna e soprattutto internazionale la manovra appare improntata a un’ottica di breve periodo, con interventi temporanei e frammentati. La riduzione del debito è una strada obbligata che non può essere rallentata”, ha chiarito ancora l’Upb. “Per il secondo anno consecutivo si prevede sia un aumento del deficit per il primo anno rispetto a quanto precedentemente stabilito, sia il rinvio all’anno finale dell’orizzonte previsivo (2026, ndr) del conseguimento di un disavanzo inferiore al 3% del Pil”.

E se non è rinviabile una discesa del debito, non lo è nemmeno l’attuazione del Pnrr, che dovrebbe garantire proprio quella crescita di cui il Paese ha bisogno. “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha un ruolo centrale per il sostegno dell’economia e la sua attuazione non può ammettere rinvii. Il pieno avanzamento dei progetti del Pnrr fornirebbe uno stimolo all’attività economica che, è determinante per lo sviluppo nel prossimo biennio. Nel 2026, anno in cui si dovrebbe completare il programma europeo, le stime dell’Upb indicano che il Pnrr dovrebbe spingere il livello del Pil tra i 2,3 e i 2,6 punti percentuali rispetto allo scenario in assenza del Piano. Affinché tale risultato sia raggiunto occorre avanzare speditamente con l’attuazione degli interventi”.

IL MALE MINORE

Poi la palla è passata a Giorgetti, il quale ha fatto una premessa. Nessuno, nel governo, ha mai pensato che questa fosse una manovra facile, se si è scelta la strada delle prudenza al grido di poco ma buono è perché era il male minore. Ed è proprio per questo che l’esecutivo ha fatto tutto il possibile per redigere una buona manovra. “Nella stesura della legge di bilancio il confronto all’interno dell’esecutivo ha dovuto individuare una sintesi tra le diverse istanze e i vincoli, interni ed esterni, di bilancio. È stato un lavoro niente affatto facile, ma ritengo che sia stato fatto il meglio possibile, da un lato, per fornire risposte concrete alle esigenze immediate e, dall’altro, per gettare le basi dell’attuazione graduale del programma di legislatura”.

Ribadita la buona fede del governo, sono arrivate le prime consapevolezze. Per esempio quella relativa alla crescita per l’anno in corso, che potrebbe non essere tonica come si crede. “La crescita economica nel 2023 potrebbe essere rivista al ribasso rispetto allo 0,8% stimata nel Documento programmatico di bilancio. L’attività non è difforme da quanto preventivato in sede di stesura della Nadef, che prefigurava una graduale ripresa, con un ultimo trimestre dell’anno in ulteriore miglioramento rispetto al terzo. La nostra modellistica a breve, alla luce dei dati più recenti ci conferma queste indicazioni. Tuttavia se la stima preliminare relativa al terzo trimestre dovesse essere confermata, l’obiettivo di crescita per l’anno in corso contenuto nel Documento programmatico di Bilancio (0,8 per cento) potrebbe essere soggetto ad una sia pure contenuta correzione al ribasso”.

LA COSCIENZA DEL GOVERNO

Il cuore del ragionamento di Giorgetti è stato comunque il debito, punto di caduta delle preoccupazioni del ministro. La parola d’ordine qui è responsabilità. “Gli oneri del debito sono condizionati anche dal merito di credito del nostro Paese, che a sua volta è legato alla capacità di crescita della nostra economia e all’adozione di politiche sostenibili e responsabili. Su questo abbiamo dato un segnale preciso, che gli investitori sembrano aver apprezzato”, ha rivendicato il responsabile di Via XX Settembre. “Il disavanzo pubblico è infatti previsto scendere al di sotto della soglia del 3 per cento entro il 2026, per rispettare non solo i vincoli europei, ma anche per realizzare il necessario consolidamento dello stock del debito”.

Altra consapevolezza, gli stringenti vincoli esistenti e quelli futuri, ovvero l’aumento del costo del debito, sotto forma di interessi. “Il disegno di legge di bilancio si muove all’interno di vincoli stringenti. Il primo è rappresentato dall’onere degli interessi sul debito pubblico. Il secondo riguarda la spese per prestazioni sociali, in particolare quella per le pensioni. L’andamento del rapporto debito/Pil dei prossimi anni è fortemente influenzato dall’aumento del fabbisogno di cassa riconducibile agli incentivi edilizi, in particolare il superbonus” ha aggiunto il ministro sottolineando che “la spesa per interessi passivi in rapporto al Pil è prevista raggiungere il 4,6 per cento nel 2026, stima elaborata considerando una progressiva salita dei rendimenti anche nei prossimi anni, sebbene con un ritmo inferiore a quello che ha avuto luogo a partire dalla fine del 2021”.

LA RISPOSTA A CONFINDUSTRIA

Non poteva mancare poi una risposta, anche piuttosto diretta, a Confindustria che ieri, proprio nel corso della sua audizione sulla manovra, ha accusato il governo di aver pensato poco alle imprese. Pronta la risposta di Giorgetti. “A chi afferma che questo disegno di legge ha trascurato le imprese, ricordo che la manovra di bilancio deve essere letta in combinato disposto proprio con il Pnrr e che ulteriori risorse per le imprese saranno disponibili in seguito all’approvazione, da parte della Commissione europea, della proposta di revisione del suddetto Piano come integrato con Re Power Eu”.

“La manovra introduce un piano di stimolo per investimenti infrastrutturali e produttivi, focalizzato in particolare sugli ambiti che presentano livelli subottimali di investimento” ha aggiunto Giorgetti. “Gli aiuti alle imprese e al settore produttivo non si misurano solo in termini di risorse finanziare, ma anche di procedure e strumenti a disposizione degli operatori economici: il nuovo schema di garanzia, denominato Garanzia Archimede che si basa su un fondo che potrà assumere impegni entro un plafond di 60 miliardi relativo al complesso delle misure, con un limite di 10 miliardi per l’anno 2024 relativo alle sole operazioni oggetto della garanzia in esame”. Tra tre giorni, Moody’s.

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