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I capi di Stato maggiore di Usa e Cina si parlano. È una notizia

I militari di Pechino e Washington tornano a parlarsi, ma per il Pentagono serve uno scambio tra ministri, la Cina però ha rimosso il suo sotto le purghe di Xi

L’amministrazione Biden guarda con favore alla recente conversazione tra i capi di Stato della Difesa di Usa e Cina, rispettivamente CQ Brown e Liu Zhenli, come un fondamentale passo avanti per rafforzare le relazioni tra Washington e Pechino, profondamente logorate nel biennio precedente.

Il gelo diplomatico si è manifestato attraverso una rigorosa retorica, che ha toccato argomenti sensibili come la visita di Nancy Pelosi a Taipei, la vendita di armi statunitensi a Taiwan, le tensioni nel Mar Cinese Meridionale e l’abbattimento di un pallone spia cinese da parte degli Stati Uniti al largo della costa orientale a febbraio. Il dialogo military-to-military è stato il segmento delle relazioni che ne ha risentito di più, con Pechino che non ha mai accettato gli inviti del Pentagono a riavviare le comunicazioni.

Dopo il summit in California a novembre, dove il presidente Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping sembravano orientati verso un miglioramento delle relazioni tra le due potenze, è stata annunciata l’intenzione di riprendere i rapporti militari di alto livello — dopo che vari incontri diplomatici erano ripresi nei mesi precedenti. Prima tappa è stata l’incontro recente tra gli alti funzionari politici della Difesa Michael Chase e Liu Zhan.

Il Pentagono pianifica la ripresa degli impegni a basso livello “nel breve termine”, in particolare attraverso i colloqui annuali di coordinamento della politica di difesa, precedentemente cancellati dalla Cina dopo la visita di Pelosi. Ma c’è ancora del lavoro da fare.

La comunicazione militare ad alto livello tra le due nazioni viene riconosciuta come uno strumento essenziale per la gestione degli equilibri nell’Indo Pacifico. La mancanza di colloqui ha contribuito a un pericoloso aumento delle sovrapposizioni operative tra navi e aerei cinesi e statunitensi, fortunatamente senza incidenti rilevanti. I funzionari del Pentagono hanno tuttavia criticato la Cina per il comportamento molesto, evidenziando quasi 200 eventi che coinvolgevano aerei statunitensi negli ultimi due anni.

A ottobre, il dipartimento della Difesa ha per esempio reso pubbliche alcune intercettazioni, inclusa quella di un jet militare cinese che ha attraversato davanti a un aereo americano a soli 100 metri di distanza. Recentemente, la Cina ha intensificato le molestie verso le navi filippine nel Mar Cinese Meridionale, innescando uno scontro diplomatico.

Sebbene la conversazione di giovedì rappresenti un passo “importante”, come lo definisce Washington, si tratta ancora di una fase iniziale. Attualmente, si lavora sulla logistica per programmare ulteriori telefonate individuali (o se fosse possibile incontri) tra comandanti di teatro e funzionari politici. L’ammiraglio John Aquilino, comandante dell’IndoPacCom statunitense, ha manifestato più volte l’interesse a costruire un sistema di dialogo continuativo con le sue controparti cinesi. Tuttavia deve ancora ricevere risposte, come dichiarato a ottobre.

Il Pentagono ha spiegato che i colloqui di livello inferiore non potranno comunque continuare ad avere luogo se il segretario alla Difesa Lloyd Austin non avrà parlato con la sua controparte cinese, ruolo attualmente vacante. Stress test politico per Pechino. Xi non ha infatti ancora nominato un nuovo ministro della Difesa dopo la rimozione del generale Li Shangfu, avvenuto anche questo in ottobre.

Prima dell’estromissione, i funzionari cinesi avevano rifiutato un incontro tra Li e Austin, poiché l’ex ministro della Difesa era soggetto a sanzioni statunitensi. Il dipartimento della Difesa prevede che la Cina — che ha avviato un profondo repulisti tra le linee di comando, con pesanti accuse di corruzione — nominerà un nuovo ministro della Difesa a marzo, durante il Congresso Nazionale del Popolo.

Ultimo aspetto: fin dove può arrivare questa riapertura delle comunicazioni? Sebbene sia difficile prevederlo, ci sono chiari indizi sulla scarsa volontà reciproca di partecipare ad attività congiunte che vadano al di là dei colloqui. Per esempio, gli Stati Uniti avrebbero su più canali — sia quello militare di teatro operativo, che altri più politici e diplomatici — cercato un coinvolgimento di Pechino nelle attività di sicurezza marittima nel Mar Rosso, che in questo momento è un luogo particolarmente sensibile perché le navi mercantili che seguono quelle rotte vengono bombardate dalla milizia degli Houthi yemeniti. La Cina avrebbe interessi nel partecipare a certe operazioni. Pechino, che ha una base a Gibuti con alcune unità navali teoricamente impegnate in attività di maritime security, non solo ha rifiutato l’offerta di Washington, ma in almeno un’occasione non ha risposto alla chiamata di soccorso di un cargo sotto difficoltà.


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