Dalla fusione di Allkem e Livent Corporation, nasce un colosso del litio pronto a contendere il mercato alle rivali cinesi e non solo. Un’integrazione che rafforza la posizione di Australia e Stati Uniti, con la presenza di un’entità commerciale con competenze e forza contrattuale
Dopo i rumors che si erano susseguiti lo scorso settembre, è ufficiale la nascita di un gigante del litio a livello globale. Si chiamerà Arcadium Lithium, nuova entità che rappresenta la fusione di due aziende minerarie e chimiche attive sul mercato, ovvero l’australiana Allkem e l’americana Livent Corporation.
Agli azionisti di Livent sono state assegnate 2,4 azioni ordinarie di Arcadium Lithium (quotate al New York Stock Exchange) per ogni azione di Livent posseduta prima della fusione, mentre gli azionisti di Allkem hanno ricevuto un rapporto di 1 azione Arcadium Lithium per ogni azione di Allkem posseduta prima della fusione. Un rapporto rispettivamente del 44 e 56% su Arcadium. Tra gli investitori più rilevanti di Allkem, si annovera Toyota Tsusho Corp insieme ad una serie di fondi d’investimento.
Quasi il 90% dei voti totali è stato a favore dell’operazione, ha dichiarato Allkem in un comunicato stampa e secondo quanto riportato da Reuters. La scorsa settimana, Livent ha dichiarato di aver ricevuto le necessarie approvazioni normative per la transazione, il cui successo formalizza l’avvento di una delle maggiori società di litio al mondo. Il prospetto dell’accordo per la fusione tra Allkem e Livent era stato stipulato per la prima volta nel maggio di quest’anno. Si tratta di un’entità che avrà una capitalizzazione di borsa di circa $14.3 miliardi.
Il presidente e CEO di Livent, Paul Graves, aveva dichiarato a dicembre 2023: “Come società combinata, avremo una scala, una gamma di prodotti, una copertura geografica e capacità di esecuzione maggiori per soddisfare la domanda in rapida crescita di prodotti chimici a base di litio da parte dei nostri clienti”.
Un’integrazione di conoscenze, know-how e presenza sul mercato internazionale che mette sul tavolo una possibile alternativa al predominio cinese e alla crescente penetrazione di Ganfeng e Tianqi Lithium e altri colossi industriali (Tsingshan) nei mercati emergenti (come in Africa), perlomeno nelle fasi upstream di estrazione e processazzione dell’oro bianco. Gli asset minerari e industriali che verranno gestiti, dunque, dalla nuova entità commerciale sono distribuiti su cinque continenti.
Arcadium Lithium combinerà le attività e i progetti di sviluppo di Allkem in Argentina, Australia, Canada e Giappone con le attività e i progetti di Livent in Argentina, Stati Uniti, Canada ed Europa. Questa combinazione consentirà all’azienda che nasce dalla fusione, allo stato degli asset possedute dalle due società, una capacità di produzione di 99.500 t di litio carbonato equivalente (Lce) da minerali rocciosi (lo spodumene, come nei siti di estrazione in Australia: sono il 7%, insieme alla lepidolite, le risorse di litio da giacimenti rocciosi a libello globale) e le salamoie sudamericane (principalmente in Argentina, con il 64% delle risorse globali di litio in questa tipologia di fonte) e una capacità di raffinazione di 38.000 t di Lce nel 2023, il che l’avrebbe resa il quarto produttore di litio raffinato dopo Albemarle, SQM e Ganfeng Lithium. Solo nel 2022, il totale combinato del fatturato delle due compagnie si attestava a circa $1.9 miliardi, per un team di circa 2600 persone.
Sia Allkem che Livent, prima della fusione, hanno portato avanti lo sviluppo di nuovi progetti di litio e l’espansione della produzione delle attività esistenti, principalmente in Argentina e Canada. Il progetto di salamoia di Allkem in Argentina e il progetto minerario di James Bay in Canada dovrebbero avere una capacità totale di 114.000 tonnellate annuali di Lce entro il 2030, mentre la miniera di Whabouchi di Livent in Canada dovrebbe avere una capacità di 45.000 Lce in concentrati minerali una volta messa in funzione e avviata. Con il successo delle espansioni e l’entrata in funzione delle nuove miniere e delle operazioni nei laghi salati, si prevede che la capacità di Arcadium Lithium supererà i 358.000 tonnellate di Lce per quanto concerne l’estrazione dai laghi salati e dai giacimenti rocciosi, mantenendo così la sua posizione ai vertici dei produttori di litio per il resto del decennio.
Si tratta di un’entità leader in tutti i principali processi di estrazione del litio, da quelli convenzionali menzionati a quelli innovativi (come l’estrazione diretta, o Dle, ma ancora in fase di test e comunque non applicata su ampia scala industriale), fortemente integrati a livello verticale dall’acquisizione e gestione dei giacimenti minerari alla conversione di composti di litio per essere vendute e impiegate nella fabbricazione di batterie. Una combinazione di risorse, capitali e conoscenza del mercato – soprattutto in fase di contrattazione con i clienti per prodotti in linea con le aspettative per lo sviluppo della tecnologia dei catodi delle batterie elettriche – che cerca di emulare, seppur ad una scala ridotta, l’industria cinese.
La fusione delle due entità (una americana, l’altra australiana) sarà stata sicuramente accolta e battezzata con favore sia dalle autorità di regolamentazione del mercato, sia dalle istituzioni e governi occidentali che cercano di trovare soluzioni all’egemonia industriale della Cina. Tra le prime aziende del settore, insieme all’americana Albemarle (che ha ricevuto fondi federali tramite il Pentagono per aumentare la produzione domestica), Arcadium sarà l’unica realtà societaria operativa sul mercato del litio che non abbia una qualche forma di influenza cinese sottoforma di quote azionarie o investimenti equity su cui molti junior miners fanno affidamento per poter fare l’ingresso sul mercato. Di recente, considerando la crescita imponente della domanda di litio entro il 2040 nell’ottica degli obiettivi di decarbonizzazione, anche il colosso petrolifero Exxon ha deciso investimenti strategici negli USA.
La situazione proprietaria di Arcadium potrà agevolare il presidio di Arcadium del mercato statunitense – considerando le clausole anti-Cina dell’Inflation Reduction Act (IRA) – in forte crescita con l’annuncio di investimenti lungo la supply chain (soprattutto in gigafactory) e la possibilità di servire gli automakers nordamericani ed europei.
Un’attenzione agli investimenti esteri e alla gestione delle risorse nazionali che ha portato di recente il Cile di Gabriel Boric a varare una strategia industriale per il litio, con la creazione di un’entità pubblico-privata per le operazioni minerarie. Canada e Australia hanno bloccato, in frangenti diversi ma non nella sostanza, la presenza di entità cinesi in progetti minerari ritenuti strategici per la sicurezza economica nazionale. Il Messico ha invece deciso di sospendere le licenze minerarie a Ganfeng.
Un vento di nazionalismo delle risorse che continua a soffiare e che potrebbe avere effetti indesiderati sulla crescita dell’offerta ma anche sull’economicità di molti progetti minerari.