La terza iterazione del “Big Fund” a sostegno dell’industria statale cinese varrà almeno 27 miliardi di dollari e verrà finanziato da realtà e autorità locali. Uno sforzo sistemico per rispondere alla stretta tech di Stati Uniti e alleati, appena rafforzata da Seul
Il cosiddetto “Big Fund” di Pechino, strutturato per alimentare l’industria nazionale dei semiconduttori, è destinato a crescere di almeno altri 27 miliardi di dollari entrando nella sua terza fase. Una dimensione che attesta quanto sia importante il settore per i piani di Xi Jinping, che finora vi ha riversato tante risorse quanto quelle per lo sviluppo dell’arsenale nucleare nazionale. Supervisionato direttamente dal ministero cinese per la tecnologia, il fondo sta anche espandendo le proprie competenze, proprio mentre gli Stati Uniti si preparano a inasprire le restrizioni tecnologiche pensate per limitare i progressi cinesi nel campo dei chip e dell’intelligenza artificiale. È nella chiave di questa battaglia che va letta l’espansione del Big Fund.
Nel 2023 il Paese ha festeggiato il lancio di un nuovo processore avanzato “fatto in casa” dal campione locale Smic all’interno dell’ultimo smartphone targato Huawei. Sebbene sia almeno una generazione indietro rispetto alle alternative occidentali, il chip è potente e in grado di raggiungere velocità simili a quelle 5G nonostante i divieti di esportazione della tecnologia statunitensi – implementati dall’amministrazione di Donald Trump e rafforzati da quella a guida Joe Biden, che nel frattempo ha innalzato una vera e propria cortina di silicio per limitare l’accesso cinese ai semiconduttori più avanzati e agli strumenti per fabbricarli.
Viste le condizioni, quella di Huawei sembra una storia di successo. Così l’hanno certamente letta le testate legate al Partito-Stato, parlando di rivalsa dell’industria nazionale. Sospinte anche dall’orgoglio nazionalista, le vendite di Huawei si sono impennate, al punto da far sfigurare la performance della rivale Apple (i cui telefoni ora sono visti da Pechino come un problema di sicurezza nazionale), crollata del 24% nelle prime settimane del 2024.
Ma il successo è relativo, o almeno in parte artificiale. Del resto, come ricorda Bloomberg, quel chip non si sarebbe potuto fabbricare senza i macchinari statunitensi. Senza contare il fiume di aiuti statali attraverso il Big Fund, che dal 2014 ha raccolto circa 45 miliardi di dollari di capitale per sostenere decine di aziende nel settore, tra cui Smic. L’azienda ora promette di ridurre ulteriormente il divario arrivando a produrre chip a 5 nanometri, solo una generazione indietro rispetto ai 3 nanometri dei prodotti occidentali di fascia alta, ma dovrà farlo utilizzando gli strumenti di fabbricazione importati prima che Washington stringesse le maglie.
Nel tempo, e se regge il sistema di controllo alle esportazioni, la mancanza di accesso a questi prodotti impatterà inevitabilmente lo sviluppo dell’industria cinese. Questo si traduce in ritardi incolmabili sul versante delle tecnologie di frontiera come l’IA e il supercalcolo, moltiplicatori di forza economici e militari. Nel mentre Washington lavora per far inasprire ulteriormente quelle degli alleati lungo la catena del valore – specie Corea del Sud, Germania, Giappone e Olanda – e tappare gli eventuali “buchi” nel sistema rafforzato di controllo alle esportazioni. Martedì i campioni tecnologici di Seul, attore fondamentale nell’ecosistema tech asiatico, hanno sospeso la vendita di vecchi macchinari per la fabbricazione di chip per paura che possano finire in mani cinesi, o russe.
In risposta, Xi sembra intenzionato a far diventare il raggiungimento dell’autosufficienza tecnologica una sfida veramente nazionale. L’espansione del fondo verrà finanziata da governi locali e imprese statali e sarà supportato solo in minima parte dal governo centrale, stando alle fonti della testata statunitense. “L’obiettivo di Pechino adesso è quello di mettere in comune il capitale in tutto il Paese per i grandi progetti, un elemento chiave dell’approccio del presidente [tarato su] ‘l’intera nazione’”. Uno sforzo sistemico per tentare di rispondere alle restrizioni Usa – anche spostando l’attenzione dell’immenso mercato interno verso i prodotti cinesi per sostenere le relative industrie, una ricetta di successo, almeno finora, per quella delle auto elettriche.