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La questione degli asset russi congelati va oltre la guerra in Ucraina. E tocca il sistema-dollaro

Durante un convegno promosso dallo Iai sono stati esaminati i diversi aspetti relativi alla proposta di confiscare gli asset russi congelati e di impiegarli per sostenere Kyiv. Una mossa pregna di conseguenze, dal settore privato agli equilibri internazionali

Il ricorso alle sanzioni in risposta all’invasione russa dell’Ucraina poggia in parte sul congelamento delle riserve della Banca centrale russa e sul divieto di accesso al sistema Swift per le banche Federazione. I Paesi europei e del G7 stanno ora valutando la possibilità di utilizzare i beni sequestrati alla Russia, così come le entrate da essi generate, per sostenere lo sforzo bellico (e non solo) di Kyiv. Indipendentemente dalle giustificazioni morali e politiche addotte da alcuni attori coinvolti, queste misure potrebbero influenzare, secondo alcuni economisti, il futuro del dollaro statunitense e dell’euro come valute di riserva. Esiste dunque un rischio concreto di frammentazione del sistema monetario internazionale? E se questo rischio si concretizzasse, quali sarebbero le sue implicazioni?

Interrogativi a cui si è cercata una risposta durante l’evento Financial Sanctions And The Future Of The International Monetary System tenutosi giovedì 4 aprile presso la sede romana dell’Istituto Affari Internazionali, durante il quale sono stati sviscerati anche altri aspetti inerenti la questione. A partire dalla ripartizione dei beni russi congelati ricordata dall’Executive Vice President dello Iai, Ettore Greco, durante i saluti iniziali: la stragrande maggioranza dei frozen assets (il cui valore totale si aggira intorno ai tre miliardi di dollari) si trova attualmente sotto il controllo europeo, e solo una parte minima è invece custodita da Washington. Qualsivoglia tipo di azione nei confronti di essi vedrebbe l’Europa maggiormente esposta al rischio politico del caso rispetto agli Stati Uniti.

Quel che è certo è che la Russia, che invadendo l’Ucraina ha commesso una forte violazione del diritto internazionale, deve essere in qualche modo rendere conto delle sue azioni e pagare delle riparazioni a Kyiv. Tuttavia, non è ancora chiaro quale meccanismo possa essere usato. Scott R. Anderson, Fellow in Governance Studies presso l’istituto di Brookings, ha rimarcato come normalmente si trovi una soluzione negoziata alla fine di un conflitto, ma in questo caso particolare la Russia potrebbe uscire vincitrice, e forzare la mano per non assumersi le proprie responsabilità. Per questo è importante impiegare i beni congelati.

Ma non sono solo gli enti politici a correre dei rischi qualora si decidesse di proseguire su questa strada. I beni russi congelati sono al momento custoditi da Euroclear, una società belga di servizi finanziari specializzata nel regolamento delle transazioni in titoli nonché nella custodia e nel servizio delle attività di tali titoli, che svolge il ruolo di garante. Già prima dell’imposizione delle sanzioni fondi russi transitavano da Euroclear, come ricordato da Lieve Mostrey, chief executive officer della società, la quale ha posto anche la questione di come qualsiasi azione sui beni russi attualmente sotto il suo controllo potrebbe avere delle ricadute in futuro, creando un precedente spinoso.

Alla teoria dei giochi già evocata da Mostrey si riallaccia anche lo Scientific Advisor dello Iai Franco Passacantando, citando il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta (“International Relations are part of a repeated game”), in un intervento che guarda ai possibili effetti di lungo termine che eventuali azioni nei confronti degli asset russi potrebbero avere sul processo di de-dollarization.

Evidenziando le differenze tra la multipolarità del sistema finanziario e invece una sua frammentazione, con il primo caso caratterizzato da una maggiore integrazione e interoperabilità rispetto alla seconda. Passacantando punta anche l’indice sul ruolo delle nuove tecnologie nel processo di de-dollarizzazione. L’aumento di transazioni attraverso canali meno chiari (come quelli delle criptovalute), in corso in questo momento, potrebbe influire sulla capacità di enti statuari di imporre sanzioni in futuro.

Più persone usano un certo sistema, più esso è attrattivo. E questa regola vale anche per il sistema-dollaro, ha suggerito Lorenzo Bini Smaghi, honorary professor della University College London. L’unica alternativa valida al dollaro al momento sarebbe l’euro, le altre sono troppo piccole. Ma gli Stati Uniti sono pronti a difendere la supremazia del dollaro a tutti i costi. Gli europei no. È una questione politica. La visione tedesca di basare l’emissione degli euro sulla domanda “è naive”, e fuori dalla storia.

E i progetti di Pechino sul Renminbi? L’infrastruttura finanziaria cinese, come asserito da Paola Subacchi, Incoming Chairholder per la Sovereign Debt Chair di Sciences Po, non è pronta a sostituirsi a quello statunitense. Il renmimbi ha fatto un bel passo in avanti negli ultimi anni, ma ancora non è in grado di sostituirsi alla valuta americana. Da cui sta cercando di rendersi il più indipendente possibile. Esemplificativo è lo Yuan digitale, che è già una realtà, è ampiamente utilizzato dentro la Cina, ed è sponsorizzato dalla banca centrale. Mostrando come la Cina ha il vantaggio rispetto agli Usa in questo settore.

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