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Missili, droni e milizie, come funziona l’apparato militare di Teheran

Elementi convenzionali si mescolano con elementi asimmetrici nell’approccio militare adottato dalla Repubblica Islamica dell’Iran. Cercando la massima efficienza in un contesto dato da fattori tanto interni quanto esterni

Se non riesci ad essere Golia, allora adattati ad essere Davide. Queste poche parole possono essere considerate come il mantra dell’apparato militare della Repubblica Islamica dell’Iran, sviluppatosi su binari totalmente differenti non rispetto a quelli delle controparti occidentali, ma anche di quella cinese e di quella russa. Fattori politici, economici, e sociali hanno pesato sulle trasformazioni dell’apparato bellico di Teheran, che nella sua particolarità oggi risulta essere uno dei più efficaci della regione mediorientale.

L’approccio militare iraniano si esplica attraverso due dimensioni: quella convenzionale e quella irregolare. Lo ricorda anche Christian Saunders, Senior Defense Intelligence Analyst della Defense Intelligence Agency statunitense, in un report pubblicato dal Pentagono. Sul versante convenzionale, la strategia militare iraniana si basa principalmente sulla deterrenza e sulla capacità di ritorsione nei confronti di un aggressore. Allo stesso tempo, l’Iran utilizza anche operazioni di guerra non convenzionale e una rete di partner e di milizie proxy per consentire a Teheran di avanzare i propri interessi nella regione e di raggiungere la profondità strategica.

Una suddivisione che si riflette anche nella struttura delle stesse forze armate iraniane, tra le più grandi del Medio Oriente (nell’edizione 2024 del suo Military Balance, l’International Institute for Strategic Studies stima che almeno 580mila effettivi siano in servizio attivo, a cui si aggiungono circa 200mila riservisti addestrati e pronti alla mobilitazione). Ma anziché afferire ad un apparato unico questi uomini sono divisi tra l’esercito tradizionale e il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, ognuno dei quali dispone di proprie forze terrestri, aeree e navali. Le Guardie gestiscono anche la Quds Force, un’unità d’élite incaricata di armare, addestrare e sostenere il cosiddetto “axis of resistance”, ovvero la rete di milizie filo-iraniane sparse in tutto il Medio Oriente, dagli Hezbollah libanesi agli Houthi yemeniti, dai gruppi di miliziani in Siria e Iraq ad Hamas e alla Jihad islamica palestinese a Gaza. Anche se non direttamente incluse sotto l’ombrello delle forze armate iraniane queste milizie: “Potrebbero essere considerati parte della capacità militare dell’Iran” afferma in un commento riportato dal New York Times l’esperto delle forze armate iraniane dell’Iiss Fabian Hinz, che sottolinea come “il livello di supporto e i tipi di sistemi che l’Iran ha fornito a questi attori non statali è davvero senza precedenti in termini di droni, missili balistici e da crociera”.

La strumentazione bellica è un’altra delle peculiarità della struttura militare iraniana. Nonostante all’indomani della Rivoluzione del 1979 alcuni sforzi fossero stati promossi in questo senso, il Paese persiano non è mai riuscito a sviluppare un apparato militare-industriale capace di mettere a disposizione di Teheran “armamenti pesanti” (carri armati, aerei, navi di grande stazza) in grandi quantità. Allo stesso tempo però, l’Iran si è focalizzato su altre tipologie di armamenti più facili da produrre e funzionali al perseguimento della sua strategia. Come nel caso dei missili balistici e degli Unmanned Aerial Systems (Uas), sfruttati da Teheran per sopperire alla mancanza di una vera e propria aviazione. L’Iran ha la più grande forza missilistica del Medio Oriente, con un arsenale di missili balistici a corto raggio, missili balistici a breve raggio e missili balistici a medio raggio che possono colpire obiettivi in tutta la regione fino a duemila chilometri di distanza. L’Iran punta su queste capacità a lungo raggio come deterrente contro eventuali attacchi sul suo territorio, come dimostrato anche nella rappresaglia lanciata contro Israele nella notte tra sabato 13 aprile e domenica 14 aprile.

Azione a cui hanno preso parte anche i droni di manifattura iraniana: nel corso degli ultimi anni Teheran ha sviluppato e accumulato un ampio inventario di droni, con gittate comprese tra i duemila e i duemilacinquecento chilometri e capacità di volare a bassa quota per eludere i radar. L’Iran ha ambizione di costruire un grande business di esportazione di questi sistemi (che sono già impiegati estensivamente in Ucraina, e di recente sembrano aver fatto la loro comparsa nella guerra civile sudanese) per sostenere le proprie capacità di penetrazione geopolitica (similmente a quanto fatto dal rivale turco).

Mentre sul mare l’Iran ha deciso di puntare su una strategia di Anti-Access/Area Denial garantita da un’ampia gamma di capacità, comprendenti missili da crociera antinave lanciati da navi e da terra, piccole imbarcazioni, mine navali, sottomarini (alcuni dei quali importati dalla Corea del Nord), veicoli aerei senza pilota, missili balistici antinave e difese aeree.

Una strumentazione economica, ma impiegata efficacemente. E che ha permesso al Paese sciita di evitare un attacco diretto da parte dei suoi nemici giurati, ovvero Stati Uniti e Israele, i quali non volevano avviare un conflitto con il complesso apparato militare di Teheran. “C’è un motivo per cui l’Iran non è stato colpito. Non è che gli avversari dell’Iran temano l’Iran. È che si rendono conto che qualsiasi guerra contro l’Iran è una guerra molto seria”, ha dichiarato Afshon Ostovar, professore associato di national security affairs presso la Naval Postgraduate School ed esperto dell’esercito iraniano.

 


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