Il crescente interesse dei principali attori mondiali per lo strumento atomico rende necessaria una maggiore accortezza, come sottolinea l’accademica ed ex funzionaria atlantica. Che fornisce anche alcune raccomandazioni
Nel mondo di oggi, la dimensione nucleare assume un’importanza sempre crescente. I segnali di questo trend sono facilmente individuabili in tutte le regioni del globo, con attori più o meno grandi che mirano allo sviluppo di proprie capacità nucleari o al potenziamento di quelle già disponibili. A parlare sono i dati: nel budget per il 2024, sotto la voce Deterrenza integrata, sono poco meno di cinquanta miliardi i fondi richiesti dal Pentagono per essere allocati nella modernizzazione dell’arsenale nucleare statunitense; sulla stessa linea si colloca la Federazione Russa, il cui Ministero della Difesa ha dichiarato di considerare la modernizzazione della propria triade nucleare come una priorità per l’anno in corso. Nulla di imprevedibile, considerando come da una parte Mosca abbia fatto un ricorso estensivo alla retorica nucleare sin dall’inizio del conflitto in Ucraina.
Sulla stessa linea di Washington e di Mosca si pongono anche Nuova Delhi, che ha di recente annunciato il miglioramento dei propri vettori missilistici impiegati in ambito atomico, e Pechino, la quale ha avviato un processo di profonda trasformazione del proprio strumento nucleare già dall’ascesa al potere dell’attuale segretario Xi Jinping avvenuta nel 2012. Su strade opposte si pongono invece l’Iran e l’Europa, come ricordato a Formiche da Ludovica Castelli: la potenza persiana ha tutto l’interesse, pur probabilmente avendone le capacità, al non voler arrivare a costruire un ordigno atomico, preferendo invece seguire all’interno della sua dottrina di sicurezza iraniana una strategia del nuclear hedging che le permette di mantenere un certo grado di ambiguità, costituendo un deterrente sufficiente pur permettendo a Teheran di continuare ad adempiere alle obbligazioni del Trattato di Non-Proliferazione (anche se alcuni analisti affermano che ultimamente la situazione stia cambiando). Viceversa, alcuni esponenti europei cominciano a guardare con interesse ad una “forza strategica continentale”, seppure essa continui a rimanere per ora soltanto un progetto dai toni vagamente propagandistici.
In un contesto come questo, dove l’arma nucleare diventa sempre più prominente, gli Stati Uniti e i loro alleati devono pensare bene a come sostenere una deterrenza stabile e forte e a come parlare responsabilmente di armi nucleari all’opinione pubblica mondiale, specialmente ai potenziali “aggressori nucleari”. Rose Gottemoeller, docente presso la Stanford University, ex-vicesegretario generale della Nato ed ex sottosegretario per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale presso il Dipartimento di Stato americano, ha suggerito su Foreign Policy alcune linee guida da seguire per riuscire in questo intanto
Al partire dal “mantenere la disciplina” nell’uso di termini come “sconfitta strategica”, in modo da non assecondare le affermazioni secondo cui sono Washington e i suoi alleati a rappresentare una minaccia esistenziale. “Se gli Stati Uniti non cercano la distruzione dei regimi degli aggressori e lo smembramento dei loro Paesi, devono dirlo. Se Washington non è chiara sugli obiettivi di un conflitto, allora non dovrebbe dire nulla”.
La seconda regola delineata da Gottemoeller prevede di sostenere l’efficacia del deterrente nucleare statunitense e l’affidabilità dei suoi sistemi di comando e controllo, continuando a mantenere la triade nucleare al massimo della capacità, a condurre l’addestramento e le esercitazioni nucleari in modo trasparente, e a testare i sistemi di consegna nucleare, missili e bombardieri. “Tutte queste azioni non dovrebbero essere articolate in modo minaccioso – gli Stati Uniti non dovrebbero essere quelli che agitano la sciabola nucleare – ma trasmettere una tranquilla fiducia nelle forze di deterrenza nucleare del Paese”.
In terzo luogo, Washington dovrebbe perseguire con sicurezza la prevedibilità reciproca che deriva dal controllo e dalla limitazione delle armi nucleari al tavolo dei negoziati. Anche se Russia, Cina e Corea del Nord mostrano scarso interesse a sedersi a quel tavolo oggi, gli Stati Uniti non dovrebbero essere la parte che lo abbandona. L’opinione pubblica mondiale preferisce vedere un futuro di disarmo e non-proliferazione nucleare, anziché un ritorno ad un passato caratterizzato dalla corsa agli armamenti nucleari.
Infine, cosa più importante, gli Stati Uniti e i loro alleati devono sostenere progressi costanti nell’assistenza militare all’Ucraina, per non dare l’impressione che l’Occidente si lascia intimidire da un bullo che brandisce armi nucleari. I leader statunitensi devono trasmettere una tranquilla fiducia nel deterrente nucleare del Paese e mantenere le promesse fatte all’Ucraina. Insieme, questi due elementi costituiscono il messaggio critico che deve arrivare ad altri che potrebbero tentare minacce nucleari per farsi strada.
“In ognuno di questi passi, Washington ha un grande potenziale per rafforzare il suo deterrente nucleare. Il sistema naturalmente aperto degli Stati Uniti facilita la comunicazione di messaggi di deterrenza quando un presidente parla alla nazione o i leader militari e politici testimoniano davanti al Congresso degli Stati Uniti. Il processo di bilancio nazionale permette al Paese di comunicare apertamente e chiaramente il processo di modernizzazione nucleare”, conclude Gottemoeller, “Lavorando insieme agli alleati, gli Stati Uniti possono portare avanti la politica nucleare in modo da preservare la prevedibilità nucleare e, allo stesso tempo, rafforzare la deterrenza. Il tessuto della deterrenza nucleare può cambiare, ma la determinazione del suo futuro non deve essere lasciata agli aggressori”.