Il nuovo chip di Tesla garantirà prestazioni quaranta volte superiori rispetto ai predecessori, un’ulteriore dimostrazione della scommessa di Musk sull’IA e soprattutto sulla tecnologia di guida autonoma. Mentre l’auto elettrica per il popolo può aspettare…
La possibile virata di Elon Musk, come trapelato nelle settimane scorse, di stracciare i piani per un nuovo modello sotto i $25.000 ha scatenato diverse reazioni tra gli investitori e i media. Molti hanno criticato la possibile scelta come una mossa molto rischiosa in un mercato, quello dell’auto elettrica, che vede i competitor cinesi ben posizionati per inserirsi nelle fasce di mercato più low-cost.
Tuttavia, sembra che l’attenzione dell’istrionico magnate sia tutta verso un altro e promettente mercato: quello della guida autonoma. Il segmento, su cui l’amministrazione Biden ha deciso di accendere un faro sulla sicurezza nazionale al fine di prevenire l’integrazione di veicoli elettrici e software cinesi nelle reti americane, è da sempre un cavallo di battaglia di Musk il cui obiettivo sembrerebbe, ora, il mercato cinese. La Cina pare al momento il contesto nazionale, nonché normativo e di maturità dell’industria dei veicoli elettrici (o meglio, “elettronici”) più pronto per accogliere quello che sembra ancora a molti un miraggio. Pesano i rischi del servizio, la difficoltà di garantire l’accesso ai dati, le carenze delle infrastrutture di appoggio, gli onerosi e complessi iter autorizzativi.
Ma la scommessa di Musk con il suo sistema di guida autonoma (FSD) è un’esca per gli investitori: se credete nel servizio, allora dovete investire in Tesla. “Sarebbe una mossa ovvia”, ha dichiarato provocatoriamente Musk, in riposta ad un utente di X che suggeriva a Warren Buffet (investitore della cinese Byd), di vendere quote Apple e comprare azioni Tesla. È chiaramente un tentativo di rilanciare il suo prezioso gioiello, dopo il crollo della sua capitalizzazione borsistica – che, ricordiamo, rimane sui $574 miliardi e più consistente di quella di General Motors, Ford e Toyota messe insieme – negli ultimi mesi dopo i massimi raggiunti a fine novembre 2021. E per farlo, Tesla vuole scommettere fortemente sul sistema FSD e sull’intelligenza artificiale, segmento su cui sembra più semplice inseguire la scalata di Nvidia o di Microsoft: le quote di Tesla sono significativamente più rischiose, considerando che le performance dell’azienda di Musk rimangono ancorate ad un mercato, quello EV che nonostante la crescita globale presenta alcune importanti lacune su cui la stessa società americana ha fatto le spese negli ultimi mesi.
Musk ha sempre voluto, infatti, che gli investitori guardassero alla sua creatura come molto di più che un mero produttore di auto elettriche. Secondo alcune stime, meno della metà della capitalizzazione di borsa di Tesla sarebbe legata al business dell’auto. Un brand che ha da sempre, per filosofia aziendale, rifiutato il marketing forse proprio per lasciare intonsa la sua immagine di azienda tecnologica che investe in ricerca e sviluppo e soluzioni pionieristiche anche in altri campi. Ma quando il tuo core business – gli EVs – soffre è naturale che la tua narrativa ne risenta, con un bagno di realtà. Gli analisti continuano ad aspettarsi i profitti di Tesla in contrazione, mentre nell’ultima earning call il ceo ha provato a rilanciare nuovamente con il suo asso nella manica: IA e guida autonoma. Ed è qui che il ruolo della Cina, culla industriale di Tesla, torna a giocare un ruolo preponderante nel possibile rilancio di Tesla come high-tech company nel gotha mondiale, non solo come azienda di vetture elettriche che si sgomita per sopravvivere.
La visita inaspettata della settimana scorsa di Musk a Pechino ha gettato, forse, alcune basi per la rinascita. L’accordo con Baidu, chiaramente solo dopo l’incontro con il premier cinese Li Qiang a conferma che l’ultima istanza spetta sempre al Partito Comunista, per l’accesso alle banche dati e ai dati geo-spaziali dell’azienda cinese – fondamentali per nutrire e allenare i software FSD e così realizzare veicoli autonomi, considerando che allo stato attuale Tesla non può trasferire i suoi dati raccolti in Cina secondo i regolamenti sulla data security in Cina – sulle strade nazionali rappresenta un momento di svolta per l’azienda americana e il suo sogno di diventare la prima società a implementare un sistema di guida autonoma. Si tratta, in realtà, di una tecnologia che gli analisti si aspettano pienamente matura in anni, se non decenni, prima di raggiungere la scala commerciale. Ma si sa, nei settori tecnologici i first mover sono (quasi) sempre quelli vincenti e piglia tutto.
Come inizialmente fatto con i veicoli elettrici, in questo modo Tesla potrebbe diventare un acerrimo rivale nello sviluppo dei sistemi a guida autonoma in Cina: uno sviluppo curioso nonché interessante, considerando il momento storico e geopolitico di forti tensioni tra Washington e Pechino, soprattutto per la competizione nei settori tecnologici di punta come IA, chip e batterie. Ad ogni modo, la società americana dovrebbe comunque vedersela con competitor del calibro di BYD – con cui è in gioco la leadership globale sui veicoli elettrici – e Huawei, campione nazionale delle telecomunicazioni, entrambi che stanno cercando di sviluppare software e soluzioni per la guida autonoma nei contesti urbani del paese. I due giganti sono tra i 10 produttori di auto e fornitori che hanno sviluppato sistemi di assistenza alla guida negli ultimi due anni, tra cui anche Xpeng, Li Auto e Xiaomi. Secondo Maxwell Zhou, co-fondatore della start-up DeepRoute.ai, qualsiasi nuovo modello sopra i $30.000 in Cina deve poter offrire alla clientela un sistema di assistenza avanzato per poter essere competitivo. Xpeng pianifica di lanciare sul mercato un nuovo brand, Mona, con simili caratteristiche ma ad un prezzo sotto i $21.000: circa $10.000 in meno rispetto alla Tesla Model 3.
Il ritorno di Tesla in Cina con un focus sull’FSD, dopo l’apertura della gigafactory di Shanghai nel 2018 e la collaborazione ormai solida con Catl, spingerà la competizione e le start-up EV cinesi ad accelerare i loro progetti di ricerca e sviluppo così come accaduto per le batterie e le auto elettriche. Un pesce grosso come Tesla non farà che stimolare gli altri “pesci” più piccoli nell’ecosistema dell’elettrico cinese.
Nel concreto, Tesla ha offerto ancora poca evidenza che il suo prodotto, l’FSD, sia davvero convincente per gli investitori. O che sia migliore della concorrenza che comunque fatica ad emergere, come il sistema Cruise di General Motors o l’Argo AI di Ford e Volkswagen che ha chiuso i battenti nel 2022. Il software di assistenza alla guida di Tesla – su cui l’azienda ha esteso la prova gratuita – deve ancora dimostrare affidabilità, mentre in altri segmenti IA la scommessa dei microprocessori di Nvidia, utilizzati per sviluppare e operare i modelli di OpenAI, si stanno dimostrando ben più solidi e promettenti per gli investitori rispetto alla promessa di Musk sui sistemi a guida autonoma i quali, a differenza di altri settori, non hanno una domanda così in crescita come il business dei data center.
C’è però un altro grande segnale che sembra dimostrare la bontà della visione di Musk sulla guida autonoma. E dopo Pechino (con la Cina che si appresterebbe a diventare il primo, vero mercato per l’FSD nel prossimo futuro), vi è Taiwan e nello specifico Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (TSMC). L’azienda fondata da Morris Chang sarà, infatti, il partner su cui Tesla farà affidamento per la fabbricazione dei nuovi microchip disegnati da Tesla, i Dojo Superchips (Dojo D1). E’ chiaro che TSMC non accetterebbe mai ordinativi e collaborazioni su cui non possa e voglia sfruttare la sua leadership e competenza tecnologica, soprattutto se non vi sono dinamiche di mercato promettenti. E’ la logica del posizionamento foundry dell’azienda e del suo potere contrattuale.
Dojo è un sistema che integra su un wafer una serie di chip 5×5 ultra-performanti e interconnessi che garantiranno un salto in capacità computazionale rispetto ai predecessori e dunque la base hardware su cui costruire il FSD, superando così uno dei principali ostacoli già entro il 2027. “Con questo nuovo sviluppo” ha dichiarato Musk durante una presentazione, “possiamo finalmente utilizzare il pieno spettro dei dati che raccogliamo per rafforzare le nostre capacità IA”. Secondo il ceo di Tesla, per sbloccare ulteriore profittabilità dell’azienda serve un investimento complessivo anche sulla potenza computazionale, e non solo sull’efficienza degli algoritmi (Tesla ha iniziato a procurarsi decine di migliaia di Nvidia GPUs H100).
Ecco perché Tesla si è rivolta a TSMC che pochi giorni fa ha confermato l’avvio della produzione di questi microchip, che verranno utilizzati nel datacenter di proprietà di Tesla (da 100 MW) ospitato nella gigafactory in Texas come central processing units a supporto del sistema Dojo e in quello in costruzione nello stato di New York. Entro il 2027, TSMC si aspetta di poter scalare la produzione offrendo sistemi wafer di oltre 40 volte più performanti. Fabbricati attraverso un processo di produzione da 7 nanometri, ciascun Dojo D1 contiene oltre 50 miliardi di transistori, per una capacità computazionale di 362 tera-flops: con questa nuova generazione di chip, Tesla potrà processare molti più dati in un ristretto periodo di tempo, consentendo il training di modelli AI ancor più sofisticati e tarati sull’obiettivo della guida autonoma.
Dunque, la decisione di Tesla di entrare a gamba tesa nell’intelligenza artificiale, attraverso la porta della guida autonoma e nella progettazione di chip avanzati mostra come Elon Musk consideri la sua creatura come qualcosa di più della semplice esecuzione del suo core business aziendale (gli EVs). L’idea che emerge, e che si fortifica nelle mosse del CEO di Tesla, è che questo nuovo prodotto si presta ad essere una piattaforma di innovazione, che coinvolge trasversalmente altri settori e che trasforma il settore dell’auto in un’industria necessariamente più integrata verticalmente, considerando la priorità per soluzioni in-house rispetto al procurement esterno. Dalle batterie al software, passando per le soluzioni di guida autonoma l’auto elettrica per Musk è ben oltre un prodotto che si valorizza per il suo supposto contributo ecologico: è un sistema che trasmette dati e che aiuta l’azienda a competere nel mercato digitale.
E’ questo un punto essenziale su cui si gioca parte della competizione tecnologica e che si fa spazio non solo tra le grandi corporation ma – attraverso le venature materiali e delle supply chain globali – nel contesto della competizione geopolitica. E’ infatti interessante che il sogno dell’auto a guida autonoma di Musk nasconda un duplice paradosso: più la vettura sarà “autonoma”, più dipenderà dalle infrastrutture che la circondano ma ancor prima dai semiconduttori che riuscirà a fabbricare qualcun altro. E che è stanziato in uno degli hotspot geopolitici più bollenti del pianeta. In secondo luogo, se Tesla riuscirà a trasformarsi in una potenza del software – grazie all’accesso ai dati del mercato cinese e al successo della guida autonoma con gli attuali 1.6 milioni di veicoli nel parco auto in Cina – “potrebbe essere la più grande rivalutazione di un asset [Tesla, n.d] della storia” ha dichiarato Musk. Considerando che, secondo le stime di Bank of America, qualora crescessero gli utenti che usufruiscono del software FSD in Cina, i profitti di Tesla potrebbero raggiungere oltre $2 miliardi annui entro il 2030 e solo per questo servizio. Un colpo per Washington e la tesi del decoupling.