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Chip, la sicurezza nazionale tra Nvidia e la Cina

L’amministrazione Biden è in contatto con l’azienda di chip per discutere quali prodotti potrà vendere in Cina per il segmento dell’intelligenza artificiale. L’inflessibilità della Segretaria al Commercio Raimondo: faremo controlli a tutto campo. Intanto emergono alcuni limiti degli apparati e i possibili competitor…

La competizione tecnologica tra Usa e Cina sta già impattando le strategie aziendali dei grandi colossi high-tech, e Nvidia è sicuramente al centro dell’attenzione. L’azienda con sede a Santa Clara, fondata nel 1993 e che ha lanciato la prima graphic processing unit (GPU) nel 1999, è oggi il primo chipmaker al mondo: per capitalizzazione di borsa, con le azioni che si scambiano a circa 476$ al New York Stock Exchange, nonché il player più posizionato per beneficiare del boom dell’intelligenza artificiale (IA) e non solo.

Proprio per questa centralità, le prossime mosse di mercato di Nvidia saranno fondamentali per capire fino a che punto l’azienda di Jensen Huang vorrà allinearsi alle nuove misure e restrizioni imposte dal Dipartimento del Commercio lo scorso ottobre, volte a contenere l’ascesa della Repubblica Popolare Cinese nel settore dell’IA negando alle aziende di semiconduttori che utilizzano tecnologia di matrice americana il suo ampio mercato.

Lunedì, la Segretaria al Dipartimento del Commercio, Gina Raimondo, durante un’audizione al Comitato per gli Affari Esteri del Senato, ha giurato che gli Usa intraprenderanno “l’azione più dura possibile” in risposta ad ulteriori potenziali salti in avanti nella capacità di Pechino di produrre chip all’avanguardia. Quanto ottenuto da Huawei con il Mate 60 Pro, con il supporto del produttore di chip cinese SMIC, aveva rappresentato, per Raimondo, una chiara violazione delle restrizioni sulle esportazioni, oltre ad essere “estremamente preoccupante”, inducendo dunque il governo a prendere misure ancora più drastiche.

Ora l’attenzione della burocrazia statunitense è tutta su Nvidia e in particolare su tre tipologie specifiche di chip per il training dei sistemi IA sviluppati dall’azienda californiana. Lo ha specificato Raimondo, che ha aggiunto come la creatura di Huang “possa, voglia e dovrebbe vendere chip per IA alla Cina dal momento che quest’ultimo saranno per applicazioni commerciali”. Ma quello che Washington vuole evitare è che i più sofisticati, con la potenza di calcolo più avanzata, finiscano per allenare i modelli di IA cinesi.

Se all’inizio l’offensiva americana sui semiconduttori poteva essere interpretata sulla base dei rischi, spesso addotti, che un’eventuale sorpasso cinese sull’IA avrebbe comportato per gli equilibri militari tra le due superpotenze, ora sembra chiaro – soprattutto dopo quanto dichiarato da Raimondo – che il vero obiettivo sia quello di un contenimento tecnologico dual-use, ovvero sia per gli ambiti militari che per quelli civili più avanzati. Le ultime restrizioni hanno tracciato una vera e propria “linea rossa” su quali chip siano ritenuti sensibili per la sicurezza nazionale e quelli, invece, per cui le licenze per l’export saranno consentite.

I risultati trimestrali di Nvidia, rivelati due settimane fa, hanno fatto intravedere come sul bilancio della società il macigno delle restrizioni non abbia ancora pesato. Tuttavia, con l’entrata in vigore delle nuove misure una larga parte dei chip progettati in allineamento con quelle risalenti ad ottobre 2022 potrebbero eccedere le soglie di performance stabilite. Infatti, da Santa Clara fanno sapere che le vendite in Cina per quei prodotti che ora rientrano tra i chip sotto embargo – ovvero l’A100, A800, H100 e l’H800 – hanno contribuito tra il 20 e il 25% delle entrate relative al segmento dei data center (quello che sarà trainante per la domanda di chip per IA), che rappresenta circa l’80% del fatturato complessivo (+279% rispetto ad un anno fa) davanti al gaming e all’automotive. Secondo le stime dell’azienda, le vendite di prodotti in Cina e alle altre regioni (circa il 60% del fatturato nel 2023) che rientrano nelle restrizioni caleranno drasticamente a partire dal quarto trimestre del 2024, seppur in parte bilanciato dalla crescita della domanda altrove. Ma rimane il fatto che la posizione competitiva dell’azienda è stata messa in discussione, con effetti ancora incerti sul lungo termine. Inoltre, è plausibile ritenere che, data l’importanza strategica dei chip per l’IA e tensioni geopolitiche in crescita, il governo americano calibrerà il regime di restrizioni all’export a seconda delle necessità.

Ed è qui che entra in gioco il rapporto tra Nvidia e il governo. Raimondo ha confermato, come riporta Reuters, di un dialogo franco con il ceo, Huang, che avrebbe confermato il suo impegno a rispettare le restrizioni e di lavorare proattivamente con Washington. Ma la Segretaria del Commercio, ad un evento sull’intelligenza artificiale tenutosi al Reagan National Defense Forum, a Simi Valley in California, ha ribadito come l’esistenza di una linea rossa potrebbe indurre le aziende che progettano i chip (Intel e AMD hanno espresso interesse) a disegnarli appena al di sotto della soglia, in compliance con il governo e per non perdere le opportunità di mercato. Nvidia sta infatti già lavorando a una nuova linea di chip AI personalizzati, l’H20 e L20, in linea con le restrizioni. Ma si tratterebbe, ribadisce Raimondo, di una prospettiva inutile dal momento che il governo si attiverebbe per effettuare i dovuti controlli. Un difficile equilibrio tra sicurezza nazionale e massimizzazione dei profitti, soprattutto se il mercato cinese rimane troppo grande per poter essere ignorato.

Solo nel 2022, la Cina ha acquistato semiconduttori da aziende straniere per un totale di $180 miliardi, circa un terzo delle vendite globali ($555.9 miliardi) secondo le stime della Semiconductor Industry Association (SIA), lobby americana che, a buon viso e cattivo gioco, si è più volte pronunciata contro un’offensiva senza quartiere nei confronti di Pechino ma che, allo stesso tempo, ha accolto con grande fervore gli investimenti pubblici per il reshoring delle attività manifatturiere negli Usa. Seppur Huang abbia dichiarato di voler collaborare con il governo, il CEO di Nvidia ha inoltre ribadito che le mancate vendite dell’azienda saranno probabilmente rimpiazzate da altri “formidabili competitor”, come la stessa Huawei, considerata da molti l’azienda cinese che sta facendo più progressi, con il suo Ascend 910B paragonato all’A100 di Nvidia in termini di potenza di calcolo. Altri designer di chip in Cina, tra cui Tencent Holdings, stanno proponendo i loro chip IA come alternativa a quelli di Nvidia, scommettendo sul fatto che le restrizioni americane inducano i clienti a cambiare partnership.  Altri player minori, come Hygon Information Technology e la startup Iluvatar CoreX, hanno dichiarato di voler lanciare la sfida ad Nvidia sul mercato cinese.

Il Center for Strategic and International Studies ha osservato ad ottobre come i controlli sulle esportazioni statunitensi abbiano causato due problemi: la perdita della domanda del mercato cinese per i chip all’avanguardia (come dimostra il caso di Nvidia) e le tecnologie associate, nonché i controlli e le sanzioni di ritorsione da parte della Cina (per esempio su gallio, germanio e la grafite). Inoltre, il governo cinese si è adoperato per convincere le aziende tecnologiche nazionali a rifornirsi di input all’interno del Paese piuttosto che da fornitori statunitensi, in uno sforzo di sovranità tech che potrebbe ridurre il leverage statunitense nel medio-lungo periodo.

E’ questo un possibile esito di una misura che ormai confonde, se già non lo fosse abbastanza, la dimensione civile e militare dell’export control: ora che l’obiettivo è limitare le potenzialità della Cina nel settore dei semiconduttori e dell’IA, la distinzione tra le applicazioni commerciali e quelle, potenzialmente, militari diventa praticamente impercettibile. Così come la valutazione degli impatti sull’efficacia di tali misure. Senza contare che il business model di Nvidia prevede la totale dipendenza da contractor esterni (come Tsmc) per la fabbricazione di chip avanzati: i wafer su cui vengono stampati i microprocessori dell’azienda sono prodotti, assemblati e testati al di fuori degli Usa. Dunque, le restrizioni sui macchinari EUV-DUV presenti nell’ultimo pacchetto avranno un ulteriore effetto sulla localizzazione dei suoi ordini alle fonderie capaci di operare a quella soglia nanometrica.

Il Comitato a cui ha testimoniato Raimondo ha inoltre avanzato dure critiche al Bureau of Industry and Security (Bis), incaricato della stesura e implementazione delle restrizioni del Dipartimento del Commercio. Il report ha enfatizzato come Smic stia producendo chip da 7 nanometri, una tecnologia avanzata che era nelle corde solo dei leader globali TSMC, Samsung e Intel. “Nonostante il risultato, che ha quasi certamente richiesto l’utilizzo di tecnologia di origine americana (macchinari litografici EUV di ASML n.d.)” accusa “il Bis non è intervenuto”. E’ dunque imperativo, avvisa il report commissionato da Michael McCaul, “affrontare la realtà: il trasferimento senza ostacoli della tecnologia americana alla Cina”. Tra i motivi, alcune carenze nel sistema di classificazione e monitoraggio dei dispositivi per la concessione delle licenze da parte del Bis che rimane sotto staff e con un budget fermo ad un decennio fa. Tra il 2016 e il 2021, tramite il Bureau gli Stati Uniti hanno condotto una media di 55 controlli all’anno delle circa 4.000 licenze all’attivo per la Cina: in parole povere, avrebbe verificato meno dello 0.01% di tutte le licenze, circa l’1% dei volumi del commercio con Pechino.

Nonostante ciò, il nuovo regime di export control, con tutti i suoi limiti, rimarrà lo sfondo della corsa di Usa e Cina ai semiconduttori per l’IA, con i primi che dovranno di volta in volta trovare un complicato equilibrio tra le esigenze delle proprie aziende e gli obiettivi di sicurezza nazionale nei nodi più critici dell’industria.

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