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La Russia si sta bloccando. Ed è anche colpa della Cina

Per Mosca è sempre più difficile vendere e comprare beni dai suoi mercati amici, come Cina e Turchia. Con le banche terrorizzate dalle sanzioni, per le imprese è infatti impossibile effettuare gli scambi, come dimostra il crollo dei flussi nel primo trimestre. E così il denaro smette di circolare

Qualcosa scricchiola, pericolosamente, dentro l’economia russa. La propaganda, quella che vuole le finanze dell’ex Urss a prova di bomba, arriva fino a un certo punto (qui l’intervista all’economista Alberto Forchielli). Poi ci sono quei muri che è difficile abbattere e quei muri si chiamano sanzioni. Sono mesi, infatti, che le imprese dei Paesi alleati della Russia, Cina in testa, hanno difficoltà a vendere o comprare le merci di Mosca, per il semplice fatto che le banche si rifiutano di processare i pagamenti per timore di finire invischiate nelle sanzioni.

Tutto questo ha un prezzo, anche perché non c’è solo il fronte cinese per il Cremlino, ma anche quello della Turchia. Oggi, infatti, è molto più difficile spostare denaro dentro e fuori la Russia. I volumi commerciali di Mosca con partner chiave come Turchia e Cina sono infatti letteralmente crollati nel primo trimestre di quest’anno, dopo che gli Stati Uniti hanno preso di mira le banche internazionali che aiutano Mosca a comprare o vendere merci. Il famoso ordine esecutivo statunitense, attuato alla fine dello scorso anno e che prevede la possibilità di colpire con sanzioni tutte quelle imprese o istituti che mantengono rapporti con la Russia, sta insomma dando i suoi frutti.

Al punto, “che è diventato difficile per la Russia accedere ai servizi finanziari di cui ha bisogno per pagare i beni comprati all’estero”, ha affermato Anna Morris, vice segretario ad interim per il finanziamento del terrorismo e i crimini finanziari presso il Tesoro degli Stati Uniti. “L’obiettivo è sicuramente quello di rendere molto più complesso il flusso di quel denaro, di aumentare i costi per i russi l’attrito nel sistema”. E la preoccupazione, come ha rivelato al Financial Times un imprenditore russo, aumenta anche all’interno. “Un mese sono dollari, il mese successivo sono euro: entro sei mesi praticamente non potrai fare nulla. Il logico risultato di ciò è trasformare la Russia in Iran”.

D’altronde, anche sul versante cinese le cose si stanno mettendo male. C’è un dato, diffuso dalle agenzie doganali cinesi, poche settimane fa, che racconta una verità amara per la Cina. E cioè che le esportazioni del Dragone in Russia sono diminuite di quasi il 16% a marzo rispetto all’anno precedente, registrando il peggior calo da inizio 2022, quando le sanzioni contro l’ex Urss non erano ancora scattate. Le esportazioni del Dragone, infatti, si sono contratte a marzo dopo essere cresciute nei primi due mesi dell’anno. I dati doganali poc’anzi citati mostrano che le vendite sono diminuite del 7,5% a marzo rispetto all’anno precedente, mentre le importazioni sono diminuite dell’1,9%. Entrambi i valori sono stati inferiori alle stime. E anche questa non è una buona notizia.

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